Il movimento di protesta in Israele è illusorio.

DI GIDEON LEVY
Ha’artez / Reseau Voltaire

Dall’inizio del cessate il fuoco si è sviluppato in Israele un movimento di protesta, il cui orientamento è per il momento incerto. Include molti riservisti dell’esercito israeliano ed i loro familiari. Le proteste attaccano la forma attraverso cui il Primo Ministro Ehud Olmert ha condotto la guerra contro il Libano. Per Gideon Levy, giornalista del quotidiano Haaretz, pacifista e partecipante alla conferenza Axis for Peace, queste proteste non danno una risposta adeguata alle domande ed occultano la responsabilità collettiva. — Reseau Voltaire

I "bambini delle candele" sono cresciuti diventando il "movimento di protesta" di questa guerra. La gioventù confusa che piagnucolava seduta con chitarre e candele nella piazza di Tel Aviv in seguito all’assassinio di Rabin, è ora seduta nel Giardino delle Rose, di fronte all’ufficio del Primo Ministro, non meno confusa, e sembra stia protestando contro la guerra – chiaramente, dopo che questa ha avuto fine.

Come era impossibile sapere ciò che volevano allora i bambini delle candele, oggi è molto difficile comprendere ciò che vogliono i riservisti e i loro familiari in lutto. La maggior parte delle lamentele dovrebbero essere rivolte contro loro stessi: dove siamo stati fino ad ora? Se tutto ciò non ha altro obbiettivo che quello di far ritirare qualche dirigente, allora è una perdita di tempo sia per loro che per noi. Gli espulsi saranno rapidamente sostituiti da cloni e nulla cambierà. Olmert, Peretz e Halutz torneranno nelle loro rispettive case e Netanyahou, Mofaz e Narak prenderanno il potere.

Dopo tutti questi anni terribili, durante i quali abbiamo ucciso e siamo stati uccisi senza nessuna ragione, per la prima volta sono sorti interrogativi nel dibattito pubblico. Dovremmo rallegrarci di questo cambiamento, ma guardando più da vicino il contenuto di questa nuova protesta non dovremmo farci troppe illusioni. Gli argomenti trattati da coloro che protestano si riassumono sotto due aspetti, entrambi tanto intimi tra loro quanto il mondo dei riservisti: il primo, che le Forze di Difesa Israeliane non erano preparate per la guerra; e il secondo, che esse si sono ritirate troppo rapidamente.

Riguardo il primo aspetto le responsabilità sono molte. Per quanto concerne il secondo, la protesta non è giustificata. Esistono interrogativi molto più importanti e profondi che necessitano di una risposta: Perché abbiamo iniziato questa guerra? Come si sarebbe potuta evitare? Perché conosciamo solo il linguaggio della guerra? Quali sono i limiti del ricorso alla forza e verso dove ci dirigiamo ora? Senza dubbio questo nuovo movimento non si pone queste domande.

Anche se questa onda di protesta arriverà a trionfare o si creerà una commissione d’indagine, ed anche se il potere verrà suddiviso tra due o tre persone, la situazione non cambierà. Come le proteste del 1973 non portarono al cambio desiderato – tranne che per le poche persone estranee al potere – quelle del 2006 non porteranno a nessun cambiamento e ancor meno si eviteranno le domande principali. Lamentarsi dopo la guerra non è previsto tra gli impegni nazionali. Al contrario, se ci mettiamo di fronte solo ad una protesta-arancione-contro-il-ritiro [1] mascherata, allora possiamo prevedere nuovi pericoli.

I firmatari di petizioni e quelli che fanno sit-in nel Giardino delle Rose dovrebbero domandarsi prima di tutto dove sono stati fino ad ora. Eccetto gli "arancioni", la maggior parte di questi votò per Kadima – oltre che per il Likud o per i Laburisti. Molti hanno prestato servizio nella riserva, nei Territori Occupati, si sono occupati dei loro compiti ed hanno mantenuto il silenzio. Per sei anni hanno preso parte, direttamente o indirettamente, agli inutili programmi nazionali – dalla costruzione del Muro all’impresa di colonizzazione – ed hanno rinforzato l’occupazione. Hanno assistito con i propri occhi a come le IDF sono state trasformate in forze d polizia d’occupazione, di come hanno colpito i deboli senza essere preparati per occuparsi dei forti.

Hanno protetto i coloni e hanno visto la sofferenza provocata dall’occupazione, sono stati testimoni o hanno partecipato al maltrattamento dei Palestinesi. Di conseguenza, la responsabilità della mancanza di preparazione delle IDF è loro, causata in parte da ciò che hanno fatto e in parte dal loro silenzio. In questo momento non possono pretendere che il caos creato dalle IDF per compiere la missione li abbia sorpresi: erano là quando lo Stato fece il voltafaccia! Durante tutti questi anni sapevano che controllare le identità sulle autostrade, invadere abitazioni, perseguitare bambini per le vie e demolire migliaia di case non significa prepararsi alla guerra.

Pensavamo che avessero compreso che sono le attività dell’esercito di occupazione dei Territori quelle che provocano un odio simile contro di noi; che è la politica del rifiuto, più di qualsiasi altra cosa, ciò che mette in pericolo Israele, e che non è nelle casbah [costruzione in una città araba, ndt] che si dovrebbe mettere alla prova l’esercito. La mancanza di preparazione nel fronte interno non avrebbe dovuto sorprenderli: un paese che maltratta la sua popolazione più debole in tempo di pace lo farà anche in tempo di guerra. Che c’è di tanto nuovo e sorprendente in tutto questo?

Rispetto al secondo punto, l’interruzione dei combattimenti, non giustifica questa protesta, ma al contrario, è un complimento. Mentre dovrebbero chiedersi perché è scoppiata la guerra, i manifestanti chiedono perché si è fermata. Se in questa guerra l’autorità ha qualche merito, è di aver vacillato nelle ultime ore. Ed è un peccato che non abbia vacillato prima! Dove ci troveremmo esattamente se l’avessimo continuata?

I peccati originali verso i quali dovrebbero rivolgersi le proteste sono: la determinazione, la presunzione smisurata e l’odio che ha animato l’autorità nella prima fase di questa guerra. E’ deprimente vedere che nessuno dei manifestanti si pone delle questioni morali. Un movimento di protesta che non si pronuncia contro la terribile distruzione che infliggiamo al Libano, che tace di fronte al modo in cui uccidiamo centinaia di civili innocenti e di fronte alla maniera con la quale trasformiamo decine di migliaia di persone in rifugiati ridotti a povertà, non è definibile come movimento morale. Per quanto tempo ancora continueremo a stare ripiegati su noi stessi e vedere solamente la nostra propria miseria?

E’ troppo chiedere ai manifestanti, che si suppone siano il quadro dell’avanguardia, di guardare a a ciò che abbiamo fatto all’altra nazione? Come poter comprendere perché dopo i massacri di Sabra e Chatila, che non erano direttamente opera nostra, la gente uscì in massa nelle strade, mentre oggi nessuno dicee nulla sulla distruzione che abbiamo seminato con le nostre mani in Libano? E per niente!

Con dei simili movimenti di protesta, Israele può prescindere dal silenzio degli agnelli che tanto bene lo hanno caratterizzato in questi ultimi anni. Dovremmo essere stanchi di simili piagnoni!Sul campo di battaglia forse saranno anche soldati coraggiosi, ma nel campo della protesta non sono altro che combattenti codardi.

Nota:

[1] I coloni che negavano di ritirarsi da Gaza, decisero di prendere per se i colori della “rivoluzione arancione” ucraina.

Gideon Levy è giornalista del quotidiano israeliano di sinistra Ha’aretz. Forte critico dell’occupazione israeliana, scrive nel suddetto quotidiano una cronaca settimanale, intitolata "Twilinght Zone", sulle violazioni commesse contro i Palestinesi. Con il passare degli anni è diventato per la destra israeliana un simbolo della "sinistra pro Palestina" e per gli altri un pretesto. "Come sarebbe a dire che non siamo una democrazia? Lasciamo che Gideon Levy scriva!", è solito dire il Ministro della Difesa Shaul Moffaz.

Versione originale

Gideon Levy
Fonte: http://www.haaretz.com
Link: http://www.haaretz.com/hasen/spages/755016.html 05.09.2006

Versione spagnola

Fonte: http://www.voltairenet.org
Link: http://www.voltairenet.org/article143363.html

Versione italiana

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CIRE

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