Il fenomeno e la politica del settarismo

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di Zafar Bangash.

Gennaio 2014

Il settarismo viene considerato, in alcuni quartieri, come la più grande sfida che si presenta ai musulmani, quando la grande maggioranza dei musulmani vuole l’unità della ummah [la Comunità musulmana, ndt]. Chi sta alimentando le fiamme del settarismo?

Il discorso settario e la violenza indotta dal settarismo sembrano essere diventati problemi rilevanti che i musulmani si trovano ad affrontare oggi. Si verificano uccisioni nel nome di una setta, o di un’altra, in diverse parti del mondo musulmano. Ai musulmani viene detto che il settarismo è un problema storico, che non può essere risolto. Tali affermazioni sfidano la realtà dei fatti che presenta una situazione opposta: la maggior parte dei musulmani supportano l’unità. Ad esempio, un sondaggio di WorldPublicOpinion.org ha evidenziato che i due terzi dei musulmani nel mondo vogliono “unificare tutti i Paesi Islamici in un unico stato islamico o califfato (khilafah)”.

Pur essendo definito in termini teologici, il settarismo è essenzialmente un’arma politica usata da certi per interessi personali e per avanzare il loro programma, dal momento che non hanno una base legittima per giustificare la propria posizione o la continua influenza sul potere. Come il nazionalismo, il settarismo viene anche utilizzato per fomentare l’isteria di massa. Senza giustificarlo, almeno il nazionalismo ha degli aspetti positivi. Per esempio, delle persone in un’area geografica, ovvero una nazione, possono essere mobilitate per prendere posizione contro una nazione rivale in nome del patriottismo e della protezione degli “interessi nazionali”.

Il limite del nazionalismo è il fatto che, per  sua natura, è confinato alle persone che abitano una  determinata area geografica. Perciò, sulla base del  solo nazionalismo, i Pakistani non potranno avere la motivazione ad aiutare il popolo della Palestina e di qualsiasi altro luogo dove ci sia sofferenza umana. Lo stesso accade per altre situazioni. Gli Afgani non possono fare appello ad altri Musulmani nel mondo per aiutarli sulla base del nazionalismo. Tuttavia ciò può essere superato se il discorso venisse formulato in termini islamici.

Perciò, il popolo pakistano può essere motivato ad aiutare i compagni musulmani in Palestina o in Cecenia nel nome dell’Islam. I Pakistani non devono necessariamente recarvisi fisicamente (anche se alcuni lo hanno fatto), può essere suscitata la loro comprensione e possono essere sollecitate delle donazioni economiche per alleviare le sofferenze dei musulmani oppressi in altre parti del mondo.

Gli esempi precedenti non hanno nulla a che fare con il settarismo. I popoli della Palestina e della Cecenia seguono diverse scuole di pensiero rispetto ai Pakistani. Il loro legame comune è l’Islam. I problemi nascono quando alcune persone (solitamente governanti di nazioni che mancano di legittimità) fanno ricorso al discorso settario, il cui proposito è quello di suscitare odio per un particolare gruppo o partito. Il settarismo rozzo è spesso camuffato dall’utilizzo di terminologia islamica.

Per capirlo meglio diamo uno sguardo alla Siria. Per circa tre anni una guerra ha infuriato in questo luogo, conflitto che può essere ricongiunto direttamente a forze esterne, in primo luogo sionisti, gli imperialisti ed i Sauditi. Questa lista può essere ridotta ulteriormente: gli imperialisti si sono tirati indietro, perché si sono resi conto che ciò che potrebbe sostituire il regime di  Bashar al-Asad potrebbe essere addirittura peggio, se i tafkiri [ramo violento del movimento salafita, ndt] legati ad al-Qaeda prendessero il potere. L’alleanza sionista-saudita, tuttavia, è ostinata nel creare instabilità ed a continuare la violenza.

I sionisti difficilmente possono appellarsi ai musulmani sostenendo di essere amici del popolo siriano. Nessun musulmano, anche con una limitata comprensione della natura del sionismo, della sua oppressione e della persecuzione dei Palestinesi, potrebbe accettare i sionisti come amici ed alleati. Entrano in scena i Sauditi. Mentre mancano di legittimazione, essi hanno spesso utilizzato il loro presunto supporto alle cause “musulmane” nel mondo per ripulire la propria immagine violenta. Negli anni ’80, i Sauditi hanno spedito migliaia di Arabi a combattere in Afghanistan. Non per aiutare gli Afghani, ma per liberarsi della propria gioventù ribelle, che chiedeva diritti fondamentali, minacciando i regimi in Arabia Saudita ed altrove. Una volta finita la guerra in Afghanistan, molti combattenti arabi sono ritornati per creare problemi ai regimi nei propri paesi d’origine.

I Sauditi stanno giocando una partita ancora più sinistra in Siria. Possono a malapena sostenere di aiutare il popolo siriano a conquistare i propri diritti legittimi, quando loro stessi opprimono il popolo, proibendo addirittura alle donne di guidare l’automobile (in Siria le donne possono pilotare aerei!). I Sauditi non possono nemmeno affermare di supportare la “maggioranza sunnita” in Siria, dato che non hanno supportato la schiacciante popolazione sunnita d’Egitto, dopo che lo scorso luglio l’esercito egiziano ha rovesciato un governo legittimamente eletto. Al contrario, il regime saudita sostiene apertamente il golpe militare in Egitto. Ciò li ha lasciati pericolosamente esposti nella loro presunta rivendicazione di supporto ai musulmani sunniti.

5-22-Sunni-vs.-ShiaIn Siria, tuttavia, i Sauditi hanno giocato la carta del settarismo in modo efficace. Accusando il regime di Bashar al-Asad di essere ‘Alawi (gli ‘Alawi sono un ramo dello sciismo), i Sauditi ed i loro alleati tribali della regione hanno fomentato tensioni di setta e creato enormi problemi nella ummah. Il regime siriano non è né ‘alawi, né sciita o sunnita. Non è assolutamente un governo basato sulla religione. Nel governo ci sono ministri sia ministri sunniti che ministri sciiti. Ci sono cristiani e sì, ci sono ‘alawi nel consiglio, ma nessuno di loro è legato ad una particolare setta. Ci sono sia uomini che donne nel governo ma sono tutti laici. La loro lealtà è prevalentemente verso il partito nazionalista laicista Ba‘th e la loro posizione è all’interno di questo sistema.

In Siria, i Sauditi stanno usando il settarismo per fomentare odio contro il regime, che vogliono rovesciare. Questa strategia fa parte della politica pro-sionista e ha anche lo scopo di assicurare un estensione alla sua stessa esistenza, che è alquanto insicura, date le recenti tendenze della regione e gli sviluppi interni al regno. C’è più malcontento nel regno, con circa 30 mila prigionieri che soffrono in condizioni terribili in diverse prigioni. La crisi siriana, tuttavia, è un fenomeno recente. I Sauditi, per molti anni, hanno usato il settarismo come strumento in paesi come il Pakistan o il Libano e più recentemente in Iraq con conseguenze fatali.

Sullo sfondo del settarismo indotto dai Sauditi, c’è la paura dell’ascesa dell’Iran islamico come importante giocatore sullo scacchiere politico. Vero, l’Iran è un paese prevalentemente sciita, ma non ha lanciato una campagna settaria per etichettare i musulmani non-sciiti come kafir [infedeli, ndt]. Né l’Iran ha incoraggiato l’uccisione di sunniti da qualche parte. Anzi, l’Iran ce l’ha messa tutta, nei limiti delle proprie forze, per creare comprensione tra i musulmani delle diverse scuole di pensiero. La Majma‘ al-Taqrib bayna al-Madhahib al-Islamiyyah a Teheran riunisce studiosi di differenti scuole di pensiero per promuovere l’unità dei musulmani. Si potrebbe sostenere che questo non abbia eliminato i conflitti a base settaria, ma non certo per mancanza di tentativi. È molto più semplice creare fitnah (conflitto interno, divisione) che stabilire pace ed armonia.

Sarebbe opportuno riflettere su alcune aree del mondo musulmano, dove le tensioni settarie sono state molto aspre. Pakistan, Iraq, Libano e Siria immediatamente ci saltano alla mente.
A questi si aggiunge il Bahrein e possiamo iniziare a farci un’idea che questi paesi abbiano delle popolazioni nelle quali predomina una setta, ma che allo stesso tempo hanno anche una buona parte di popolazione che appartiene ad un’altra. Perciò, mentre il Pakistan è per la maggior parte sunnita, ma vi è anche una buona parte di popolazione sciita. Nel complesso pot-pourri di confessioni religiose in Libano, gli sciiti sono più dei sunniti, ma con una significante popolazione cristiana lo scenario politico è più complicato. In Iraq gli sciiti costituiscono un’assoluta maggioranza, a cui sono stati negati i diritti fondamentali per decenni. Sfortunatamente, dall’ascesa al potere di un governo sciita, la pace non è stata ristabilita. Il Bahrein è per la maggior parte sciita, governato da una piccola minoranza di sunniti.

Ma come ci si spiega la mancanza di settarismo in paesi come la Turchia, l’Azerbaigian o il Kuwait? La Turchia ha una considerevole popolazione ‘alawi e sciita (circa il 15%), l’Azerbaigian è un paese a prevalenza sciita, mentre il Kuwait ha una ragguardevole popolazione sciita (circa il 20%). L’esempio del Kuwait è istruttivo perché segue la stessa ideologia wahhabita osservata dai Sauditi fin da quando è nata, nel XVIII secolo, tuttavia in Kuwait non c’è stato alcun conflitto basato sul settarismo.

Abbiamo inoltre il curioso fenomeno delle tensioni settarie che si stanno verificando in paesi come la Malesia, l’Indonesia ed il Sudafrica. L’Indonesia è il più grande stato musulmano del mondo, la maggior parte dei musulmani è sunnita che segue la scuola di pensiero salafita. Ci sono soltanto alcune migliaia di sciiti nella migliore delle ipotesi. Lo stesso vale per la Malesia ed il Sudafrica. La domanda è: perché il settarismo ha alzato la sua orribile testa in questi paesi? Ci si potrebbe porre la stessa domanda riguardo all’Egitto, dove, prima della sua estromissione dal potere, il presidente Mohamed Morsi si era lasciato andare ad una bieca retorica settaria. Alcuni sciiti sono stati linciati pubblicamente, quando gli sciiti in Egitto non sono più di qualche centinaia di migliaia a fronte di una popolazione di circa 80 milioni. Bisogna ricordare che l’Egitto era, un tempo, una nazione principalmente sciita sotto la dinastia dei Fatimiti e l’Università di al-Azhar fu fondata da loro più di mille anni fa!

In Indonesia, Malesia e Sudafrica agenti sauditi hanno volutamente creato una crisi settaria quale parte del loro tentativo di mantenere la ummah divisa. Dopotutto nessuno di questi luoghi ha una significativa popolazione sciita e in Sudafrica, la popolazione musulmana in totale è solo una piccola parte di tutta la popolazione del paese. Ci sono, tuttavia, alcuni maulanas [saggi, studiosi ndt.] che hanno stretti legami con i Sauditi, attraverso importanti organizzazioni quali la World Assembly of Muslim Youth (WAMY) [Assemblea Mondiale della Gioventù Musulmana, ndt.] i cui rappresentanti si recano spesso in Sudafrica elargendo generosità (gli USA hanno dichiarato il WAMY un’organizzazione terroristica).

Sia in Indonesia che in Malesia, dietro la campagna anti-sciita ci sono i rispettivi regimi anche se ci sono anche forti polemiche contro il settarismo. I leader del Partito Islamico di Malesia (PAS), così come molti accademici ed intellettuali di spicco hanno parlato apertamente ed energicamente contro il settarismo ed hanno messo in guardia dalle conseguenze negative di questa campagna.

È interessante notare che non c’è stato alcun episodio di settarismo in Pakistan fino ai primi anni ’80, quando la Rivoluzione Islamica in Iran ha avuto successo. Questa è stata una politica perseguita intenzionalmente dagli Americani, dai Britannici e dagli Israeliani insieme con alcuni segmenti dell’establishment pakistano. Il loro scopo era quello di prevenire che l’influenza della Rivoluzione Islamica si propagasse al Pakistan. Date le forti affinità culturali e linguistiche dei due paesi, il Pakistan era lo scenario ideale in cui venisse accettato il fervore rivoluzionario che stava cambiando l’Iran. Eppure grazie ad una politica attentamente costruita, promossa da alcuni segmenti dell’establishment pakistano, è stato possibile il fiorire di sentimenti anti-sciiti. Sfortunatamente gli sciiti pakistani hanno avuto anche un ruolo negativo, aiutando involontariamente gli estremisti sunniti. Quegli studiosi sciiti (come Syed Arif Hussaini Shaheed), che si stavano battendo per  creare comprensione tra le due comunità, sono stati eliminati. Questo, non solo ha aggravato le tensioni tra sciiti e sunniti, ma ha anche lasciato ancora più spazio a sciiti dalla mentalità chiusa e settaria.

Quando la lotto contro i sovietici stava divampando in Afghanistan, furono promosse ideologie estremiste, di stampo sunnita, in entrambe le nazioni per affrontare l’Armata Rossa.
Questo episodio, tuttavia, non è rimasto confinato all’Afghanistan, dato che gran parte dell’indottrinamento ideologico arrivava dall’Arabia Saudita attraverso il Pakistan. Grazie a fondi sauditi, sono spuntate molte madrasah [scuole, ndt.] in Pakistan e nei dintorni tribali. Gli studenti usciti da queste madrasah hanno portato con sé la mentalità ristretta dell’ideologia settaria dei wahhabiti che condannano tutti i non-wahhabiti come kafir [infedeli, ndt].

Sfortunatamente altri rispettabili studiosi hanno prestato la loro importanza e il loro prestigio a questa campagna di divisione. Il defunto maulana Abu al-Hassan Nadvi (m. 1999) era uno di loro, come il suo intimo collega Manzoor Ahmen Naumani. Entrambi gli studiosi hanno ceduto alla tentazione dei petrodollari e nonostante la loro formazione, si sono imbarcati in una crociata che ha causato un immenso danno alla ummah. Mentre i due maulana indiani si sono espressi in modo eloquente contro lo sciismo, Nadvi e Naumani non hanno mai preso coraggio per dire una parola contro il fascismo indù e contro il maltrattamento dei musulmani in India, che continua anche oggigiorno.

In un violento episodio nei primi anni novanta, le Forze di sicurezza indiane fecero irruzione nella madrasah di Nadvi a Luckhnow, seguendo una pista secondo la quale dei mujahidin [combattenti impegnati nel jihad, ndt] kashmiri si stavano nascondendo lì. le Forze di sicurezza sfondarono le porte del dormitorio, spaccarono mobili e picchiarono molti tullab (studenti). Non trovarono nessun Kashmiro. Il governo indiano offrì un  indennizzo di sole 200 mila rupìe (circa $4.000) ed il maulana rimase in silenzio, nonostante alcuni leader musulmani in India lo avessero spinto a tenere una posizione più dura contro atti di terrorismo di stato come questo.

Inquietante com’è l’ascesa del settarismo, si stanno alzando voci importanti contro questo fenomeno. Lo scorso agosto, una conferenza a  Kuala Lumpur, seguita da accademici e studiosi di diverse scuole di pensiero, presentò argomentazioni persuasive contro il settarismo. Sforzi simili in altri luoghi, in Turchia in novembre e il mese scorso in Pakistan, dimostrano il fatto che molti ‘ulama [dotti, ndt] e attivisti islamici stanno facendo passi avanti per affrontare la minaccia. In Turchia è stato approvato un programma di 11 punti, mentre in Pakistan veniva approvato all’unanimità un programma di nove punti dagli ‘ulama che rappresentano le sette principali – le scuole di pensiero Deobandi, Barelvi, Ahl-e Hadith e Jafari. L’incontro pakistano è stato indetto sotto l’auspicio del “Punjab Auqaf and Religious Affairs” a Lahore.

Questi primi passi sono molto importanti, per questo saranno necessari ulteriori sforzi decisi per  isolare e quindi estirpare gli estremisti, che costituiscono una piccola minoranza, ma si fanno una grossa pubblicità grazie ai loro atti violenti.  Il governo del Pakistan ha una grande responsabilità nell’affrontare la minaccia del settarismo, altrimenti farà a pezzi il tessuto della società nella quale non ci saranno vincitori.

Traduzione di Cinzia Trivini Bellini