I soldati israeliani rivelano gli abusi sui palestinesi nei territori occupati

Kitty Holland – Irish Times. Yeuda Shaul, un ex soldato israeliano che ha servito in Cisgiordania e a Gaza, racconta come una notte, mentre erano di pattuglia, lui e i suoi compagni si sono appropriati di un televisore per guardare una partita dei Mondiali. Era il 2002, giocava il Brasile. “Passavamo quelle pattuglie notturne bussando in abitazioni a caso. Ci entravamo, facevamo alzare tutti, uomini in una stanza, donne in un’altra, mettevamo tutto a soqquadro, e via nella casa successiva. Quella notte volevamo vedere la partita, così stavamo cercando una casa con la parabola. Ne abbiamo trovata una, siamo entrati e abbiamo tenuto la famiglia chiusa in cantina mentre guardavamo la partita. Perché non avremmo dovuto? È quello che facciamo nei territori occupati”.

“Il messaggio più importante che ricevi dai superiori nell’esercito israeliano è che ogni palestinese deve sentire di avere Israele con il fiato sul collo. Così, ti adegui in fretta all’ambiente. Non vedi i palestinesi che hai di fronte come umani. Sono ridotti a oggetto”.

La storia è accompagnata da una foto che ritrae un giovane soldato israeliano che ghigna alla macchina fotografica, nel soggiorno di una famiglia palestinese, sullo sfondo la suddetta partita alla televisione. È una delle centinaia di foto da brividi che sono state scattate da ex membri delle Forze di Difesa Israeliane, a loro stessi e ai loro colleghi, mentre sono occupati in quello che Shaul dice essere diventato il comportamento “normale” dopo essere stati inviati nei territori occupati della Cisgiordania e di Gaza. Una frazione – circa 85 – sono state mostrate dal progetto Breaking the Silence di Dublino a partire dal 25 giugno.

Altre fotografie mostrano un uomo palestinese, bendato, le mani legate, la testa piegata. Un giovane soldato israeliano è accucciato accanto a lui e sorride alla macchina, in un’immagine che ricorda quelle del 2003 nella prigione di Abu Ghraib in Iraq. Un’altra mostra un adolescente, anche lui con le mani legate e bendato, lasciato a sedere, mentre i soldati israeliani chiacchierano sullo sfondo.

Una delle più inquietanti è quella di un bambino, sembra tra i 7 e i 10 anni, che “gioca ai soldati”. Alcuni stanno evidentemente “interpretando” i palestinesi, le mani contro il muro, le gambe divaricate, mentre un altro “interpreta” il soldato dell’occupazione, puntandogli addosso un bastone come “pistola”. Un soldato israeliano sta guardando.

“Queste esperienze sono normali per questi ragazzini”, afferma Shaul. “È la loro realtà fin da piccoli”. Il progetto di Breaking the Silence, “Non lo sapevamo”, è stato iniziato da Shaul 10 anni fa, dopo aver concluso il servizio di leva a Hebron con l’Idf. Dopo le scuole superiori, tutti i maschi israeliani devono trascorrere tre anni nell’esercito; e le ragazze due, con alcune eccezioni.

“Quando sono tornato, ho iniziato a chiedermi cosa avevo fatto, che cosa avevo fatto al popolo palestinese. Una volta compresa la realtà di quel che avevo fatto, ho capito di non poter andare avanti senza fare qualcosa. Ho iniziato a parlare con i colleghi nell’esercito e ho scoperto che anche per loro era lo stesso. Continuavamo a imbatterci nel fatto che non lo sapevamo.

Gli israeliani, dice, non sapevano – o non volevano sapere – degli abusi che, afferma, vengono perpetrati tutti i giorni nei territori occupati. “I soldati tornano a casa, magari per un fine settimana. È una realtà diversa. Non parlano della realtà nell’esercito. Quello che succede in Cisgiordania resta in Cisgiordania”. Lui e i suoi colleghi hanno cominciato a raccogliere fotografie e testimonianze e le hanno esposte in tutto Israele, compreso il parlamento, il Knesset. Il loro lavoro ha avuto “risonanza”, racconta, e per un po’ sono stati la storia principale nel paese. Aveva aperto una discussione e qualche consapevolezza, ma, racconta, la maggior parte degli israeliani scelsero di sostenere che se l’occupazione “funziona, non si cambia”.

“Ciò che abbiamo documentato non sono incidenti isolati. È la storia di ciò che succede quando un bravo ragazzo di Gerusalemme o di Tel Aviv viene mandato nei Territori. Si adatta”.

Quando gli è stato chiesto un commento, un portavoce dell’ambasciata israeliana a Dublino ha affermato: “Breaking the Silence rappresenta solo una minoranza non significativa dei veterani dell’Idf (meno di 1000 persone). Non è un’organizzazione per i diritti umani obiettiva. È un’organizzazione politica che vuole solo macchiare la reputazione dell’Idf e, per estensione, dello Stato israeliano.

“Quelli di Breaking the Silence sono dei cosiddetti ‘useful idiot’, organizzazioni manipolate per scopi politici dalle campagne internazionali di boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni contro Israele. Cercano di delegittimare e infine distruggere lo stato di Israele in quanto patria nazionale del popolo ebraico”.

Breaking the Silence ha esposto le sue foto negli Stati Uniti, a Berlino, Madrid, Amsterdam, Copenhagen e Bruxelles, e continua a raccogliere fotografie e testimonianze dei soldati in congedo. Si è tenuto alla Gallery of Photography del Temple Bar di Dublino dal 25 al 29 giugno, presentato dall’agenzia cattolica irlandese Trócaire, con entrata libera.

Traduzione di Elisa Proserpio