Betlemme-Ma’an. Ora vivendo nelle strette strade di cemento del campo profughi Duheisha a Betlemme, Hajjeh al-Jaafari sogna di tornare nella città da cui è stata costretta a fuggire 67 anni fa.
In salute e superata l’ottantina, Hajjeh ricorda il giorno in cui la sua famiglia è stata costretta a fuggire dal villaggio di Deir Rafat, a ovest di Gerusalemme.
“Abbiamo pensato che saremmo tornati molto presto, ce ne siamo andati non portando nulla. Mia madre ha messo da parte il grasso e lo yogurt, ha controllato mucche, capre e galline per metterle al sicuro fino a quando saremmo tornati”, ha raccontato al-Jaafari a Ma’an.
“Ma coloro che sono tornati sono stati uccisi dagli israeliani”.
Quando la notizia che chi tentava di tornare veniva ucciso raggiunse gli abitanti del villaggio, la famiglia al-Jaafari si rese conto che tornare avrebbe significato la morte certa.
Il villaggio di Deir Rafat, a circa 26 km a ovest di Gerusalemme, ora è in rovina, distrutto dalle milizie ebraiche dopo che gli abitanti erano fuggiti nel 1948.
La famiglia di Al-Jaafari era una delle circa 500 famiglie palestinesi fuggite dal villaggio, secondo Palestine Remembered, un gruppo che si dedica a documentare la storia della Nakba.
Una degli ultimi membri rimasti della sua famiglia fuggita dal villaggio quel giorno, al-Jaafari sogna ancora dei paesaggi dove ha trascorso la sua infanzia, un posto che non vedrà mai più.
“Ho ancora la chiave della nostra casa e racconto ancora ai miei figli e ai miei nipoti le storie del nostro bellissimo paese”, dice, circondata da scaffali pieni di testimonianze di altri rifugiati palestinesi e la storia della Nakba.
“Passare solamente un’ora là, sostituirebbe tutti gli anni di rifugio e di sofferenza”.
Più di 760.000 Palestinesi – si stima che oggi siano oltre 7,5 milioni con i loro discendenti – fuggirono o furono cacciati dalle loro case nel 1948, durante la Nakba ricordata ogni 15 maggio.
Traduzione di Edy Meroli