Il massacro di Marwahin.

  
di as-Safir (Libano)
mercoledì, 26 luglio 2006

“Ho chiamato papà ma non mi rispondeva… la mia famiglia è stata ridotta in brandelli”. Zaynab, sopravvissuta all’eccidio israeliano di Marwahin, racconta alcuni particolari agghiaccianti. Perché tv e giornali “autorevoli” non danno spazio a queste notizie? Chi o che cosa li trattiene dal farlo?

 

Domani o dopodomani finirà questa guerra sferrata dal nemico israeliano contro il Sud e contro il Libano. Coloro che sopravviveranno, tra gli abitanti dei villaggi afflitti dai massacri, racconteranno le storie dello spaventoso terrore e delle orribili tragedie umane.

Marwahin, questo piccolo villaggio nel sud, ha perso 23 dei suoi abitanti in un colpo solo, Israele li ha uccisi a sangue freddo e premeditatamente… notare che fu Israele stesso ad esortarli ad andarsene e ad abbandonare il villaggio, ma non appena essi lasciarono le loro case, essi divennero l’obiettivo dei bombardamenti dal mare e dal cielo… I sopravvissuti al massacro si rifugiarono nella Scuola Statale Secondaria di Saida, dove sono attualmente accuditi dalla Fondazione Hariri…

Ibrahim al-‘Abdallah riferisce come gli abitanti di Marwahin, una volta ricevuta l’intimazione ad abbandonare il villaggio, si diressero verso la sede dell’ONU che, come egli testualmente asserisce “si rifiutò di accoglierci… quindi ci trovavamo in una situazione estremamente difficile, bambini anziani e donne, eravamo nel pulmino circondati da una pioggia di bombe, allora ritornammo verso il villaggio e verso Emm el-Tut, non sapevamo dove dirigerci, il pianto dei bambini ci spingeva a trovare una via d’uscita da questo inferno, allora ci dirigemmo verso al-Bayyadah e Shamaa…”.

Zaynab, una giovane ragazza di 18 anni, ha perso in questo massacro tutta la sua famiglia: suo padre, sua madre, le sorelle, i fratelli, ed altri parenti; lei è sopravvissuta alla morte ed è rimasta colpita all’addome, ad un piede e ad un braccio. Zaynab racconta il suo incontro con la morte e di  come sia riuscita a salvare circa 115 persone, tra i suoi compaesani. Dice piangendo: “ giunti nella zona tra Shamaa e al-Bayyadah, si guastò il pick-up guidato da mio padre, ci fermammo, e papà  scese per aggiustarlo, mentre una pioggia di bombe cadeva su di noi; cercai di scappare correndo mentre la nave da guerra israeliana ci bombardava, la vidi con i miei occhi, fummo colpiti da un missile, tornai gridando a mio padre ‘ci stanno bombardando’ ma lo trovai steso in un lago di sangue e non mi rispose…era già morto. Trovai poi i miei nipoti Hussein, Hassan, Muhammad, Ali e Mahmud, mia sorella, mia cognata Sanaa e mia zia Zahraa con i suoi due figli…li  trovai tutti, alcuni ridotti in brandelli, altri che ancora bruciavano, sentii le urla di alcuni di loro ed il gemito degli altri…cosa potevo fare? Erano tutti morti, eravamo 28 persone, 23 delle quali sono decedute; appartenevano a due famiglie, la maggior parte alla mia, imploravo aiuto, ma nessuno mi rispondeva, nessuno mi sentiva”. Aggiunge Zaynab: “coloro che non vennero colpiti a morte dal missile, subirono gli attacchi degli aerei che compivano raid sul piccolo convoglio, sganciando bombe piene di chiodi e di schegge, così venni colpita anch’io all’addome, al braccio ed al piede, perdevo tanto sangue ma cercai lo stesso di scappare malgrado le mie ferite, così trovai mia nipotina Lara, figlia di mio fratello Kamel, di appena 4 anni; la trovai davanti al cadavere bruciato di sua mamma, piangeva…anzi urlava, trovai anche mia cugina di 8 anni ancora viva, allora le presi entrambe e le trascinai per più di 150 metri. Pensavo che fosse la fine e che saremmo morti tutti, perché il ronzio delle bombe mi seguiva. Riuscimmo a camminare finché non incrociammo un convoglio di auto, che si dirigeva verso di noi, con l’intenzione quindi di proseguire verso il luogo del massacro. Mi misi in mezzo alla strada e li fermai, implorandoli di tornare indietro, perché Israele aveva trucidato tutta la mia famiglia, i miei fratelli ed i miei nipoti”. Zaynab, terminato il racconto, si mette a piangere in silenzio.

Quindi interviene Hind al-Ahmad, dicendo: “Zaynab malgrado fosse stata colpita e ferita, ha salvato la vita a 115 abitanti di Marwahin che erano con noi nello stesso convoglio, ci ha implorato di tornare e di non proseguire lungo la strada”. Lara, invece, chiede sempre di sua mamma e dei suoi fratellini e piange. Adibah Misleh, che ha più di 70 anni, piange e si dispera e chiede del marito, disperso a Marwahin, e che non sa che fine abbia fatto; lei ha vagato senza meta durante i bombardamenti, si è ritrovata poi a Saida senza sapere dove fosse… spera di avere notizie di suo marito. Anche Adibah ha perso 9 persone della sua famiglia nel massacro di Marwahin.       

  

Per le immagini dell’eccidio israeliano,

v. http://www.uruknet.info/?s1=1&p=24885&s2=22

e scorri la pagina cercando “Marwahin”.

 

Tradotto per Aljazira.it da Naydi Nachar

Fonte: “as-Safir” (Libano), 25 luglio 2006

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