“Il Levante è ricco di diversità, i Cristiani ne sono una parte importante”

Intervista esclusiva con Sharmine Narwani. Il Levante è ricco di diversità, i Cristiani ne sono una parte importante.

“Non credo che sia giusto saltare alle conclusioni e, partendo dalle azioni di poche centinaia di estremisti, lanciarsi in un discorso di guerra di civiltà. C’è un reale pericolo di esacerbare il conflitto “inquadrandolo” in una narrazione settaria”, Sharmine Narwani.

Narine Daneghyan editore politico di MediaMax ha parlato con Sharmine Narwani.

[Sharmine Narwani è una commentatrice politica ed analista della geopolitica del Medio Oriente, ha viaggiato in Siria e ne ha parlato molto sin dall’inizio del conflitto tre anni fa. Ha un Master in Affari Internazionali in Giornalismo e Studi Mediorientali alla Scuola di Affari Pubblici ed Internazionali della Columbia University.]

La Battaglia di Ma’loula fu combattuta a settembre 2013, quando le forze ribelli attaccarono la città di  Ma’loula, una città cristiana con una popolazione assiro-siriaca che parla neo-Aramaico. La città si trova 56km a nord-est di Damasco, costruita sull’aspro versante della montagna. Wiki

ND: In gennaio, sono di nuovo state diffuse informazioni su estremisti che hanno cominciato ad attaccare ed uccidere Cristiani in Siria. Che informazioni avete riguardo a questi attacchi?

SN : Non ho ulteriori informazioni sulla presunta esecuzione dei due uomini Siro-Armeni di Aleppo.  Purtroppo, a questo punto in Siria questo tipo di notizie non ci sorprendono più. Serve più di una mera decapitazione e un corpo a pezzi per fare notizia oggi.

Stiamo, tuttavia, sentendo sempre più di conversioni forzate, in particolare negli scorsi 6 mesi quando militanti Islamisti hanno preso il controllo della rivolta armata. Credo sia stato il settembre scorso (quando gruppi collegati ad Al-Qaeda hanno assediato la città cristiana di Maaloula) che i media, per la prima volta, hanno acceso i riflettori sulle conversioni forzate. I civili locali, in un secondo momento, hanno parlato dei ribelli usando termini come “crociati”, per sottolineare la natura settaria dell’attacco, con il solo risultato di aver ulteriormente spaventato le comunità Cristiane in Siria.

All’inizio di questo mese, le notizie delle conversioni forzate di due famiglie Armene, ad opera del radicale Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL), è stata seguita da reportage sull’esecuzione di Wanis e Minas Livonian, i quali, secondo quanto riportato, avevano accettato le conversioni. Non sono sicura che si possa conoscere la verità su quella storia. Ma questa informazione ci arriva sulla scia di 13 suore rapite da Maaloula a dicembre, perciò credo che la tendenza sia quella di accettare il peggio.

ND: Tenendo presente gli attacchi che hai citato, e molti altri esempi simili, questo potrebbe essere considerato come l’inizio di una “guerra religiosa” in tutto il Medio Oriente?

SN: Non credo che sia giusto saltare alle conclusioni e a partire dalle azioni di poche centinaia di estremisti lanciarsi in un discorso di guerra di civiltà. C’è un reale pericolo di esacerbare il conflitto “inquadrandolo” in una narrazione settaria.

Siamo onesti. Esiste realmente un conflitto Cristiani contro Musulmani in Medio Oriente? Esiste realmente un conflitto Sunniti contro Sciiti nella regione? Io non credo e nemmeno la maggioranza degli arabi interpellati.

Il conflitto non è tra fazioni o sette, è tra coloro che hanno atteggiamenti “settari” e coloro che non li hanno . Ci sono Cristiani e Musulmani e Sunniti e Sciiti da entrambe le parti, sia “settari” che  “non-settari”. E, fortunatamente, coloro che posso essere definiti “settari” rappresentano una minima parte della popolazione, fanno semplicemente più rumore, sono più zelanti e più determinati a seminare zizzania tra le comunità.

Ciò che disturba oggi è la sconcertante quantità di assistenza finanziaria che affluisce agli gruppi ed agli individui “settari”, sia all’interno che all’esterno del Medio Oriente. Una parte dei finanziamenti proviene dalle “politiche di polarizzazione”, che si può trovare in una iranofobica Arabia Saudita o in un donatore Pakistano che odia gli Sciiti. Ma il vero shock è quanto lontano siano stati disposti a spingersi paesi come USA, UK e Francia per isolare, destabilizzare e distruggere gli avversari (Siria, Iran, Hezbollah), anche se ciò ha significato investimenti significativi nel settarismo per raggiungere questi scopi. Questi tre poteri Occidentali, così influenti nei media globali, si sono aggrappati a narrazioni settarie e divisive per descrivere gli eventi della regione, anche spingendosi così in là da minimizzare la violenza contro i Cristiani per soddisfare più ampie agende politiche.

Non c’è alcuna “guerra religiosa” in Meido Oriente. Non c’è alcun supporto popolare per niente di tutto ciò. Al contrario, l’orrore della violenza settaria come decapitazioni e castrazioni hanno fatto sì che molti Arabi si siano distaccati dalle “sette”, adottando una identità “nazionale” unificante. Perciò l’aumento di supporto agli eserciti nazionali in paesi come l’Egitto, la Siria e il Libano.

ND: Sono fondati i timori secondo cui la la popolazione cristiana diventi il principale ed unico obiettivo dei gruppi estremisti?

SN: No. Non credo che la popolazione Cristiana sia stata selezionata in questo conflitto. Quando i ribelli si sono radicalizzati, tutti i dissidenti sono stati colpiti duramente, a prescindere dalla setta, dalla religione o altre cose, questo include anche la popolazione sunnita. I  gruppi estremisti sono intolleranti di natura e chieono conformità, così chiunque al di fuori del loro sistema diventa un obiettivo.

Ho letto da qualche parte che 65 Armeni sono stati uccisi dall’inizio della crisi, non so quale sia il numero totale di cristiani. Ma su un totale di 100.000 morti la cifra è trascurabile.

ND: Oggi siamo testimoni di combattimenti tra gruppi di estremisti Islamici che combattono uno contro l’altro in Siria. Cosa ha causato questa rivalità tra gruppi ribelli, che in passato erano concentrati solo a combattere contro il regime di Assad?

SN: la cosiddetta “rivoluzione” siriana è stata, fin dall’inizio, una disputa territoriale per il potere ed il controllo. Disparati interessi all’interno ed interessi di sostenitori stranieri in concorrenza, hanno assicurato che non ci fosse mai una “opposizione” unita in Siria. È stato abbastanza facile fare finta, nei primi tempi, che fossero una forza di combattimento unica, ma quando le varie milizie hanno conquistato territori e risorse la competizione per il dominio si è accelerata.

Gli scontri recenti, che hanno causato la morte di più di 2.000 ribelli, si sono svolti principalmente tra ISIL ed altre fazioni ribelli che si sono organizzate in nuove coalizioni per questa battaglia. Al centro di questi scontri c’è una disputa territoriale, ma l’ISIL che è considerato un gruppo non-siriano, ha isolato molte milizie ribelli attaccando altri combattenti e rifiutandosi di cooperare su diversi piani.

Ideologicamente, non c’è una gran differenza tra i vari gruppi militanti Salafiti e altri gruppi che vengono ri-etichettati come “moderati”, di questi tempi sono semplicemente quelli che sono abbastanza furbi da rinviare tutti i discorsi sull’ ”Impero Islamico” fino a quando non abbiano preso il potere.

Prevedo continue lotte interne ai ribelli perché, dal momento in cui si entra in una nuova fase nel conflitto in Siria, dove compromessi, negoziati e confronti militari produrranno vincitori e perdenti, la posta in gioco sarà più alta e sarà “ogni milizia per sè”.

ND: Credi che le potenze occidentali, che stavano chiedendo le dimissioni di Assad già da prima, ora abbiano un enorme problema nel gestire questo nuova grande minaccia estremista?

SN: Assolutamente. L’Occidente aveva calcolato che Assad sarebbe caduto a breve dopo lo scoppio delle proteste nel 2011. A vari intervalli hanno cercato di  inasprire il conflitto , credendo erroneamente che un ulteriore “spinta” avrebbe fatto il lavoro. Invece hanno aiutato la Siria a cacciarsi in una situazione di pericolosa instabilità e caos, producendo il tipo di ambiente in cui Al-Quaeda e gruppi di ideologia simile prosperano.

Washington ha certamente riconosciuto il proprio errore e ha si è recentemente mossa per cambiarne il corso. È l’unica ragione per cui gli USA hanno bypassato i loro tradizionali alleati, Arabia Sauditsa e Israele, e ha concluso un accordo nucleare con l’Iran a Ginevra. L’Occidente ora ha bisogno di siuto dall’interno del Medio Oriente per sventare l’estremismo. E sanno che l’Iran è l’uno dei pochi stati che può farlo, la Repubblica Islamica è il principale obiettivo dell’estremismo Salafita  supportato dall’Arabia Saudita e perciò è assolutamente motivata a sventarlo. Così ora Iran, Hezbollah, Iraq e Siria saranno in prima linea in una reale Guerra sul Terrore, combattuta e condotta dall’interno della regione. Gli stati vicini come la Turchia e la Giordania infine parteciperanno e la Russia, la Cina l’India ed altri stati chiave presteranno un significativo supporto.

ND: Riassumendo i recenti sviluppi, qual è il futuro dei Cristiani che vivono ancora in Siria?  

SN: Molti Cristiani sono scappati dalla Siria a questo punto. Quelli che se lo sono potuti permettere se ne sono andati prima, soprattutto per  mettere al sicuro i propri coniugi e bambini. La decisione di andarsene è pesata molto su tutti i Cristiani con cui ho parlato: sono divisi tra l’amore per la propria patria e la preoccupazione per le proprie famiglie. Molti hanno risolto di ritornare quando il peggio è passato.

Anche i Cristiani e gli Armeni sentono un profondo senso di responsabilità per assicurare, anche dopo migliaia di anni, la continuità della loro presenza in Siria, mantenendo così i propri siti  e i propri tesori. Gli estremisti hanno distrutto così tante chiese, monasteri e luoghi di culto che questo aspetto, almeno per ora, sembra sconfortante.

La decisione di rimanere in Siria è spesso messa alla prova. Una conoscenza di Homs mi racconta dell’imponente esodo di più di 50.000 Cristiani dalla città a partire dalla fine del 2011. La maggior parte dei Cristiani di Homs non hanno lasciato la Siria, si sono prima spostati da Wadi a Nasarah (anche conosciuta come Valle dei Cristiani, più vicina al confine Libanese) e hanno allestito dei checkpoint e pattuglie di protezione nei loro quartieri. Appena di fronte a questa area c’è Kyak de Chevaliers, la famosa fortezza Crociata che è ora interamente occupata da milizie Islamiche, questo è un punto strategico tra il Libano e la Siria, attraversata da soldati ed armi. Ma il 14 agosto, 11 Cristiani sono stati brutalmente assassinati dalle milizie islamiche della città vicina di Amar al Hosn, causando un’altra ondata di Cristiani che fuggono dalla Siria o mandano via i propri figli.

È una scelta difficile che i Cristiani devono affrontare oggi. Il Levante è ricco di diversità, i Cristiani ne sono una parte importante. Questa potrà anche essere una comunità fragile, ma c’è una reale determinazione a preservare la storia ed il patrimonio culturale, entrambi. Proprio ora il futuro non sembra così roseo, ma io non riesco a vedere la Siria senza la sua comunità Cristiana.

La comunità internazionale sta prendendo molto sul serio l’estremismo Islamico in Libano, Siria ed Iraq, e prevedo significativi sforzi militari e politici per ribaltare la situazione in Siria. I Cristiani che rimangono nel paese parteciperanno a questi sforzi, in particolare dal momento che gli attacchi Salafiti diventano più brutali e settari. Sarebbe importante, durante questo periodo, coalizzarsi con le altre comunità e incrementare le misure difensive di sicurezza… i Cristiani non possono più permettersi di agire in questo senso. Io credo che questo alla fine significhi che la brutta situazione dei Cristiani e di altre minoranze Siriane sia evidenziata dai media globali con più regolarità, e meno faziosità, rispetto al passato.

Intervista integrale su MediaMax.

Traduzione di Cinzia Trivini Bellini