Il fallimento di Oslo: un colpo al popolo e alla causa palestinese

Di Falastin Dawoud. L’Accordo di Oslo fu firmato il 13 settembre 1993 tra lo stato di occupazione sionista e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

Il documento fu inizialmente siglato a Washington alla presenza del presidente USA Bill Clinton, ma le negoziazioni e la firma preliminare avvennero a Oslo, in Norvegia, città da cui l’accordo prese il nome.

I punti principali dell’Accordo di Oslo.

  1. Riconoscimento reciproco: Israele riconosce l’OLP come legittima rappresentante del popolo palestinese, mentre l’OLP riconosce il diritto di Israele a esistere.
  2. Negoziati per il ritiro: l’accordo prevedeva negoziati per il graduale ritiro di Israele dalla Cisgiordania e da Gaza e il trasferimento di alcune responsabilità amministrative ai palestinesi, fino a un’eventuale elezione di un Consiglio Palestinese.
  3. Creazione di un’Autorità Palestinese Transitoria: l’accordo stabiliva la creazione di un’autorità di governo palestinese temporanea che avrebbe esercitato il controllo in specifici settori per un periodo di 5 anni, con l’aspettativa di negoziare uno status definitivo.

Divisione della Cisgiordania.

L’Accordo di Oslo suddivideva la Cisgiordania in tre aree:

  • Area: comprendeva circa il 3% del territorio, inclusi i principali centri urbani palestinesi come Ramallah, Nablus e Jenin. Queste aree sono sotto il controllo sia amministrativo che di sicurezza dell’Autorità Palestinese, ma Israele si riserva il diritto di intervenire.
  • Area: circa il 25% della Cisgiordania, principalmente cittadine e villaggi palestinesi, sotto amministrazione palestinese e controllo di sicurezza israeliano. Le aree B sono circondate da insediamenti israeliani.
  • Area C: il 72% della Cisgiordania, compresi tutti gli insediamenti israeliani e alcune comunità palestinesi. Israele esercita il pieno controllo su quest’area, mantenendo anche il controllo sulle strade principali.

L’esclusione di Gerusalemme.

Uno dei principali punti critici dell’Accordo di Oslo fu l’esclusione di Gerusalemme dai negoziati. La città fu considerata una delle “questioni permanenti” da affrontare in seguito, lasciando l’Autorità Palestinese priva di giurisdizione sulla Città Santa. Israele ha sfruttato questo vuoto per consolidare il proprio controllo su Gerusalemme Est, costruendo insediamenti e aumentando il numero di coloni israeliani.

Nel corso dei decenni, Israele ha rafforzato il proprio controllo su Gerusalemme attraverso la costruzione del Muro di Separazione (Annessione) e il ritiro delle carte d’identità a migliaia di residenti palestinesi, isolando ulteriormente la città dal resto della Cisgiordania. Il numero di coloni israeliani nella parte orientale di Gerusalemme è cresciuto da 160.000 nel 1996 a oltre 273.000 nel 2021, aggravando la situazione demografica e politica.

La fine degli Accordi di Oslo.

Il 28 settembre 2000, con lo scoppio della Seconda Intifada palestinese, l’Accordo di Oslo subì un colpo fatale. La ribellione scoppiò in risposta alla percezione che il periodo temporaneo fissato dall’accordo fosse scaduto senza che fossero stati fatti progressi concreti verso uno Stato palestinese. Nonostante l’accordo prevedesse la risoluzione delle questioni fondamentali come Gerusalemme, i rifugiati e la divisione delle risorse idriche, nessuna soluzione definitiva è stata raggiunta.

Negli ultimi 30 anni, nonostante i tentativi di riprendere i negoziati, le parti sono rimaste bloccate. Il governo israeliano, sotto la guida di Benjamin Netanyahu, ha costantemente rifiutato di riprendere gli accordi e di interrompere l’espansione degli insediamenti, mentre la situazione a Gaza continua a peggiorare a causa del genocidio in corso.

Per concludere, l’Accordo di Oslo con la sua struttura fragile e l’incapacità di affrontare questioni chiave come Gerusalemme, gli insediamenti e i rifugiati hanno reso impossibile il raggiungimento di una soluzione definitiva. A 31 anni dalla sua firma, l’accordo è visto da molti come un fallimento, soprattutto per il popolo palestinese, che non ha ottenuto né l’indipendenza né la fine dell’occupazione.

Il caso di Israele, che non ha rispettato gli accordi di Oslo, dimostra chiaramente che negoziare con un’occupazione non conduce mai a una soluzione equa o duratura. Non accettiamo la divisione in due stati e crediamo fermamente che la risoluzione della causa palestinese avverrà solo grazie alla resistenza palestinese e alla sua lotta per ottenere la totale indipendenza.