Il conflitto Israele-Palestina non è uno “scontro di culture”. Riguarda il colonialismo

Jacobinmag.com. Di Bernard Porter. La Palestina è stata  maltrattata per oltre un secolo, ma la narrazione di un “tragico scontro” di due popoli  che rivendicano lo stesso territorio ancora prevale. Tale inquadramento è sbagliato: le miserie della Palestina sono il prodotto  di una conquista coloniale e colonizzatrice. (Da InvictaPalestina.org).

Recensione del libro di  Rashid Khalidi “The Hundred Years’ War on Palestine: A History of Settler Colonial Conquest and Resistance”. Profile Books, 2020.

Gli storici imperiali sanno che aspetto ha il colonialismo. La storia dell’Israele moderno si adatta chiaramente a quella categoria. Ecco perché la sinistra, che è sempre stata in prima linea nella lotta anticoloniale internazionale, sostiene più facilmente i palestinesi nell’attuale disastroso conflitto tra loro e lo stato israeliano. Non ha nulla a che fare con l ‘”antisemitismo” nel senso proprio della parola.

Il nuovo libro di Rashid Khalidi, in parte storia, in parte politica, in parte reminiscenza personale –  ha vissuto molti degli eventi  in esso descritti – racconta la storia del conflitto secolare tra arabi e sionisti dal 1917. È una storia raccontata in modo non proprio imparziale , dato che è espressa da un punto di vista palestinese, ma  anche alla luce della narrativa pro-israeliana che ha prevalso fino a poco tempo fa e che doveva in qualche modo essere controbilanciata, soprattutto nello Stato patrono di Israele, gli Stati Uniti.

Il tema che attraversa il libro è il “colonialismo”, suggerendo parallelismi tra il sionismo e molti dei famosi  esempi di colonialismo europeo in Africa, India e Sud-Est asiatico. Ovviamente, questi non erano così famosi quando accaddero, ovvero proprio  nel periodo in cui l’idea degli ebrei europei di “colonizzare” la Palestina prese piede per la prima volta, con i sionisti che non provavano imbarazzo nell’usare quel termine.

Fu solo in seguito che il colonialismo cadde in disgrazia, motivo per cui Israele ora preferisce una narrazione che  definisce gli ebrei come  “indigeni” originali del Paese (con questo “titolo” concesso nientedimeno che da Dio) e gli arabi come invasori. O questa versione, o  quella che presentava l’intero paese abitato essenzialmente da selvagge tribù nomadi: un terra nullius, quindi, come l’Australia o il  Nord America prima dell’insediamento dell’uomo bianco,  terra in cui gli ebrei avrebbero  portato la civiltà (un tropo  imperialista comune). Il sionismo non avrebbe mai potuto riconoscere quella  “nazione” che molti arabi palestinesi reclamavano. La prima parte di questo libro contiene molte prove per coloro che vogliono contestare una di queste tesi.

ll resto del libro di Khalidi è un resoconto della “guerra” unilaterale tra i moderni nazionalisti palestinesi da un lato e i sionisti ebrei e i loro potenti alleati – prima la Gran Bretagna, poi gli Stati Uniti – dall’altro. Gran parte di questa storia è abbastanza nota a coloro che sono riusciti a liberarsi dalle immagini sulla creazione dello stato di Israele proposte dall’Exodus di Hollywood, ma  il libro fornisce un’immediatezza aggiuntiva attraverso le  esperienze personali della famiglia Khalidi, in esso raccontate.

Insieme alla storia dei sionisti che hanno conquistato la Palestina per fondare  il loro nuovo stato etnico, Khalidi include una dissertazione sui mandati britannici originali, sui governi statunitensi che li hanno sostenuti e sulle vicine autocrazie arabe che, per ragioni proprie, furono – Khalidi sostiene – quasi altrettanto complici. I palestinesi avrebbero dovuto aspettarsi un maggiore aiuto da loro. Ma i loro capi furono ugualmente colpevoli, a causa delle divisioni fratricide, dei fallimenti personali e della mancanza di abilità diplomatiche e propagandistiche, che la parte israeliana possedeva invece in abbondanza. Come cittadino americano – attualmente è Edward Said professor di studi arabi moderni alla Columbia – Rashid Khalidi è ben consapevole della discrepanza  di sostegno e di finanziamenti tra la causa israeliana e quella palestinese.

Potrebbe anche essere che la pura spietatezza delle forze armate e dell’intelligence israeliane abbia intimidito i Palestinesi , come previsto: sparatorie e bombardamenti indiscriminati, assassini pianificati di leader palestinesi, torture, prigionia di massa, esilio, (molti di questi episodi raccontati nel libro); e la loro intelligente diffusione della disinformazione in Occidente.

Due aspetti di quest’ultima furono  l’eccessiva identificazione della causa palestinese con il più ampio fenomeno del “terrorismo” islamista, al fine di screditarla; e la deliberata confusione dell’antisionismo con la macchia dell’antisemitismo, accusa di cui  ovviamente nessuno a sinistra voleva e vuole  essere colpito. La causa palestinese non aveva nulla a che vedere con l’esperienza o i soldi a cui la lobby filo-israeliana americana poteva attingere.

In conclusione, Khalidi esprime la speranza che l’opinione pubblica possa ora iniziare ad essere favorevole alla causa palestinese, almeno tra i giovani americani e israeliani, e cita come prova  il movimento “Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni” (BDS) nelle università americane. Le ampiamente pubblicizzate atrocità israeliane a Gaza e in Cisgiordania  avrebbero avuto molto a che fare con questo cambiamento di opinione, contribuendo negli ultimi trenta anni circa alla straordinario cambiamento di considerazione  verso Israele da parte di molte persone.

Forse ammetterlo sarebbe di aiuto; poiché lo stesso Khalidi riconosce pienamente le passate sofferenze degli ebrei come una potente ragione per desiderare una nazione propria, così come riconosce le attuali paure di Israele per i suoi vicini, anche se crede siano esagerate. Tuttavia pensa che Israele debba abbandonare il suo strenuo sionismo – l’ultra-colonialista Eretz Yisrael, che è chiaramente l’ultimo sogno di Netanyahu, per esempio – e riconoscere che anche i palestinesi costituiscono una vera “nazione”.

Ciò spianerebbe la strada alla soluzione dei “due stati” che Israele ha sempre disprezzato, ma che l’OLP ha di recente accettato. Ciò richiederebbe però che i palestinesi riconoscano, da parte loro , la realtà delle credenziali “nazionali” di Israele, nonostante queste abbiano radici storiche meno credibili ( a meno che uno non sia un fondamentalista della Bibbia) di quanto spesso si rivendichi per loro. Come sottolinea Khalidi, nessuno le contesta nei casi di altri stati relativamente recenti fondati da coloni, come il Canada e l’Australia.

Gli Stati Uniti rimangono comunque un problema per la nazione palestinese. A prescindere dalla potente lobby israeliana, che difficilmente si osa menzionare in questi giorni per paura di essere etichettati come antisemiti, Khalidi suggerisce che la celebrazione americana della propria storia coloniale potrebbe essere un motivo per cui gli Stati Uniti danno il loro sostegno agli ampliamenti degli insediamenti israeliani nei Territori Occupati

Per queste e altre ragioni, i palestinesi dovrebbero smettere di considerare gli Stati Uniti come un potenziale mediatore, e invece trattarlo “come un’estensione di Israele … che rappresenta la sua posizione reale almeno dal 1967”. Tutti gli accordi precedenti dovrebbero essere eliminati e le trattative dovrebbero iniziare de novo. A quel punto, con l’equilibrio del mondo che, come sembrerebbe,  sta ora cambiando,  si potrebbe raggiungere una situazione in cui altre potenze emergenti, più favorevoli ai palestinesi, avranno più peso negli affari mediorientali: Khalidi suggerisce India e Cina .

“Forse”, conclude Khalidi, “tali cambiamenti consentiranno ai palestinesi, insieme agli israeliani e a tutti coloro che nel mondo desiderano per la Palestina pace, stabilità e giustizia, di elaborare una traiettoria diversa da quella dell’oppressione di un popolo da parte di un altro. Solo un tale percorso, basato sull’uguaglianza e sulla giustizia, è in grado di concludere la guerra dei cento anni in Palestina con una pace duratura, che porti con sé la liberazione che il popolo palestinese merita “. Ciò porterebbe a una conclusione più felice di questo episodio distintivo nella storia del colonialismo europeo, rispetto a qualsiasi delle alternative sperate e temute.

Per coloro che vogliono conoscere il corso del conflitto Israele-Palestina e hanno una mentalità aperta: leggete questo libro. Si presenta come una brillante sintesi di studi ed esperienze, imparziale nonostante le sue tendenze apertamente palestinesi, e ampiamente leggibile. Gli americani e gli israeliani in particolare dovrebbero leggerlo, compresi i più giovani e più liberali, nelle cui mani devono ora passare le sorti di entrambe le nazioni in questa regione. Per favore, non lasciate che la guerra vada avanti per altri cento anni.

(Foto: soldati israeliani prendono posizione mentre i palestinesi si  riuniscono per la marcia del ritorno il 13 aprile 2018. Lior Mizrahi/Getty Images).

Traduzione per InvictaPalestina.org di Grazia Parolari