Comune-info.net. Di Patrizia Cecconi. Nell’aprile dello scorso anno, la giurista gambiana Fatou Bensouda ha reso noto, con un documento di 60 pagine, che la sua “Procura ha esaminato attentamente le osservazioni delle parti e rimane dell’opinione che la Corte penale internazionale abbia giurisdizione sul Territorio palestinese occupato”. C’è stata molta confusione sul significato di quella decisione e sui tentativi politici di sabotarla. L’intervista all’avvocato Ugo Giannangeli, da molti anni impegnato nella solidarietà con il popolo protagonista della più lunga resistenza della storia contemporanea, spiega in modo estremamente dettagliato il significato e le conseguenze reali di quell’affermazione. Nella migliore delle ipotesi, bisognerà attendere almeno dieci anni per avere una sentenza che sancisca le responsabilità dei leader israeliani per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Eppure, precisa il giurista, seguire i meandri infiniti di quell’iter processuale estenuante è molto importante, e forse non soltanto dal punto di vista storico. D’altra parte, se anche quella sentenza arrivasse l’anno prossimo, per il livello insopportabile raggiunto dal regime di apartheid cui è stato sottoposto quel popolo, la giustizia non arriverebbe mai abbastanza presto. L’oppressione israeliana vive e rinasce giorno dopo giorno, non solo nella strategia del terrore e nei massacri ma nella concretezza della vita quotidiana. Esattamente come l’impossibilità di farla finita con la resistenza che ogni giorno gli si oppone. La Corte penale è un’istituzione politica, soggetta agli interessi dei suoi membri, solo il tempo dirà fino a che punto sarà disposta a spingersi. La lotta per l’affermazione dei diritti umani e della dignità non dipende dai tribunali.
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