I racconti dei crimini commessi dall’occupazione israeliana nella zona di Tall al-Hawa

Gaza – Infopal. Nessun angolo della Striscia di Gaza è stato risparmiato dall’aggressione israeliana, distruzione e odore di morte si percepiscono ovunque, ogni cosa ci ricorda che ‘l’occupazione è passata di qui’.

Il corrispondente di Infopal.it ha visitato una delle zone disastrate della Striscia di Gaza dove, durante l’ultima aggressione israeliana, si sono vissuti avvenimenti eccezionali: l’area di Tall al-Hawa è stata infatti testimone di atti di terrorismo, uccisioni e distruzione. Ovunque si volti lo sguardo, si vedono case bombardate, famiglie in fuga, muri trivellati di colpi, finestre a pezzi, infrastrutture in rovina.

 

Terrorismo e devastazione. Ali al-Manirawi Abu Wael, un uomo di 53 anni, lavora come guardiano al palazzo degli ingegneri, uno dei palazzi maggiormente colpiti. Racconta quanto gli è accaduto durante l’invasione.

“Quando le forze di occupazione israeliane sono entrate nella zona di Tall al-Hawa, il 14 gennaio scorso, ero al lavoro. Alle dieci di sera ho spento il generatore elettrico del palazzo e sono andato a mangiare. Poco dopo ho sentito un movimento fuori dal normale lì intorno, rumore di bombe, spari all’impazzata; allora ho capito che le forze di occupazione stavano invadendo l’area, protette dall’alto dagli aerei di guerra, che lanciavano razzi in maniera folle”.

“Appena penetrati nella zona, i soldati hanno fatto irruzione nelle case abitate e hanno iniziato a sparare. In quel momento tutto era immobile, perché i soldati aprivano il fuoco contro ogni cosa che si muovesse. Dopo aver fatto saltare le porte, hanno invaso gli appartamenti e hanno radunato gli uomini in un appartamento del palazzo vicino, mentre le donne e i bambini li hanno raccolti in un altro appartamento dello stesso palazzo”.

Abu Wael prosegue il suo racconto. “I soldati hanno fatto irruzione nella stanza dove mi trovavo, hanno distrutto le porte, le finestre, le mattonelle e tutto l’arredo. Mi hanno bendato gli occhi, legato le mani e portato nell’edificio vicino, il Palazzo Ramsis. Mi hanno picchiato con il calcio dei fucili, e hanno sparato all’impazzata sopra la mia testa e intorno a me. Non credevo di uscirne vivo”.

“Siamo rimasti sotto sequestro dalle undici e mezzo di sera fino alle sette del mattino seguente. Ho sentito i soldati israeliani parlottare in ebraico – che conosco bene – e dire di voler ucciderci tutti. Ci hanno interrogato: ‘Dove sono le vostre armi? Siete di Hamas? Da dove lanciate i missili?’. E poi ci hanno picchiato e insultato. Eravamo più di cinquanta persone nell’appartamento”.

Il guardiano riferisce che i soldati israeliani hanno preso le loro carte d’identità e i cellulari, controllandone i numeri tramite il computer. Li hanno terrorizzati fino a tarda notte; dopo hanno portato loro un po’ di scatolame “rubato al supermercato vicino” per farli mangiare. Alla fine di quella terribile notte, gli abitanti sequestrati temevano di uscire fuori, perché credevano che i soldati fossero ancora nel quartiere. Una volta in strada, si sono trovati di fronte cadaveri in terra, macchine e negozi bruciati, palazzi distrutti.

 

Scacciati di casa. Khamis Hammuda, un altro testimone di quei terribili giorni, racconta che “la notte, quando sono arrivati i carri armati, ero in casa. Sembrava che avessero visto i miei movimenti. Mi hanno sparato contro una granata. Fortuna che abbia colpito il palo della luce facendolo a pezzi. I frammenti però sono entrati in casa, rovinando finestre e tende e bucando i muri. Il carro armato ha sparato di nuovo, ma anche questa volta, per fortuna, ha colpito un grande albero, rovinandolo e danneggiando l’ingresso del palazzo. Le forze di occupazione hanno radunato tutti gli abitanti: i giovani sono stati portati in un appartamento, mentre le donne, i bambini e gli anziani sono stati mandati all’ospedale al-Quds, vicino alla zona dei palazzi. Io sono andato con loro all’ospedale, dove siamo rimasti per due ore. La direzione dell’ospedale ci ha poi trasferiti alla scuola az-Zaitun. Lì abbiamo passato la notte senza materassi né coperte. Quella notte non sono riuscito a dormire per il freddo. Dopo aver saputo che le forze di occupazione si erano ritirate, siamo tornati alle nostre case, dove abbiamo trovato la devastazione.

 

Scudo umano. La storia di Abu al-Amir è tra le più interessanti. “Alle sei e mezza del mattino di giovedì 15 gennaio, l’esercito israeliano ha invaso il nostro rione e ha fatto saltare la porta del mio appartamento. I soldati hanno puntato selvaggiamente le armi contro di noi e hanno sparato dentro casa, distruggendo i vetri, le tende, i libri, gli armadi e bucando i muri. Per mia fortuna conosco l’ebraico e ho gridato: ‘In questa casa ci sono bambini piccoli, donne e un uomo anziano, non ci sono armi! Vogliamo la pace, non vogliamo la guerra!’”. I soldati gli hanno chiesto di far uscire tutte le persone presenti nell’appartamento. Gli uomini hanno dovuto togliersi i vestiti e le donne andare nell’appartamento accanto. Poi gli hanno detto d’informare tutti gli abitanti del palazzo di uscire dai rispettivi appartamenti, lasciando le chiavi nelle porte; in caso contrario le avrebbero fatte saltare. Lui ha eseguito gli ordini. Tutti i giovani del palazzo sono stati radunati in un appartamento, le donne e i bambini in un altro. “Abbiamo udito violente esplosioni di porte chiuse che hanno seminato il terrore tra i bambini e le donne”.

Le forze di occupazione gli hanno chiesto di fare la stessa cosa con il palazzo vicino, ma Abu al-Amir ha espresso il suo timore ai soldati: “Mi prendete per scudo umano? Io ho paura di fare da obiettivo ai vostri o agli uomini della resistenza”. Gli hanno risposto di non temere e che lo avrebbero protetto. È andato allora al palazzo vicino e ha informato tutti di quello che dovevano fare.

I soldati israeliani gli hanno ordinato infine di portare le donne e i bambini all’ospedale al-Quds. Appena usciti, i carri armati hanno cominciato a sparare, costringendoli a tornare indietro. Abu al-Amir ha chiesto di far cessare il fuoco per poter condurre via le persone affidategli. L’ufficiale ha contattato i soldati ordinando di non sparare. Ha poi detto ad Abu al-Amir di accompagnarle e di ritornare subito, ma lui è rimasto in ospedale.

 

Il Campo Barcellona. Nemmeno il campo da gioco Barcellona, unico respiro per la gente, è stato risparmiato alla devastazione israeliana, che lo ha raso al suolo. Il piccolo Mohammad Abu Tair ha riferito che questo posto era un luogo di svago per molte persone, lo era anche per la sua famiglia. Ogni pomeriggio ci andavano per rilassarsi e giocare, perché c’erano gli alberi, una piscina e il prato verde. Mohammad si è poi chiesto chi fosse il responsabile della rovina del giardino, del campo sportivo e di tutti i giochi per i bambini.

 

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