Middleeasteye.net. Di Motasem A Dalloul. Due dei tre diciassettenni uccisi durante le dimostrazioni della Grande Marcia del Ritorno avevano lasciato la scuola per aiutare le loro famiglie.
Erano le quattro del pomeriggio quando Hala al-Najjar ha ricevuto una telefonata con la quale le si chiedeva di fare visita a suo figlio Bilal presso l’ospedale di Khan Younis.
“Sono rimasta scioccata e non ho potuto riconoscere la persona al telefono. Ho interrotto subito la chiamata e sono crollata. Ho perso conoscenza per un paio di minuti e quando mi sono ripresa ho trovato la casa piena di parenti e vicini, tutti stavano piangendo”, ha raccontato Najjar, 38 anni, a Middle East Eye.
Bilal è uno dei tre diciassettenni uccisi durante le proteste di sabato scorso a Gaza, che hanno riunito decine di migliaia di dimostranti palestinesi per la commemorazione del primo anniversario della Grande Marcia del Ritorno. Adham Amara è stato colpito al volto, Tamer Abu al-Kheir al petto e Bilal all’addome.
Anche Mohammad Saad, 20 anni, è stato ucciso dalle schegge provenienti da colpi israeliani prima che le dimostrazioni iniziassero. Oltre 300 sono stati i feriti.
Secondo Save the Children la morte di questi ragazzi ha portato il numero totale di adolescenti uccisi a Gaza dalle forze israeliane a 52, da quando è iniziato il movimento di protesta, con circa 200 Palestinesi in totale durante la repressione israeliana delle proteste settimanali.
L’ONU ha accusato i militari israeliani di sparare intenzionalmente contro i civili, facendo notare che potrebbero aver commesso crimini di guerra nella loro tragica risposta alle proteste. I medici che lavorano in prima linea hanno riferito a MEE che i tipi di ferite dimostrano che i cecchini stanno sparando intenzionalmente per mutilare una intera generazione di giovani palestinesi.
Samir Zaqqout, vicedirettore del Mezan Centre for Human Rights con sede a Gaza, ha raccontato domenica a MEE: “Se la comunità internazionale resta incapace di affrontare questo aumento delle violazioni, le sofferenze dei Palestinesi di Gaza raddoppieranno e tra loro aumenterà il numero delle vittime”.
Tuttavia questi rischi non hanno scoraggiato i manifestanti dal protestare neanche sabato, chiedendo il diritto al ritorno nelle case dalle quali le loro famiglie furono costrette a scappare nel 1948 e la fine dell’estenuante assedio che dura da 11 anni.
Il blocco ha lasciato Gaza con uno dei tassi di disoccupazione più alti al mondo, circostanze economiche delle quali i ragazzi uccisi erano perfettamente consapevoli.
“Un uomo maturo, non un ragazzo”.
Sia Bilal che Tamer avevano lasciato ben presto la scuola per essere di aiuto alle loro famiglie, hanno raccontato i loro genitori a MEE.
Hala al-Najjar ha detto che Bilal era un ottimo studente, ma ha interrotto gli studi all’età di 12 anni per lavorare in un negozio di abbigliamento. Col suo lavoro aveva risparmiato il denaro per comprare un carro con un asino per poter uscire da solo in caso di necessità.
“Raccoglieva le macerie per strada, le vendeva e dava a noi il denaro guadagnato. Mi disse ‘Voglio aiutarti e vedere i miei fratelli e le mie sorelle completare i loro studi’”, ha raccontato Najjar.
“L’ho sempre visto come un uomo maturo, non un ragazzo. Non avrei mai pensato che potesse arrivare a casa morto, sdraiato su una barella”.
Tamer era molto ambizioso, hanno raccontato i suoi genitori, ma le sue aspirazioni erano state distrutte dalla povertà del campo rifugiati nel quale era nato, come suo padre, Hashem, prima di lui.
“Sono molto rattristato dalla perdita del mio caro figlio, ma non immagino che interromperemo le dimostrazioni prima di ottenere risposte ad una nostra richiesta urgente – rompere l’assedio e togliere le restrizioni imposte su Gaza” ha riferito a MEE. “Non abbiamo lavoro e non riusciamo ad acquistare nemmeno le cose più necessarie per i nostri figli”.
Come Bilal, anche Tamer aveva lasciato la scuola presto perchè la sua famiglia non poteva permettersi di pagarne le spese, ha raccontato sua madre Subhiyeh Abu al-Kheir.
“Mi aveva detto che voleva lavorare per risparmiare il denaro per poter costruire un appartamento e sposarsi”, ha riferito. “Però, alla fine, ha lavorato ed il denaro lo ha dato a noi perchè suo padre era disoccupato”.
L’anno scorso la famiglia è stata scelta per ricevere un appartamento ad Hamad City, un progetto abitativo finanziato dal Qatar. “Pensavamo di essere vicini a realizzare l’ambizione di nostro figlio, ma in un solo minuto tutto è andato”, ha detto.
Hala al-Najjar si è rifiutata di visitare Bilal presso l’ICU al Naser Hospital, sperando che si sarebbe rimesso. Invece è deceduto a causa delle ferite subite ed il suo corpo è stato trasferito presso la casa di famiglia.
“Lo hanno portato davanti a me. Era la prima volta che volevo alzarmi in piedi, ma le gambe non mi hanno retto. Lo hanno abbassato ed io mi sono chinata su di lui. L’ho abbracciato e poi l’ho baciato su tutto il viso”, ha riferito, seduta su un vecchio materasso appoggiato sul pavimento di cemento. usando il muro come appoggio per la schiena. Una decina di donne l’hanno attorniata, cercando di alleviare il suo dolore.
“E’ stata la prima volta che quando gli ho parlato lui è rimasto zitto. E’ stata la prima volta che l’ho guardato e lui non ha guardato verso di me. Il mio cuore brucia”.
Traduzione per InfoPal di Aisha Tiziana Bravi