Il capitolo egiziano della primavera araba finisce diversamente dal previsto

Reuters/Ma’an. Di Samia Nakhoul

Il capitolo egiziano della “primavera araba” non è finito com’era stato scritto dai rivoluzionari di piazza Tahrir. Hanno deposto un dittatore militare, si sono assicurati le prime elezioni presidenziali libere della loro storia, ma possono averle perse di fronte a un presidente islamista conservatore. Ma non c’è solo questo. I generali che avevano sostenuto, e poi deposto, Hosni Mubarak rimangono aggrappati al potere.

La Fratellanza Musulmana ha affermato che il suo candidato, Muhammad Mursi, 60 anni, ha vinto le elezioni contro il militare rivale Ahmed Shafiq, 60 anni, ma un’azione giuridica spiazzante da parte dei governanti militari del Cairo ha chiarito che i generali hanno intenzione di mantenere il controllo – anche se il rifiuto di Shafiq di ammettere la sconfitta risultasse essere giustificato.

“Questo è più un episodio di una lotta di potere che una vera e propria elezione”, ha dichiarato alla Reuters Anthony Cordesman, un ex funzionario dell’intelligence degli Stati Uniti e ora al “Center for Strategic and International Studies” di Washington. “Non è chiaro chi governerà, chi saranno i veri capi, e chi – se mai ci sarà – rappresenterà il popolo. Ciò che è chiaro è che l’Egitto, ora, non è più vicino alla stabilità e a un percorso prevedibile per il futuro di quanto non lo sia stato nel passato”.

In realtà, il nuovo presidente sarà subordinato per un po’ di tempo almeno ad un consiglio militare composto da 20 uomini, il quale, lo scorso anno, mise da parte Mubarak per placare le proteste di piazza. Nell’ultimo colpo di scena in un Egitto ancora ben lontano da una completa democrazia, i generali hanno emesso un decreto, domenica 17 giugno, mentre stavano finendo le votazioni, che tagliava le ali al presidente fissando limiti severi ai suoi poteri e pretendo che le prerogative dei parlamentari tenute dall’assemblea fossero dissolte la settimana scorsa. “Questa è la loro polizza di assicurazione contro una vittoria dei Fratelli Musulmani. Mostra fino a che punto i generali sono disposti ad arrivare per mantenere i loro interessi e la loro stretta sul potere”, ha detto Salman Shaykh del “Brookings Doha Center”.

I limiti della Fratellanza. La lotta per il potere, dicono gli analisti, sarà quasi certamente un’escalation tra le due minacciose potenze dopo che l’esercito, che controlla fasce economiche dell’Egitto, ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di cedere il potere al suo vecchio nemico, la Fratellanza. “Questo è il culmine di decenni di rivalità tra l’esercito e islamisti -, ha detto Shaykh -, che potrebbe davvero esplodere”. “Se vedremo un approccio più aggressivo allora staremo parlando di qualcosa di simile all’Algeria”, ha affermato, riferendosi all’Algeria nel 1992, quando l’esercito sciolse il parlamento, dopo che gli islamisti vinsero le elezioni. A ciò seguirono 20 anni di conflitto.

Aggiungendosi al pantano giuridico, una sentenza, in un caso di contestazione della legalità della Fratellanza, che sotto Mubarak era stata vietata, potrebbe essere emessa martedì (ieri, ndr). Le sentenze consolidano ulteriormente il potere nelle mani dell’esercito, dopo che il ministero della Giustizia ha dato ai generali e all’Intelligence poteri enormi per arrestare, detenere e processare i civili senza mandato giudiziario. “Ciò che è successo mostra che non è uno stato che dimentica, che lascia andare. Esso mostra un lato oscuro di questo regime”, ha affermato Shaykh.

Nonostante la sua dichiarazione di vittoria basata sui conteggi iniziali che le hanno dato il 52% rispetto al 48, la Fratellanza non è ancora fuori dai guai. Ci sono una serie di scenari in base ai quali la vittoria della Fratellanza potrebbe venire sabotata. Anche se i monitor hanno ampiamente garantito un controllo delle votazioni, potrebbero ancora esserci abbastanza segnalazioni di irregolarità nel caso un determinato stato volesse contestare giuridicamente i risultati. L’onere, hanno detto i diplomatici, spetterebbe agli Stati Uniti – patrono principale e sponsor ufficiale dell’esercito – per fare pressione sul Feldmaresciallo Hussein Tantawi affinché il suo mandato termini il 1° luglio, lasci il potere e permetta a un presidente civile di governare.

I due candidati  si sono affrontati in un secondo ballottaggio che ha polarizzato la nazione e ha lasciato una parte della società, che ha deposto Mubarak durante le proteste popolari, fuori dal gioco, con neanche uno dei candidati che faccia appello alle loro aspirazioni liberali o riformiste.

Molti elettori erano scoraggiati dalla scelta tra un uomo visto come un erede di Mubarak e il candidato di un partito religioso che temono possa invertire le tradizioni sociali liberali.

La Fratellanza contesta il potere dell’esercito di sciogliere il parlamento e ha avvertito su “giorni pericolosi” in vista. Ma, hanno affermato diplomatici e osservatori, la loro sopportazione è stata indebolita da 16 mesi di transizione disordinata e spesso sanguinosa.

I diplomatici hanno detto che il gruppo, reso fuorilegge sotto Mubarak, potrebbe evitare il confronto nelle strade, per paura di offrire ai propri avversari un pretesto per reprimerlo.

“Ciò che piacerebbe alle forze contro-rivoluzionarie è che la Fratellanza Musulmana si gettasse per le strade, allora ci sarebbe un vero e proprio pogrom. Ecco perché non credo che accadrà”, ha dichiarato un diplomatico occidentale di spicco.

“Penso che la Fratellanza… terrà la sua gente sotto controllo”, ha aggiunto.

Un presidente “senza denti”. Le tensioni con i militari sono esplose quando il gruppo islamista ha rinnegato la promessa di non candidarsi alle elezioni, un’inversione a “U” che pesa duramente sulla grande vittoria in parlamento più di quanto si poteva pensare.

Il diplomatico ha detto che è stato “uno shock per tutti”, in particolare per l’esercito, quando la Fratellanza ha nominato Khairat al-Shater come prima scelta del gruppo solo per vederlo squalificare e per essere costretta a chiamare Mursi al suo posto.

Aggiungendosi a questo passo falso, una legge è stata proposta da alcuni suoi parlamentari per imporre restrizioni islamiche che hanno ribaltato il sostegno pubblico contro di loro.

Alcuni egiziani hanno anche visto con nervosismo la militanza islamista e le violenze in Tunisia.

Per molti egiziani la loro rivoluzione, che ha seguito quella in Tunisia, sembra ormai vittima di un colpo di stato dai generali che hanno cambiato il capo dell’esecutivo, Mubarak, ma non hanno toccato il sistema che ha tenuto lui e i suoi predecessori al potere da sei decenni.

Da quando l’esercito rovesciò l’era della monarchia coloniale nel 1952, ha costruito una immensa ricchezza e interessi commerciali basati su industrie, seguita da una stretta alleanza con gli Usa iniziata dopo la firma, nel 1979, di un trattato di pace con Israele. Con questa rete di interessi e di alleanze, è improbabile che cederà il potere.

La preoccupazione per i militari è che la Fratellanza potrebbe forse sfidare la loro posizione, così come ha fatto il partito turco AK con i suoi islamisti, imbrigliando i generali. I militari si preoccupano anche che gli islamisti, con la loro ardente retorica anti-israeliana, possano indebolire l’accordo con Israele.

A livello regionale, l’ascesa al potere della Fratellanza nella nazione più popolosa del mondo arabo innervosirebbe le monarchie arabe del Golfo, che sono riuscite a evitare di essere travolte dalla primavera araba che ha rovesciato i leader in Tunisia, Libia e Yemen.

Israele teme che la Fratellanza possa rafforzare le sue filiazioni, come il movimento islamico palestinese Hamas, che è in guerra contro di lei.

Malgrado i dubbi regionali e nazionali le elezioni sono state senza precedenti per una nazione che non ha mai dato ai comuni egiziani una possibilità di scegliere liberamente i propri capi in una storia politica che risale a migliaia di anni.

Ma un presidente senza poteri, un parlamento sciolto e un militare in ascesa in un paese senza una costituzione non è ciò che la maggior parte degli egiziani aveva in mente quando si è riversata nelle strade per scacciare Mubarak, all’inizio del 2011.

“Non è la fine della storia, ma qualcuno ci ha riportati alla pagina 1”, ha detto il diplomatico. “L’Egitto è indirizzato su una sempre più crescente instabilità e caos. E’ un ambiente estremamente teso e instabile. Nessuno sa cosa accadrà”, ha detto Shaykh.