I rifiuti di Israele nei polmoni dei palestinesi…

I RIFIUTI DI ISRAELE NEI POLMONI DEI PALESTINESI

2 aprile

di Alessandro Iacuelli

Un servizio televisivo mostra le scene, inequivocabili per chi queste
cose le ha già viste in casa propria, del proliferare di discariche
abusive, che traboccano di big bag, i grandi sacchi ad uso industriale
riempiti di polveri, scarti, rifiuti speciali, spesso tossici.
Stavolta, non è Napoli, e neanche Caserta. Non è la Campania. E’
invece la Cisgiordania, ed il servizio televisivo va in onda su Al
Jazeera, in lingua araba, ma arriva via satellite fino a noi. Fusti e
big bag, rotti, aperti, dai quali fuoriescono polveri finissime, che
si mischiano al terreno, contenitori che all’esterno recano scritte
inequivocabilmente in ebraico. L’allarme non è nuovo. Due anni fa un
rapporto di Friends of the Earth Medio Oriente, una organizzazione
ambientalista di cui fanno parte israeliani, palestinesi e giordani,
ha segnalato che lo scarico improprio di rifiuti tossici è diventato
una minaccia per l’acqua potabile nella regione, che a dire il vero è
anche molto poca. I rifiuti tossici infatti si infiltrano nei terreni,
e sostanze quali cloro, arsenico ma anche metalli pesanti come cadmio,
mercurio e piombo finiscono nelle falde acquifere.

Il bacino che alimenta quelle falde è parte in Cisgiordania, e parte
in Israele, e fornisce acqua ad una popolazione di oltre 3 milioni di
persone, 2,3 milioni di palestinesi e 235.000 coloni israeliani in
territorio palestinese, a cui si aggiunge mezzo milione di israeliani
entro i confini internazionalmente riconosciuti di Israele. Dalla
pubblicazione di quel rapporto qualcosa è cambiato: il governo tedesco
ha costruito un impianto per il trattamento di rifiuti solidi vicino a
Ramallah e la Banca Mondiale, con l’Unione europea, ha completato una
discarica vicino a Jenin. Ma resta il pericolo di contaminazione delle
falde acquifere, sostengono i membri di Friends of the Earth
israelo-palestino-giordani. Ancora oggi.

La gestione del ciclo dei rifiuti – e ovviamente non si parla di
comuni rifiuti urbani – è certamente l’aspetto meno noto della vita
quotidiana nei territori palestinesi di Cisgiordania. Eppure è una
vera crisi, una vera emergenza per certi versi più delicata di quella
campana: tocca un bene che in una zona semidesertica è tanto raro
quanto prezioso: l’acqua potabile. Un’emergenza che preoccupa i gruppi
ambientalisti sia palestinesi sia israeliani: il moltiplicarsi di
discariche di rifiuti tossici. Quel servizio televisivo di Al Jazeera
ha raccontato il caso di Jima’in, un villaggio nel distretto di
Nablus: qualche settimana fa gli abitanti si sono lamentati che camion
israeliani andavano a scaricare rifiuti tossici sul loro territorio.

In merito a questi sversamenti, assolutamente illeciti, il
vicedirettore del settore ambientale dell’Autorità Nazionale
Palestinese, Ayman Abu Thaher, non ha esitato a dichiarare che non si
tratta di un caso isolato: "Da anni gli israeliani usano la
Cisgiordania come alternativa facile per scaricare i loro rifiuti, a
spese della salute dei palestinesi". Il funzionario dell’ANP sostiene
che molte industrie israeliane preferiscono questa soluzione di stampo
mafioso, piuttosto che portare i loro scarichi tossico-nocivi nella
discarica apposita per i rifiuti speciali, situata a Ramot Havav,
nell’Israele meridionale. Spiega anche che nel 1985 una ditta
produttrice di pesticidi per l’agricoltura ha chiuso il suo
stabilimento a Kfar Sava, in territorio israeliano, per ingiunzione
del tribunale locale, che aveva accolto le petizioni degli abitanti
locali contro l’inquinamento.

L’attività produttiva è stata spostata in un nuovo stabilimento a
Tulkarem, nella Cisgiordania settentrionale, a pochi metri dagli
insediamenti palestinesi. Anche questo, accusa Abu Thaher, non è un
caso isolato: "Un certo numero di aziende israeliane si sono spostate
in Cisgiordania per sfuggire alle strette normative che in Israele
governano lo smaltimento degli scarichi, in particolare tossici". Al
Jazeera ha intervistato anche Tzali Greenberg, portavoce del ministero
per l’ambiente israeliano. Greenberg ha dichiarato che invece Israele
applica le sue normative ambientali anche alle aziende che operano in
territori palestinesi, e chi viola le regole viene perseguito:
"Segnalateci le irregolarità, saremo felici di intervenire", ha concluso.

Greenberg viene però smentito dall’Applied Research Institute (ARI),
un istituto indipendente di ricerca ambientale di Gerusalemme, il
quale sostiene invece che le autorità israeliane sono piuttosto
tolleranti, quando si tratta di scarichi tossici che avvengono in
territorio palestinese.
Secondo l’ARI, che gli scarichi provenienti dagli insediamenti
israeliani in territorio palestinese includono sia reflui domestici,
sia sostanze tossiche agricole, amianto, batterie, cemento, alluminio.

Tutto questo non fa che aggravare la gestione del ciclo dei rifiuti
palestinese, basato su discariche improvvisate anche per le
restrizioni ai movimenti imposte dall’esercito israeliano, oltre ad
una mancata gestione dei rifiuti speciali. Infine, secondo Friends of
the Earth, è comparsa una nuova minaccia alla salute degli abitanti
della Cisgiordania: i frequenti roghi di rifiuti speciali di
provenienza israeliana.

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