“Il femminismo o è decoloniale o non è”


Di Lorenzo Poli per InfoPal.

Un tema di cui bisognerebbe parlare e di cui bisognerebbe iniziare lunghi approfondimenti e dibattiti è quello sul femminismo de-coloniale intersezionale, libero dall’esclusivo sguardo occidentale e di come sia un vero e proprio atto di liberazione per le donne in tutto il mondo in termini di diritti sociali, civili, politici, ma anche culturali e religiosi. Un tema di cui si sente poco dibattere, forse perché mette in discussione alcuni fondamenti che noi riteniamo inossidabili. Di questo mi sono accorto leggendo la pur sempre molto interessante intervista su Left a Giuliana Sgrena, giornalista storica de Il Manifesto con una lunghissima esperienza in Medioriente tra Afghanistan e Iraq, dove è stata anche rapita.

In questa intervista ( https://left.it/2016/05/10/giuliana-sgrena-ecco-perche-le-tre-religioni-monoteiste-odiano-le-donne/) Giuliana Sgrena, presentando i contenuti del suo nuovo libro “Dio odia le donne”, edito da Il Saggiatore, parla di come i monoteismi (ebraismo, islam e cristianesimo), abbiano sempre avuto un rapporto dicotomico con le donne e come tutte abbiano perpetrato una forte oppressione di genere, cercando di tracciarne l’origine dai rispettivi testi sacri. 
Leggendo l’intervista si ha come l’impressione di leggere una cosa detta, ridetta e stradetta, ma soprattutto vecchia e che, nonostante l’autrice analizzi dei nodi interessanti riguardanti la struttura di potere gerarchica e patriarcale delle religioni, proponga una teoria che cancella il ruolo delle donne all’interno delle religioni, soprattutto se parliamo di donne femministe islamiche, di donne femministe cattoliche e dei loro cammini di “de-patriarcalizzazione”. 

Donne che stanno portando avanti un lavoro de-coloniale meraviglioso anche nell’ermeneutica e nell’esegesi biblica e coranica sottolineando come le religioni non siano patriarcali, ma come il patriarcato, e quindi la preesistente cultura, abbia influenzato l’interpretazione delle sacre scritture. 
Per questi motivi, a mio avviso, dire nel 2021 che “Dio odia le donne” è riduttivo in quanto ci si pone ancora in un’ottica di critica alle religioni come opprimenti le donne e non in un’ottica di critica de-coloniale e de-patriarcale dello sguardo e delle culture che hanno influenzato la struttura gerarchica delle religioni. 
Un’analisi, quella di Giuliana Sgrena, che non dà voce alle teologhe femministe cattoliche (come Cristina Simonelli, Marinella Peroni, Selene Zorzi, Serena Noceto) o ad altre protestanti (come Letizia Tomassone). O addirittura alle teologhe femministe islamiche e al femminismo islamico che stanno portando avanti interessantissimi processi di de-patriarcalizzazione, che consistono nel rivedere integralmente le religioni dal punto di vista femminile e non solo, con grande attenzione alle minoranze ripartendo dall’esegesi e da una nuova ermeneutica coranica di stampo femminista. 
Le giustificazioni della Sgrena andavano bene negli anni Settanta e Ottanta, durante i quali si doveva ancora costruire la consapevolezza anti-patriarcale. Quindi una critica di quel tipo serviva, ma oggi è completamente fuori contesto in un momento storico in cui i percorsi femministi all’interno delle religioni, per quanto distaccati e visti di malocchio all’interno delle religioni stesse, esistono e si fanno sentire. Nel 2021 non si può fare un’intervista in cui l’analisi è giusta ma parziale e non va a fondo della questione, riducendo la questione femminile e dell’oppressione di genere ad una partita tra religioni “vecchie obsolete e patriarcali” e femministe laiche, liberali, bianche e occidentali, cancellando il ruolo di quelle che la lettura maschilista e patriarcale la stanno de-costruendo pezzo per pezzo. 
Vedere ancora oggi l’Islam come un blocco unico fatto di misoginia, patriarcato e violenza di genere è riduttivo e non-accettabile in un’ottica de-coloniale e anti-patriarcale. Come si può mettere in discussione il patriarcato, se la critica proviene da altri discorsi dominanti e conniventi a delle strutture di oppressione? Le religioni non sono patriarcali, ma sono state influenzate dalle culture patriarcali pre-esistenti, si sono consolidate nelle culture patriarcali in cui hanno poi preso piede. Le culture patriarcali pre-esistenti hanno forgiato l’organizzazione del potere gerarchica delle religioni dove il maschio era l’unico ereditario del potere. 
La filosofia delle religioni e la loro morale non hanno nulla a che spartire con il patriarcato. Al massimo è il patriarcato che le ha influenzate, spesso trasformando la loro morale in moralismo. L’oppressione delle donne nelle religioni c’entra con un’interpretazione ermeneutica, con un’esegesi e una lettura dei testi coranico e biblico prettamente maschile che non concepisce la donna come soggetto di diritto e nemmeno come soggetto autonomo in grado di prendere decisioni. L’esegesi femminista del Corano ha una lettura completamente diversa da quella tradizionale, partendo soprattutto dall’etimologia delle parole arabe e dall’approfondimento del significato di alcune parole che può avere dei risvolti teologici. Stesso nella Bibbia. Per quanto l’intervista della Sgrena possa essere interessante e puntuale su certi temi, cancella la voce delle femministe musulmane, esattamente come cancella la parola delle teologhe femministe cristiane (cattoliche e protestanti che siano) che da anni portano avanti l’idea dell’asessualità di Dio e non come “Dio Padre”. Un Dio asessuato che ama tutti e tutte indiscriminatamente e che non è “forte” perché gli è stata affiliata una costruzione simbolica legata alle caratteristiche di quel modello “virile”. Dall’intervista sembra di percepire nel sotto-testo che vi sia una contrapposizione dicotomica tra Islam e donne musulmane, le quali devono essere difese dalle donne laiche, bianche occidentali con tono salvifico. In realtà, uno dei più bei regali che si potrebbe fare alle donne musulmane sarebbe parlare di loro e non per loro o, in modo sostitutivo, al posto loro.
Ciò che è criticabile non è quel che dice, ma l’impostazione politica che dà al discorso un po’ connivente alla stessa logica giustificatrice che portò gli americani a legittimare la guerre in Afghanistan con “la difesa dei diritti delle donne”, lo stesso giochetto in cui la stessa Sgrena era caduta nel 2008, quando pubblicò il suo libro “Il prezzo del velo. La guerra dell’Islam contro le donne” che contribuì a diffondere l’idea, nella sinistra, che l’Islam equivalesse ad oppressione di genere e misoginia, ma che soprattutto dovessero essere le femministe bianche a “salvare” le donne musulmane dal velo islamico. 

Per quanto il buon intento sia di solidarizzare contro l’oppressione, allo stesso tempo si cancella la voce delle donne di fede, delle femministe islamiche che, all’interno dell’Islam stanno portando avanti una lettura ermeneutica e un’esegesi completamente diversa. Il solo fatto di dire che le tre fedi monoteiste odiano le donne e ne impostino una  “subalternità ab origine”, in quanto la donna, per le fonti sacre, “non essendo fatta a immagine di Dio ma dell’uomo” è inferiore per nascita, vuol dire far un torto alle teologhe femministe che questa narrazione la combattono non per criminalizzare il loro credo, ma per liberarsi ed affermando una volta per tutte che è questa lettura patriarcale dei testi sacri ad averle relegate in ruoli, stereotipi e modelli di genere.
In realtà le femministe musulmane vorrebbero la solidarietà internazionalista e non che le donne occidentali si permettessero di dare loro lezioni sulla loro religione o addirittura dare loro delle lezioni per come “salvarsi” dalla loro religione. Il femminismo bianco occidentale di stampo liberale deve ancora fare i conti con il suo passato e chiedere scusa al femminismo postcoloniale intersezionale e delle donne del Sud del Mondo, cioè tutta quella parte di mondo che i privilegi dell’Occidente non li ha mai visti o, addirittura, li ha pagati sulla propria pelle.