I neonati di Gaza che non hanno mai compiuto un anno

(Asser e Aysal Abu Al-Qumsan, uccisi quando avevano quattro giorni. Per gentile concessione di Muhammad Abu Al-Qumsan).

972mag. Di Ibrahim Mohammad. Per migliaia di genitori palestinesi, la gioia del parto si è rapidamente trasformata in dolore quando i loro neonati sono uccisi dai bombardamenti israeliani.

Il 16 settembre, il ministero della Salute di Gaza ha pubblicato un documento di 649 pagine contenente le informazioni personali di 34.344 palestinesi uccisi dall’assalto israeliano all’enclave negli ultimi 11 mesi. L’elenco, a prima vista infinito, però è incompleto: più di 41.000 palestinesi sono stati uccisi dal 7 ottobre, secondo i dati del ministero della Salute, ma molti di loro non sono ancora stati identificati con certezza. Delle vittime identificate, oltre 11.300 sono bambini e 710 di loro sono stati uccisi prima di aver compiuto un anno.

Queste sono le storie di sei di quei neonati che sono stati rubati al mondo prima ancora di aver compiuto un anno, raccontate dalle loro famiglie.

Asser e Aysal Abu Al-Qumsan, di quattro giorni.

Ad agosto, in tutto il mondo le persone hanno visto le immagini del trentatreenne Muhammad Abu Al-Qumsan che teneva in mano i certificati di nascita dei suoi gemelli appena nati. Sfollati dal quartiere Al-Rimal di Gaza all’inizio di ottobre, lui e la sua famiglia erano stati costretti a trasferirsi nel campo profughi di Shaboura, a Rafah, prima di fuggire di nuovo in un appartamento a Deir Al-Balah, al centro della Striscia. Ed è stato proprio qui che un proiettile di artiglieria israeliano ha ucciso i suoi gemelli, Asser e Aysal, appena quattro giorni dopo la loro nascita, insieme alla madre, Jumana.

Il 10 agosto, Muhammad e Jumana erano felicissimi quando lei ha dato alla luce i gemelli dopo un difficile taglio cesareo presso l’ospedale da campo americano di Deir al-Balah. Ma prima che se ne potessero rendere conto, quella felicità è stata sostituita da un profondo dolore e sofferenza.

“All’inizio della guerra israeliana a Gaza, dopo essere stato sfollato da una zona all’altra alla ricerca di un posto sicuro dove mia moglie potesse comodamente e tranquillamente completare i restanti mesi della gravidanza, ho deciso di stare in un appartamento di proprietà di un parente di mia moglie ad Al-Qastal Towers, a est di Deir al-Balah, insieme a sua madre e ai suoi fratelli”, ha riferito Muhammad a +972. “Non immaginavo che questo appartamento sarebbe diventato un bersaglio per i missili dell’occupazione”.

“Dopo aver fatto colazione con mia moglie e sua madre, la mattina del 13 agosto, sono andato a ritirare i certificati di nascita dei miei figli dal Dipartimento per gli Affari Civili presso l’ospedale dei Martiri di Al-Aqsa, a Deir al-Balah”, ha continuato. “Pochi minuti dopo averli ritirati, e mentre ero ancora in ospedale, ho ricevuto una telefonata da un vicino che mi informava che l’esercito israeliano aveva bombardato l’appartamento in cui si trovavano mia moglie e i miei figli, e che tutti quelli che erano dentro erano stati evacuati all’ospedale dove mi trovavo in quel momento”.

“All’inizio, ho pensato che potessero essere solo feriti, ma lo shock mi ha sopraffatto quando ho scoperto che i loro corpi erano stati messi dentro i frigoriferi dell’obitorio dell’ospedale”, ha aggiunto Muhammad. “Uno dei gemelli era stato fatto a pezzi, i suoi lineamenti erano irriconoscibili, mentre l’altro era inzuppato di sangue, proprio come la madre. Quanto alla nonna, il bombardamento israeliano le aveva mozzato la testa. La mia mente e il mio cuore non ce l’hanno fatta a sopportare lo shock e la scena orribile a cui ho assistito. Sono svenuto e sono crollato a terra”.

Dopo la nascita dei gemelli, Jumana aveva condiviso un post sul suo profilo Facebook annunciando la notizia che aveva portato gioia a tutti coloro che la conoscevano. A ciò ha fatto seguito un’ondata di congratulazioni ed espressioni di felicità, nonostante l’ambiente attorno fosse pieno di tragedie. Quattro giorni dopo, lo stesso profilo era riempito di condoglianze: i commenti esprimevano lo shock per la notizia della sua morte, erano riportate le condoglianze per la sua scomparsa e per quella dei suoi figli.

“Jumana e io aspettavamo con ansia la nostra nuova vita, che sarebbe stata piena delle risate dei nostri due figli, ma l’occupazione israeliana ci ha derubati di quella gioia”, ha detto Muhammad. “Ho solo brevi ricordi e i momenti più belli della mia vita con i miei gemelli e mia moglie prima che lasciassero questo mondo. Aysal e Asser sono state la mia prima e ultima gioia. Di cosa erano colpevoli? Perché l’occupazione israeliana li ha bombardati?”

Sabrine Al-Rouh Al-Sheikh, cinque giorni.

Sabrine Al-Rouh Al-Sheikh non era ancora nata quando un attacco aereo israeliano su Rafah aveva ferito gravemente sua madre e ucciso suo padre e sua sorella ad aprile. Lo zio paterno della bambina, Rami Al-Sheikh, ha descritto la devastazione causata dal bombardamento nel quartiere Al-Shaboura della città. “All’alba del 20 aprile, mentre dormivamo e senza alcun preavviso, degli aerei da guerra hanno bombardato la casa”, racconta Rami. “Mio fratello Shukri è stato fatto a pezzi, così come sua figlia Malak”.

I dottori avevano eseguito un taglio cesareo d’urgenza sulla madre, anch’essa di nome Sabrine, che era incinta di sette mesi, ma era morta 10 minuti dopo per alcune ferite alla testa, al torace e all’addome. La piccola Sabrine era stata quindi trasferita all’ospedale Al-Emirati di Rafah per ulteriori cure mediche; per cinque giorni, è rimasta aggrappata alla vita di fronte alla morte, prima di soccombere, unendosi al resto della sua famiglia.

Durante l’attacco sono stati uccisi la madre, il padre, la sorellina di 3 anni Malak, e altri 16 membri della famiglia allargata.

“Suo padre attendeva con ansia l’arrivo della sua bambina e voleva chiamarla ‘Rouh’, che significa anima, ma ho scelto di chiamarla Sabrine Al-Rouh in onore di sua madre, esaudendo anche il desiderio di suo padre prima che venisse ucciso”, ha raccontato Rami a +972. “Per quanto tempo continueranno questi massacri? Il mondo non dà attenzione al genocidio che viene commesso contro di noi”.

Manal Abu Al-O’uf, sette mesi.

Durante la prima settimana dell’attacco israeliano, Mo’emen Abu Al-O’uf, 26 anni, è stato sfollato con la sua famiglia dalla casa a Gaza City e ha cercato rifugio presso alcuni parenti a Deir al-Balah, rassicurati dagli avvisi di evacuazione israeliani secondo i quali le aree a sud di Wadi Gaza erano sicure. Ma il 14 ottobre, solo un giorno dopo essere stati sfollati, gli aerei da guerra israeliani hanno bombardato la casa accanto a dove alloggiavano, senza alcun preavviso. Mo’emen e suo fratello sono sopravvissuti all’esplosione riportando delle ferite, ma sua moglie, Alaa (22), la sua bambina, Manal (sette mesi), e sua madre, Manal (53), sono state tutte uccise.

“All’inizio, ho pensato che quello che mi era accaduto fosse solo un sogno”, ha raccontato. “Ho provato un angosciante senso di perdita e dolore che solo qualcuno che ha sperimentato l’amarezza della perdita dei propri cari può comprendere”.

Negli 11 mesi successivi all’attacco, Mo’emen è stato accompagnato dai ricordi della sua famiglia e dal dolore devastante dovuto alla loro perdita. “I giorni più felici della mia vita sono stati quando ho sposato Alaa il 12 dicembre 2021 e quando è nata mia figlia Manal, ma l’occupazione mi ha privato di quella gioia uccidendoli. Erano innocenti. Erano combattenti? Portavano armi?”.

Naeem e Wissam Abu Anza, cinque mesi e mezzo.

Il 2 marzo, un attacco aereo israeliano ha preso di mira la casa della 29enne Rania Abu Anza nel quartiere di Al-Salam, a est di Rafah, uccidendo i suoi gemelli neonati insieme al marito e a 11 parenti che avevano cercato rifugio da loro. Rania è sopravvissuta al bombardamento ed è stata tirata fuori dalle macerie della sua casa distrutta.

“Stavamo dormendo quando la casa è stata attaccata”, ha raccontato Rania a +972. “All’improvviso, mi sono ritrovata sepolta sotto un cumulo di macerie. Non ho sentito il missile che ci ha colpiti. Ho urlato, sperando che qualcuno ci salvasse, mentre le macerie ricoprivano i corpi dei miei figli e di mio marito. Sono stati tutti uccisi”.

C’erano voluti molti anni perché Rania rimanesse incinta. “Abbiamo lottato molto per avere figli”, ha spiegato. “Mi sono sottoposta a tre procedure di inseminazione artificiale; i primi due tentativi sono falliti e ci siamo riusciti al terzo tentativo. Sono rimasta incinta dei miei gemelli, Naeem e Wissam, e li ho partoriti il 13 ottobre”.

“Non avrei mai immaginato di perdere i miei gemelli e mio marito”, ha continuato Rania. “Avevo atteso con ansia il giorno in cui li avrei visti crescere davanti ai miei occhi, ma ora sono rimasta sola. Ancora oggi, cerco tra le macerie sparse della casa i ricordi dei miei figli: le loro coperte e i vestiti che sognavo avrebbero indossato. Conservo ancora i loro vestiti e continuo a indossare l’anello di mio marito, con cui ho condiviso i giorni più belli della mia vita. Ma l’occupazione ha ucciso il mio sogno e mi ha impedito di essere madre”.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi