Il muro di Berlino e il muro in Palestina

Il muro di Berlino

Di Mazin Qumsiyeh

Continuo a essere triste, sorpreso, ma anche ispirato da ciò che vedo e sento nel mio viaggio di lavoro in Germania. Resto cautamente ottimista, perché le lezioni di storia, pur essendo tristi, forniscono una mappa inequivocabile per il futuro. Hitler (e i sionisti), che intendevano eliminare gli ebrei dall’Europa, hanno fallito. Qui in Germania, si trova la comunità ebraica più popolosa del mondo e più della metà proviene da Israele (la supposta oasi di pace degli ebrei). Molti degli attivisti per i diritti umani qui sono ebrei ex-israeliani o ex-sionisti. Gideon Levy spiega a Haaretz, questa settimana, come e perché gli israeliani stiano richiedendo passaporti stranieri a un tasso alto come non mai.

Esaminando i luoghi in cui si trovano i campi di concentramento nazisti, guardando le foto e leggendo le storie del passato, si rimane colpiti dall’idiozia di coloro che hanno pensato di farla franca dopo aver trattato così indegnamente degli esseri umani. Sulla Terra sono presenti risorse sufficienti per tutti, ma l’avidità e il razzismo sembrano perseguitare la nostra specie e il passato è orribile ovunque. In certi periodi della nostra storia, la follia e l’arroganza del potere nell’affrontare l’indifferenza e nel sottomettere esseri umani a simili crudeltà sono indescrivibili. In altri periodi, il negazionismo (della Nakba o della Shoah) può ferire i sentimenti dei sopravvissuti.  Nessun uomo può dichiarare che ciò non sia mai esistito.  Ma io, da palestinese, credo che il microcosmo di questa storia umana sia veramente inquietante e risonante nella nostra realtà.  

Oggi è stato dichiarato, che il governo di Israele sta elaborando un piano per spostare per “motivi ambientali” 30mila beduini, dai loro irriconoscibili villaggi del Negev, in aree di concentramento. Settanta anni fa, centinaia di Rom (zingari) sono state dislocate “per migliorare l’ambiente”.  Gli zingari (Rom) sono ancora trattati male in Germania ed esistono ancora, nonostante quei primi tentativi di eliminarli.  

Sette anni fa, le rivolte del campo profughi di Jenin e nella città vecchia di Nablus (ghetti) sono state brutalmente represse. Sessanta anni prima, una rivolta nel ghetto di Varsavia è stata repressa.  Le storie degli ebrei che hanno collaborato con i nazisti somigliano stranamente alla descrizione dei palestinesi che collaborano con i piani sionisti (vicende di estorsione, utilizzo di membri della famiglia, utilizzo di leve mediche o economiche ecc).  

Il muro di Berlino, alto quasi tre metri, è quasi scomparso, ma in Palestina esiste ancora un muro alto quasi otto metri.  Ho comprato un pezzo del muro di Berlino.  Ho immaginato che, molto presto, alcuni palestinesi ricaveranno un sacco di soldi dalla vendita dei pezzi del muro di separazione israeliano. Sogni, memorie, lezioni, lacrime e speranze non conoscono confini di stato, nazionali o religiosi.  Ricordo il notevole libro del teologo ebreo Marc Ellis “Out of the Ashes” e il suo messaggio: le lezioni dell’orrore non devono ripetersi “mai più per tutto il genere umano”, non “mai più per il mio gruppo.”  Questa è la lezione che spero venga recepita da tutti noi. 

Abbiamo tenuto una conferenza stampa sulle azioni in programma per portare la Freedom Flotilla II a Gaza verso la fine del mese e per portare migliaia di attivisti per la pace nel resto della Palestina tra l’8 e il 16 di giugno (sponsorizzate da 30 gruppi palestinesi e supportata da centinaia di organizzazioni nel mondo, vedi PalestineJN.org).  La conferenza stampa si è tenuta lo stesso giorno in cui, lo scorso anno, i commando della marina israeliana hanno attaccato la Freedom Flotilla I, uccidendo nove attivisti e ferendone molti.  Tutti noi siamo ispirati dalla determinazione della società civile internazionale (persone di ogni estrazione sociale, che agiscono in base alla propria coscienza) nel continuare a costruire la pace attraverso la giustizia.  Questa determinazione è in contrasto con la collaborazione dei governi occidentali, che supportano l’ultimo stato di apartheid coloniale rimasto. Come abbiamo visto in Tunisia, in Egitto e nel resto del mondo arabo, possiamo scommettere sul potere delle persone.

Mazin Qumsiyeh

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