I palestinesi del Libano: una vita di diritti ridotti e opportunità limitate

img_03111downloadMemo. Di Jessica Purkiss. Il novembre scorso ha segnato i 60 anni dalla pubblicazione della convenzione delle Nazioni Unite del 1954 che ha affrontato la questione degli apolidi. Ad oggi, però, la questione è lungi dall’essere risolta, ed essere apolidi – non considerati cioè di nessuna nazionalità – è una condizione che riguarda almeno 10 milioni di persone in tutto il mondo. Per ricordare il sessantesimo anniversario dell’impegno dell’Onu, Middle East Monitor ha prodotto una serie di articoli sulla mancanza di rappresentanza statale dei palestinesi.
I campi profughi palestinesi in Libano vennero costruiti per essere temporanei. I palestinesi in fuga dalla violenza che precedette e seguì la fondazione dello Stato di Israele speravano di ritornare, in un futuro non lontano, nella loro patria.
Sono circa 450 mila i palestinesi registrati all’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione) in Libano, e molti di loro vivono nei 12 campi profughi ufficiali del Paese. I campi, costruiti per offrire un rifugio temporaneo, sono diventati la casa di generazioni di palestinesi nati in esilio, mentre le loro infrastrutture crollavano con la crescita della popolazione spinta a riversarsi fuori dai loro confini.
Il Libano non è tra i Paesi firmatari della Convenzione Onu sui rifugiati del 1951, e il suo protocollo del 1967 non riconosce i diritti fondamentali e gli obblighi legali nei confronti dei profughi. In Libano, ai profughi palestinesi, pur se nati e cresciuti nel Paese dei cedri, sono negati i diritti sociali, economici e politici garantiti invece ai libanesi. Loro sono degli «apolidi», e da ciò derivano molte disparità.
Prima dell’invasione israeliana del 1982, il Libano era il centro del movimento nazionale palestinese. All’invasione israeliana seguì l’espulsione dei combattenti dell’Olp dal Libano, e si ebbe il massacro nei campi palestinesi di Sabra e Shatila, perpetrato dalle milizie libanesi controllate dall’esercito israeliano. In seguito all’invasione e al ritiro dell’Olp dal Libano, gli spostamenti da e verso i campi profughi libanesi iniziarono a essere rigidamente controllati. Oggi i profughi palestinesi sono considerati più una preoccupazione per la sicurezza che una questione umanitaria.
Pur se costituiscono il 10% circa della popolazione libanese, loro sono isolati dalla sfera sociale, politica ed economica del Libano, e vengono trattati con disprezzo. Il timore è che garantendo maggiori diritti si giunga alla naturalizzazione e all’insediamento permanente, che minerebbero il fragile equilibrio politico del Libano. Pertanto, la comunità dei rifugiati palestinesi del Libano è considerata la più marginalizzata della diaspora palestinese.
Essere senza Stato in Libano indica quale mestiere puoi fare, quanto puoi guadagnare, dove puoi abitare, se puoi avere delle proprietà. Definisce, in breve, ogni aspetto della tua vita.
Zizette Darkazally, dell’Unrwa, ha detto: «Le parole non bastano a descrivere le condizioni di vita nei campi profughi costruiti come campi temporanei negli anni ’40 e ’50. La gente ha costruito le proprie case con la promessa della temporaneità, ma ancora non si hanno indicazioni sul fatto che la loro condizione possa finire».
«Il Libano è un Paese in cui i palestinesi vivono isolati, e non sono visti come parte della società», ella aggiunge. «C’è un senso di mancanza di appartenenza, ed essi vivono con la promessa del ritorno».
Essere apolide segna il tuo futuro dalla nascita. Le cure mediche di base, nei campi profughi, sono fornite dall’Unrwa o da cliniche senza scopo di lucro. Un medico dell’Unrwa di solito visita, in media, 117 pazienti al giorno.
I palestinesi non hanno accesso al sistema scolastico pubblico. L’Unrwa gestisce 74 scuole in Libano, e 2 centri professionali che non possono soddisfare tutte le richieste della popolazione giovanile in aumento. L’organizzazione stima che la metà degli adolescenti palestinesi lascia la scuola prima di aver completato il ciclo d’istruzione. Solo lo 0,1% prosegue con l’università.
Se pure proseguono all’università, le loro opportunità di carriera sono immediatamente limitate. I profughi palestinesi in Libano sono esclusi da certe professioni, tra cui la medicina, il diritto e l’ingegneria. Sebbene nel 2005 sia stato loro permesso l’accesso a lavori di basso livello e di tipo impiegatizio, e nel 2010 abbiano avuto accesso ad altre occupazioni, ci sono ancora delle restrizioni. Una politica di reciprocità colpisce ancora i palestinesi «apolidi», nonostante le azioni messe in atto per sortire un cambiamento in questa situazione, e ermane l’idea che loro non possano essere impiegati come altri stranieri appartenenti a Stati che possano offrire benefici simili ai libanesi. Ad esempio, il dottore più giovane del mondo, Iqbal Assa, nato e cresciuto in Libano, non è riuscito a trovare un lavoro a causa della sua condizione di palestinese, ed ha dovuto trasferirsi a lavorare negli Stati Uniti.
Ne consegue che circa il 56% degli operai palestinesi sono disoccupati, e solo il 37% della popolazione in età da lavoro è impiegata, secondo le statistiche dell’organizzazione Anera. Il Libano ha la più alta percentuale di profughi palestinesi che vive in estrema povertà.
Dei 75 mila palestinesi che costituiscono la forza-lavoro del Libano, il 20% ha un contratto scritto, il 66% si trova al di sotto del livello di povertà, il 75% guadagna meno del salario minimo (305$ le donne e 369$ gli uomini) e il 95% non ha un’assicurazione sanitaria. Nonostante aver contribuito con 14 milioni di dollari al Fondo per la sicurezza nazionale, secondo un grafico informativo di Visualizing Palestine gli operai palestinesi non hanno accesso ai benefici sulla salute (diversamente da, ad esempio, gli operai francesi).
Molti rifugiati palestinesi sono registrati all’Unrwa o alle autorità libanesi, ma molti non lo sono. Questi profughi «privi di identità» sono soggetti ad ancor maggiori limitazioni. Residendo illegalmente in Libano non possono registrare i matrimoni, diplomarsi alle scuole superiori o iscriversi a corsi d’istruzione superiore sia pubblici che privati, difficilmente hanno accesso ai servizi dell’Unrwa e non possono permettersi di pagare le cure mediche. In base alla legge libanese, i bambini dei profughi privi d’identità, anche se nati in Libano e anche se le loro madri sono registrate o cittadine libanesi, non sono legalmente riconosciuti e pertanto non possiedono alcun documento che attesti la loro esistenza.
Con la crisi siriana i profughi palestinesi dalla Siria si sono riversati a migliaia in Libano in cerca di protezione. Human Rights Watch e l’Unrwa hanno espresso preoccupazione, quest’anno, quando il Libano ha bloccato l’ingresso ai palestinesi in fuga dalla Siria.
All’inizio essi vennero ben accolti dai rifugiati palestinesi del Libano, ma Darkazally dice che «ora sono in competizione per gli stessi spazi, per il lavoro e i servizi». Lei ritiene che l’Unrwa era in difficoltà prima e lo è ancor più adesso, col l’afflusso di profughi dalla Siria.
Il campo di Nahr al-Bareed, nel nord del Libano, ad esempio, venne distrutto nel 2007 nel corso di combattimenti tra il gruppo militante Fatah al-Islam e l’esercito libanese. Circa 15 mila residenti stanno ancora aspettando di ritornare nelle loro case. Restrizioni nei lavori di restauro, anche minimi, e nell’ingresso di materiali per l’edilizia nei campi, rendono la ricostruzione un processo molto lento. Mentre i nuovi profughi entrano, l’attenzione dell’Unrwa è deviata da altri progetti, come questo.
Nel 1965 il trattato di Casablanca della Lega araba obbligò gli Stati arabi a mantenere lo status dei rifugiati palestinesi non concedendo loro la cittadinanza, ma decise allo stesso tempo che ai profughi venissero dati gli stessi diritti riservati ai nazionali. In Libano generazioni di profughi sono nate con diritti ridotti e opportunità limitate. Gonfiandosi il numero dei profughi, con le presenze provenienti dalla Siria, è probabile che essi si troveranno ad affrontare ulteriori difficoltà.
Traduzione di Stefano Di Felice