Il crescente ruolo israeliano nel sud della Siria

harta_politica_Siria.gifWashingtoninstitute. Mentre i combattimenti in Siria infuriano, sembra che Israele si stia muovendo con cautela e, spesso, con riluttanza, al riguardo. Sembra che lo Stato ebraico stia assumendo un ruolo modesto nella guerra civile, limitatamente alle zone lungo il confine con le alture del Golan. Quello che era iniziato come un passo puramente umanitario, con la fornitura di aiuti medici di emergenza ai siriani feriti e malati dei villaggi vicini è diventato un meccanismo ben sviluppato per fornire una vasta gamma di materiali, dai farmaci al cibo, carburante, vestiti, mezzi di riscaldamento e altro ancora. Si dovrebbe presumere che le stesse intese che hanno portato 600 siriani feriti ad essere evacuati per il trattamento negli ospedali israeliani -tra cui un ospedale da campo militar eretto nel Golan- stiano facilitando altre forme di assistenza. Un’operazione significativa di questo tipo indica l’esistenza di un sistema di comunicazione e di frequenti contatti stabiliti con le milizie ribelli locali, dal momento che le operazioni di evacuazione dei feriti e il loro ritorno in Siria sembrano funzionare senza problemi.

Gli sviluppi in questione ricordano “The Good Fence”, la zona di sicurezza eretta lungo il confine tra Israele e Libano, quando lì la guerra civile scoppio a metà degli anni 70. Eppure, a differenza del Libano, le forze israeliane impegnate nelle operazioni di assistenza nel Golan sono state molto attente a non operare all’interno del territorio siriano e nemmeno assumersi la responsabilità per i villaggi ivi situati, la maggior parte dei quali sono abitati da una popolazione mista di sunniti, drusi e circassi, oltre a varie fazioni armate.

All’inizio, Israele ha scelto di non immischiarsi nel pantano sanguinoso in Siria. Ha anche accettato, senza protestare, la sua esclusione dalla recente conferenza di pace di Ginevra II, nonostante il grande interesse di Israele nel conflitto che si sta svolgendo lunga la linea di cessate il fuoco del 1974, tuttora in vigore. Eppure, le preoccupazioni israeliane circa le conseguenze della guerra sono state aggravate dalla comparsa degli affiliati di al-Qaeda e altre milizie islamiche radicali, che hanno guadagnato il primato tra i ribelli in molte parti del centro e del nord della Siria. Israele, apparentemente, può sentirsi in dovere di prendere delle misure volte a prevenire o, almeno, rallentare la circolazione di tali elementi nel territorio a sud di Damasco, in particolare gli appartenenti a Jabhat al-Nusra e allo Stato Islamico dell’Iraq e al-Sham (ISIS).

L’area in questione si estende dalla frontiera Golan fino al Monte dei drusi ad est, e tra la periferia sud di Damasco e la città di Deraa, dove la rivolta siriana ebbe inizio nel 2011. Le milizie locali formatesi nei villaggi di questa regione sono considerate una potenziale barriera contro le conquiste da parte dei discepoli di al-Qaeda. Anche se Jabhat al-Nusra ha stabilito una presenza nelle vicinanze di Deraa, e nei pressi dei fiumi di Rukkad e Yarmouk, la situazione complessiva nel sud non segue lo schema visto in altre parti della Siria, dove i radicali hanno assunto il ruolo di punta nella ribellione.

Ad esempio, i comandanti militari hanno l’ultima parola in altre parti del paese, ma le milizie meridionali sono spesso dirette da anziani civili. Molti di loro considerano Israele come un alleato temporaneo nelle circostanze attuali. Tale convinzione deriva dal fatto che essi ritengono che le Forze di Difesa israeliane proteggeranno indirettamente le loro retroguardie. Le milizie in questione combattono contro le brigate 90 e 61 di Assad, che hanno sede in zona. Quando le artiglierie del regime siriano sparano contro i ribelli lungo la frontiera del Golan, e un colpo cade sul lato israeliano del confine, l’esercito israeliano risponde lanciando dei missili Tammuz contro la fonte del fuoco. In caso contrario, invece, esso non interviene, anche se gli scontri avvengono molto vicino alle postazioni israeliane e, a volte, con i carri armati del regime siriano che scorrazzano a pochi metri dal confine.

Il principale interesse del presidente Bashar al-Assad nel sud è quello di garantire la sicurezza della strada principale tra Damasco e Deraa e mantenere una stretta su quest’ultima. Egli ha anche ordinato ai suoi generali di mantenere il controllo su Quneitra, la capitale del Golan, così come il tratto di villaggi drusi a nord lungo le pendici orientali del monte Hermon. Finora, il regime è riuscito a raggiungere questi obiettivi e non sembra preoccupato di perdere la sua presa sul resto della regione, che ha uno scarso significato strategico per l’esito della lotta in corso.

Il regime è anche interessato a mantenere la comunità drusa meridionale fuori dalla lotta. Insediata essenzialmente sul Monte dei drusi, ad est di Deraa, questa comunità potrebbe svolgere un ruolo importante nel plasmare le realtà sul terreno nel sud. Per ora, essa ha scelto di stare a guardare finché non vengono chiarite le prospettive di sopravvivenza di Assad. Tradizionalmente, però, i drusi siriani hanno dei legami speciali con la corte hashemita in Giordania. Una volta, i drusi erano considerati dallo stratega israeliano, Yigal Allon, come i futuri alleati naturali dello Stato ebraico.

Da parte loro, Israele e Giordania condividono interessi simili nel sud della Siria. Re Abdullah II non è meno preoccupato per la possibile comparsa di numerosi militanti di al-Qaeda lungo il confine. Di conseguenza, Amman sta addestrando alcune milizie locali vicino alla lunga frontiera con la Siria, approfittando del fatto che molti abitanti del sud della Siria e della Giordania settentrionale appartengono alle stesse tribù. Ci sono anche molte segnalazioni – ripetutamente respinte dalle autorità giordane – di una sala operativa clandestina, situata ad Amman, dove gli ufficiali militari e di intelligence giordani coordinano l’assistenza militare ai gruppi ribelli locali, a fianco di consiglieri sauditi e occidentali. Se tali notizie fossero confermate, la parte israeliana dello sforzo deve essere considerato come un complemento, ma non necessariamente in coordinamento con la parte giordana.

Con ogni probabilità, l’incapacità degli affiliati a al-Qaeda di coprire un ruolo principale nel sud è dovuta non solo al presunto coinvolgimento di Israele e Giordania, ma anche all’impegno dei jihadisti nella guerra al nord, dove l’ISIS sta combattendo contro il Fronte islamico e il gruppo rivale di Jabhat al-Nusra (sostenuta da leader di al-Qaeda, Ayman al- Zawahiri), nelle ultime settimane, oltre a combattere contro il regime. Eppure, l’ISIS e Jabhat al-Nusra hanno notevolmente aumentato la loro forza, secondo le stime israeliane di intelligence, esse hanno in totale 40.000 uomini. Se dovessero lanciare uno sforzo atto ad estendere il loro controllo a sud, esse rappresenterebbero un’importante sfida per le milizie locali. In tale scenario, Israele e Giordania dovrebbero decidere se rimanere a guardare mentre al-Qaeda getta le basi lungo i loro confini.

Alla luce di queste preoccupazioni, impedire l’espansione a sud dei gruppi estremisti islamici sta diventando una priorità più importante dell’intero problema siriano. Se gli affiliati di al-Qaeda dovessero estendere il proprio controllo sulle regioni confinanti con Israele e Giordania, nuove minacce terroristiche sorgeranno e, potenzialmente, lo spargimento del sangue si estenderebbe dalla Siria ai suoi vicini. Un tale sviluppo darebbe ad al-Qaeda la libertà di azione su una vasta area che si estende da ovest di Baghdad fino al sud della Siria meridionale. Detto in un altro modo, al-Qaeda raggiungerebbe il suo obiettivo a lungo ricercato: un fronte aperto con Israele.

Traduzione di Ahmad Adi