Il sogno delle donne palestinesi nella Giornata dell’8 marzo

Gaza – Ma’an. “Mio caro, ho giurato di non piangere, ma non mi è possibile resistere. Mi resta solo il pianto e la preghiera”, dice ‘Abir, a coloro che vivono in isolamento nelle prigioni israeliane, schiacciati da oppressione e sfinimento.

Nella giornata della Festa delle donne, l‘8 marzo, non si incontra nessuna storia simile a quella di queste due donne palestinesi, madre e moglie di un detenuto nelle prigioni dell’occupazione israeliana.

E’ vero che anche a Gaza le donne, riunite intorno ad associazioni e gruppi di genere, si ritrovano a festeggiare questa giornata negli hotel locali per celebrare il diritto alla vita, annunciare le loro sfide, mentre si danno appuntamento per sfilare in strada per la liberazione di tutte le prigioniere e si ricorda Hana’ ash-Shalabi, al 21° giorno di sciopero della fame. Ma nelle celebrazioni nessuna di questa donne è realmente in grado di separare le sofferenze che quotidianamente si porta dentro.

‘Abir Salah piange per il marito detenuto, e piange per essere rimasta all’oscuro a lungo sulla reale condizione di salute. Anche sua madre è straziata dal pianto.
Oggi, 8 marzo, entrambe hanno la sensazione di aver aperto la propria casa quasi fosse il suo funerale. Ieri, lo avevamo scritto anche noi: in detenzione dal 2004, condannato a 4 ergastoli e 16 anni, e in isolamento dal 16 febbraio scorso, ‘Alaa Salah, palestinese di Gaza, si sta consumando in una prigione israeliana. Fu arrestato il 22 giugno 2004 con l’accusa di aver assassinato un soldato dell’occupazione israeliana.

‘Abir aveva promesso di non piangere, ma oggi ammette di non riuscirci e per questo chiede perdono ad ‘Alaa.
La donna confida di aver perso la sanità mentale a furia di piangere e dice: “Solo Iddio saprà restituirgli la libertà”.

‘Alaa aveva inviato una sorta di testamento alla propria famiglia, la lettera era stata indirizzata in particolare alla figlia, la stessa che un giorno aveva potuto stringere tra le braccia, tra le lacrime per non poterla vedere crescere e per non poterla conoscere.

La bimba, Yasmin, aveva 3 mesi quando ‘Alaa fu arrestato e portato in una prigione della Cisgiordania. Sammar invece, era alle elementari e oggi è all’Università.

La madre di ‘Alaa si appella al premier di Gaza, Isma’il Haniyah, al presidente dell’Autorità palestinese (Anp) Mahmoud ‘Abbas e ai Paesi arabi e dice: “Vi supplico di inviare un medico per garantire le cure a mio figlio”.

E’ questo il desiderio di una donna palestinese nella giornata dell‘8 marzo. E’ forse tollerabile?