Il nemico inventato.

 


Di Silvia Cattori

I guerrafondai si sono basati su attentati isolati, dalle origini mal 
chiarite, per incriminare tutt’insieme Osama Bin Laden, Saddam 
Hussein, i Palestinesi, i « musulmani » in generale, ed influenzare 
la nostra percezione [1].

Allo scopo di giustificare le loro guerre unilaterali, e rendere 
legittime le violazioni dei diritti dei popoli e del diritto 
internazionale, mascherandole da « guerra mondiale al terrorismo », 
era necessario iniziare con la menzogna e dar vita ad un nemico.

C’è bisogno di ricordare che, prima di invadere l’Iraq nel 2003, 
l’amministrazione Bush aveva presentato documenti falsi per provare 
il possesso da parte del Presidente Saddam Hussein di « armi di 
distruzione di massa » ed una responsabilità irakena negli attentati 
dell’ 11 settembre 2001?

Questo falso mostruoso era solo una delle innumerevoli menzogne 
diffuse per trascinare il mondo intero in guerre criminali a 
ripetizione.

A partire dal 2005, grazie all’inchiesta che il Consiglio d’Europa ha 
affidato al senatore Dick Marty [2], sappiamo come, nel quadro di 
questa sedicente « guerra al terrorismo », gli ufficiali della CIA e 
dell’FBI hanno fatto trasferire in prigioni segrete, per esservi 
selvaggiamente torturati, un gran numero di musulmani rapiti a caso. 
Sappiamo inoltre come i paesi europei hanno partecipato da vicino a 
queste attività, contrarie ai principi fondamentali che essi 
rivendicano. [3]

Ma siamo ben lontani dall’immaginare in qual misura questi poteri si 
servono di giornalisti e agenzie di « pubbliche relazioni » [4] per 
diffondere la paura in modo da imporre una falsa percezione della 
realtà.

« Il momento è spaventoso. L’ambiente intellettuale parigino è in una 
deriva parareligiosa, un’islamofobia latente (…) Non c’è alcuna 
ragione di aver paura dell’Islam » rispondeva l’intellettuale 
francese Emmanuel Todd al giornalista che gli chiedeva se non avesse 
“paura dei musulmani”. [5]

Eppure, in Occidente, questa paura c’è, ben palpabile.

È bastato agli ideologi, seguaci dello « scontro di civiltà », 
associare l’Islam al « terrorismo », l’indossare il velo al « 
fanatismo » per istillare subdolamente un senso d’insicurezza e 
creare una profondo rigetto di questa religione. Si deve 
disgraziatamente constatare che la maggior parte dei grandi media ha 
dato vasta risonanza ai loro argomenti razzisti – volontariamente o 
per ignoranza – contribuendo così ad ampliare quest’estesa 
disinformazione.

Noi ne siamo diretti testimoni. Giornalisti, giornali di grande 
tiratura, presentatori televisivi hanno abusato in modo sbalorditivo 
della loro posizione.

Ognuno di noi può ricordare il tale o il tal altro commentatore, o 
inviato speciale in Iraq o Palestina, definire « terroristi » coloro 
che si sollevavano contro l’invasore, invece si trattava di 
resistenti. O ancora un certo giornalista che sistematicamente faceva 
circolare idee grottesche, sul velo e la « sharìa » (la legge 
islamica) per alimentare la sensazione che i musulmani « non sono 
come noi », non accettano i « nostri » valori, cogliendo ogni 
occasione per associarli al « fanatismo », all’ « arretratezza », 
all’ « oppressione » della donna [6].

Senza queste feroci campagne denigratorie della cultura e delle 
tradizioni della società araba, lo sviluppo dei pregiudizi islamofobi 
non avrebbe potuto raggiungere una simile portata. E l’indifferenza 
delle persone restare così generale, malgrado le immagini 
insostenibili dei detenuti torturati, o dei civili dilaniati dai 
bombardamenti in Palestina, Libano, Iraq, Afganistan.

Bisogna chiamare le cose per nome. Quella che ci è stata presentata 
come una guerra per « ristabilire la legge e la sicurezza », era né 
più né meno una guerra islamofoba. Una guerra completamente 
strumentalizzata da relatori dediti innanzitutto alla difesa degli 
interessi di Israele in Medio Oriente.

Persone che non avevano nulla da rimproverarsi, sono state prese di 
mira a causa della loro appartenenza religiosa, ad esempio, in paesi 
come la Svizzera e l’Italia, che mai avevano conosciuto attentati che 
potessero essere attribuiti a degli Arabi o a dei musulmani. E – in 
tutti gli ambienti sociopolitici – soprattutto a partire dagli anni 
2000, le persone hanno iniziato a guardare con sempre maggior 
diffidenza le donne con il velo ed i fedeli che frequentavano le 
moschee.

Questa criminalizzazione, cosciente o no, di una popolazione 
importante (l’Unione europea conta 15 milioni di musulmani), aveva 
una motivazione soprattutto politica. Doveva preparare l’opinione 
pubblica ad aderire alla guerra o ad accettarla.

A questo è servita la criminalizzazione dei musulmani : a 
condizionare l’opinione pubblica perché nessuno provasse pietà per le 
sofferenze che noi « difensori delle libertà » facevamo loro patire ; 
ed anche a preservare i criminali di stato da ogni critica.

Questa cinica politica, alla quale hanno inconfutabilmente 
contribuito dei giornalisti asserviti, ha un nome : « strategia della 
tensione ». Una strategia che consiste nel bersagliare e denigrare 
dei semplici cittadini, – in questo caso dei musulmani rispettosi 
della legge – accusandoli di cose assurde e, al momento opportuno, 
attribuire loro le provocazioni o gli attentati che agenti 
clandestini di stato hanno preparato per questo effetto, o – e questo 
avviene più sovente di quanto si possa immaginare – che talvolta essi 
stessi hanno commesso.

Non si tratta di una “fiction”. Lo storico svizzero Daniele Ganser ha 
dimostrato, in un’opera intitolata « Les armées secrètes de l’OTAN 
(Le armate segrete della NATO) » [7], come durante la « la guerra 
fredda », gli Stati Uniti, ed i loro alleati europei, si sono serviti 
di una rete illegale costituita dalla NATO, in associazione con la 
CIA, chiamata « Gladio » per fomentare sanguinosi attentati ed 
attribuirli poi ai comunisti. Vincenzo Vinciguerra che ha partecipato 
a questi attentati dinamitardi contro degli innocenti, ha in seguito 
confermato che il fine da perseguire con queste stragi era provocare 
il panico e spingere le autorità verso un regime autoritario.

Le stesse manipolazioni non sono sempre in opera oggi, a nostra 
insaputa?

Ma, questa volta, i manipolatori di stato non colpiscono più 
extraparlamentari di sinistra e comunisti, come durante gli anni 
60-80 ; prendono di mira Arabi e musulmani. Ogni attentato è 
immediatamente messo a profitto da questi « specialisti di terrorismo 
», chiamati a commentarlo e a spiegarlo, per rilanciare il dibattito 
ed accrescere la diffidenza nei confronti dell’Islam.

In genere, non c’è nessuna reazione per contestare l’arbitrarietà e 
le falsificazioni [8]. È dunque cosi assai più facile diffondere 
notizie false, sulle quali i media tradizionali non mostrano alcuna 
propensione ad indagare, come si dovrebbe, per verificare se le 
versioni ufficiali sono plausibili. [9]

I cittadini, e li si comprende, presi dalla disinformazione, sono 
lontani dall’immaginarsi che le loro autorità, con l’aiuto del quarto 
potere, potrebbero essere in qualche modo invischiate nella creazione 
di strategie contrarie ai loro interessi.

Ma oggi qualcosa sta cambiando: le vittime cominciano a rialzare la 
testa e a parlare [10]. E, per alcune di loro, ad esprimere la loro 
amarezza nei confronti di certi giornalisti che sono all’origine 
della loro discesa agli inferi. È urgente ascoltarli. E sollevare il 
velo su questo periodo buio.

I due esempi che seguono riguardano personaggi molto differenti, ma 
che hanno una cosa in comune : esser stati oggetto di accuse, tanto 
infondate quanto devastanti, da parte di media decisamente orientati.

Le menzogne che uccidono: il caso di Youssef Nada

Il signor Nada, ingegnere e banchiere italiano di origine egiziana, è 
una delle vittime palesi di queste ingannevoli campagne mediatiche. A 
seguito delle accuse di un gruppetto di giornalisti, è stato iscritto 
sulla lista nera dell’ONU. Nonostante la sua innocenza sia stata 
confermata dai tribunali, i suoi beni rimangono congelati e, dal 
2001, resta costretto al domicilio coatto nella minuscola enclave di 
Campione d’Italia. [11]

Dirigeva una fiorente società bancaria nella città svizzera di 
Lugano, quando un articolo di Guido Olimpio, pubblicato dal « 
Corriere della Sera » [12], l’ha brutalmente colpito. Il giornalista 
l’accusava allora di finanziare il gruppo palestinese di Hamas. 
Associazione che l’occupante israeliano considerava come « terrorista 
» mirando a farla schedare come tale dai paesi occidentali.

Era il 1997. Ciò conferma che la strategia di criminalizzazione era 
già in attività ben prima degli attentati dell’ 11 settembre 2001. 
L’accusa formulata contro di lui ha avuto conseguenze terribilmente 
pesanti. Nonostante essa sia stata debitamente smentita, è stata 
ripresa senza verifica da altri giornalisti e ha così continuato a 
produrre grandi titoli sulla stampa internazionale [13]. Per finire 
col trasformarsi in « verità ».

Il dubbio ed l’obbrobrio gettati sul signor Nada hanno permesso, in 
un primo tempo, di stigmatizzare questo eminente oppositore politico 
del regime dittatoriale del Presidente Moubarak (un alleato degli 
Stati Uniti e d’Israele) e di screditare l’associazione dei Fratelli 
Musulmani, della quale il signor Nada è anche uno dei personaggi più 
rispettati.

Successivamente, nel momento degli attenti dell’ 11 settembre, le 
accuse del “Corriere della Sera” hanno consentito all’ FBI di 
segnalare il signor Nada e di farne un colpevole.

È così che, il 7 novembre 2001, il signor Nada ha sussultato sentendo 
il Presidente degli Stati Uniti in persona dire, da un’emittente 
televisiva, che la società Al Taqwa, da lui diretta a Lugano, era il 
principale procacciatore di fondi per Osama Bin Laden.

Su quale prova il signor Bush poteva solidamente basare un’accusa di 
tal portata? L’unico elemento presentato dall’ FBI alle autorità 
svizzere resta l’articolo del « Corriere della Sera » scritto da 
Guido Olimpio nel 1997.

Quella che avrebbe potuto rimanere nient’altro che un’accusa senza 
fondamento, era diventata una « verità » ufficiale universale, che 
permetteva di legittimare sanzioni illegali e guerre.

Questa volta il signor Nada non era collegato solamente al movimento 
palestinese Hamas, ma al « demonio » in persona! Osama Bin Laden ! 
questa volta il signor Nada era bruciato.

Come dice lui stesso, nel film che gli ha dedicato Andrea Canetta : « 
Danneggiare qualcuno alla mia età significa ucciderlo prima che 
muoia. Mi hanno assassinato, è vero. Il fatto che sia qui, in piedi 
davanti a voi, non significa che io sia vivo, mi hanno ucciso, hanno 
assassinato me, la mia famiglia, la mia reputazione, hanno distrutto 
quel che avevo costruito nella mia vita » [14].

Fondato su una menzogna, un ingranaggio kafkiano si è messo in moto. 
Da sette anni il signor Nada è costretto a battersi davanti ai 
tribunali e all’opinione pubblica affinché gli sia infine resa 
giustizia.

Il male è fatto. Anche se domani per lui fosse fatta giustizia, la 
sua vita è già stata massacrata.

Il caso di Kassim Britel

Questa è un’altra storia terribile. Riguarda questo italiano di 
origine marocchina, vittima, come migliaia di altri musulmani, di una 
di quelle operazioni criminali della CIA chiamate « extraordinary 
renditions ».

Il signor Kassim Britel viaggiava in Pakistan quando, il 10 marzo 
2002, è stato rapito dai servizi segreti pakistani. È stato 
torturato, poi « venduto », sì venduto, agli ufficiali dell’FBI e 
della CIA [15]. Questi ultimi l’hanno torturato a loro volta e gli 
hanno promesso denaro e libertà se avesse accettato di spiare dei 
musulmani. In seguito al suo rifiuto, l’hanno consegnato ai Servizi 
segreti marocchini affinché lo interrogassero e torturassero di 
nuovo. A tutt’oggi egli è sempre nelle loro mani, nonostante la sua 
innocenza sia stata dimostrata e malgrado il pressante invito al 
governo italiano, contenuto nella Risoluzione del Parlamento europeo 
sui « voli segreti della CIA », affinché l’Italia « faccia dei passi 
concreti per la sua liberazione ».

Anche in questo caso, c’è una famiglia traumatizzata dal modo in cui 
un marito, un figlio, un fratello è stato trasformato in un « 
criminale ». Anche in questo caso ci sono le accuse, mai provate, di 
un giornalista che sono state, sembra, all’origine della 
demonizzazione della vittima.

La moglie – italiana, residente à Bergamo dove noi l’abbiamo 
incontrata-racconta il suo calvario con voce dolce. « Mio marito è 
stato calunniato in maniera molto pesante da quei giornalisti che, a 
quanto pare, diffondono ciò che vogliono i servizi segreti ». Per 
questo motivo la signora Britel, ha intrapreso un’azione legale 
contro i quotidiani italiani, « Il Corriere della Sera » e « Libero ».

« Già nel 2001, quattro mesi prima che mio marito fosse rapito 
illegalmente e consegnato agli agenti della CIA in Pakistan, Guido 
Olimpio aveva scritto un articolo nel quale lo descriveva come un 
pericoloso terrorista. Ero molto arrabbiata. Diceva che era sempre in 
viaggio, che era membro di una rete terroristica islamica, che 
forniva documenti d’identità falsi, che i nostri nomi ed indirizzi 
erano stati trovati a Kabul e che, sotto la copertura di una vita 
anonima e tranquilla, spariva periodicamente. Parlava di passaporti 
in bianco rubati nella nostra città, della sua presunta appartenenza 
al « Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento, 
associato a Osama Bin Laden ».

Nient’altro che invenzioni belle e buone ! Mio marito conduceva una 
vita normale. Come può un giornale accettare che si inventino simili 
cose in un paese civile ? Non riuscivo a ragionare. Mi dicevo: guarda 
quello che ci hanno fatto ! Tutto ciò ha distrutto la nostra 
famiglia. Vogliono accusare anche me, perché difendo mio marito, 
perché porto il velo.

Il giornalista non forniva mai alcuna prova che giustificasse il 
contenuto delle sue dichiarazioni. Leggendole, mi dicevo che non 
parlava di mio marito, che tutto questo era assurdo, che parlava di 
qualcun altro, che inventava queste cose per fare il ritratto di 
colui che voleva far passare per un « terrorista in sonno ». Tutto 
quello che affermava non aveva niente a che vedere con la realtà. 
Erano delle affermazioni gratuite che non si basavano su nulla. 
Malgrado ciò, è tornato alla carica parecchie volte per raccontare 
menzogne presentate come gravi rivelazioni che tiravano in ballo mio 
marito.

È nel pericoloso contesto della radicalizzazione razzista seguita 
agli attentati dell’11 settembre che il « Corriere della Sera », ha 
pubblicato il pamphlet islamofobo da due milioni di copie di Oriana 
Fallaci « La rabbia e l’orgoglio » [16] che definiva l’Islam come « 
nazifascismo » e incitava all’odio contro i musulmani.

Mi ricordo che, il 19 novembre 2001, ho trovato una folla di 
giornalisti che mi aspettava sul posto di lavoro. E che, il 20 e il 
21 novembre, sono stati pubblicati una decina di articoli. I più 
gravemente accusatori erano quelli del « Corriere della Sera ». [17]. 
La gente che incontravo mi diceva « Hai letto il titolo del 
Corriere ? ».

Mi sentivo schiacciata a leggere queste cose. Anche se volevo 
reagire, non potevo. Ero paralizzata. Sono dovuta fuggire da casa 
mia. Ho scritto al Presidente, ai ministri. Da anni chiedo giustizia. 
Il fatto che sia innocente non è servito a restituire a Kassim la 
libertà e a rendergli l’onore. La sua vita è in pericolo. Sono stanca 
e indignata. Siamo cittadini senza diritti.

Quando, a seguito della mia denuncia penale, Guido Olimpio è stato 
convocato ed interrogato dalla polizia giudiziaria ha dichiarato : « 
Le informazioni provengono da organi dell’Intelligence italiana ed 
anche straniera, per vie confidenziali ». Era un modo per non 
ammettere che aveva mentito dall’inizio alla fine ?

Tengo a sottolineare che il ruolo del governo Berlusconi e dei 
Servizi segreti – allora diretti da Franco Frattini [18] – è 
fondamentale in questo caso. Erano al corrente dell’arresto di mio 
marito e di ciò che subiva, e non me lo dicevano. Le polizie 
collaboravano con i servizi della CIA, del Pakistan e del Marocco, al 
di fuori della legalità, come è dimostrato dagli atti dell’inchiesta 
italiana, chiusa e archiviata nel settembre 2006 ».

Perché hanno agito così ?

« C’è un episodio che lo spiega. Eravamo nel 2001, poco prima della 
riunione del G8 a Genova. I media erano pieni di articoli che 
rivelavano che gruppi di « estremisti islamici » si preparavano ad 
andare al G8 per spargere « del sangue infetto » sulle forze 
dell’ordine. È in questo periodo che la polizia ha messo sotto 
inchiesta tutti i musulmani che frequentavano le moschee ed ha 
perquisito le loro case. Kassim era in viaggio in Pakistan, in 
luglio, quando la nostra casa è stata perquisita. Esattamente nello 
stesso momento in cui i titoli dei giornali mettevano in agitazione 
l’Italia annunciando la probabilità di attacchi imminenti da parte di 
« islamici ». Si noti che, al tempo della riunione del G8, non ci fu 
alcun attacco organizzato da musulmani. In compenso, ci furono 
provocazioni e violenze da parte della polizia.

Due mesi dopo che l’autorità giudiziaria ha chiuso il fascicolo di 
Kassim, il 29 settembre 2006, il « Corriere della Sera », che aveva 
sempre esibito grandi titoli per diffamare mio marito e associarlo al 
terrorismo internazionale, ai Talebani e a Bin Laden, chiamandolo in 
maniera impropria « El Kassim », ha pubblicato una piccola nota a 
pagina 13, dal titolo : « Terrorismo, per Britel accuse insussistenti 
». Così, quello che Guido Olimpio aveva sempre chiamato « El Kassim » 
dal momento che era innocente era diventato improvvisamente « Britel ».

I lettori non stabilivano necessariamente il legame tra il « 
terrorista » costruito di sana pianta e l’uomo onesto che aveva 
ingiustamente subito quasi sette anni di prigionia e di torture. Non 
verrà nemmeno ricordato che « Britel » era stato vittima delle 
abominevoli « renditions » e detenzioni segrete illegali da parte 
della CIA, condannate dal Consiglio d’Europa e dal Parlamento 
europeo. Questo per dire, infine, che i lettori saranno stati 
disinformati fino in fondo ».

Come risulta, da questi due casi vergognosi, la priorità dei media in 
generale, non è attirare l’attenzione del mondo sulle sofferenze 
provocate dalle violazioni del diritto internazionale perpetrate 
dalle grandi potenze, nel quadro di questa « lotta al terrorismo ». 
La priorità è inondare le persone e le librerie di articoli ed opere 
che evochino un legame tra « islam e terrorismo ». La priorità è 
nutrire la paura del « terrorismo religioso », questa « idra 
minacciosa con cento teste » che « si espande fino alla soglia delle 
nostre case » [19].

La disumanizzazione degli Arabi è un arma di guerra. È un’arma che lo 
stato coloniale israeliano ha sempre utilizzato con indubbio 
successo. È così che i Palestinesi sono stati sempre maltrattati e 
abusivamente presentati dal loro occupante come « terroristi ».

Nel frattempo, dietro il paravento del sedicente « processo di pace 
», Israele è riuscito a trascinare « l’Occidente » nel suo conflitto 
bellico con il mondo arabo e a fargli adottare il suo sistema « 
orwelliano » di controllo dei cittadini. Trasformando così il suo 
conflitto regionale in uno scontro globale, in una guerra mondiale 
contro l’Islam.

Questo stato di guerra che umilia ed insanguina i popoli del Medio 
Oriente da 60 anni , e che mantiene l’opinione pubblica sotto il 
dominio della menzogna, è già durato troppo.

« Oggi, mentre il nostro pianeta è « minato » da innumerevoli 
conflitti fra gruppi, fra Stati, ed anche tra ambienti culturali, 
abbiamo un enorme bisogno di un « giornalismo di pace » che ci offra 
chiavi per comprendere questi conflitti, che ci dia elementi per 
cogliere le contraddizioni che rispecchiano, e che ci proponga tracce 
di riflessione su come trasformarli e superarli. » [20]

Per contribuire a porre fine a questi spietati conflitti, non bisogna 
aver paura di dire la verità, anche quando essa non è per niente 
piacevole. Perché è ben più disgustoso scoprire le prolungate 
sofferenze degli innocenti ingiustamente condannati.

Ma, come ha così giustamente detto il giornalista Alan Hart :
« L’inferno è quando capite che la vostra vita è giunta al termine e 
non avete impiegato tutte le vostre capacità e le vostre risorse, 
quando invece avreste potuto farlo, al fine di cambiare qualcosa, 
vale a dire che l’inferno è il momento nel quale prendete coscienza, 
dopo matura riflessione, di aver sprecato la vostra vita. Invece, il 
Paradiso è prendere in considerazione senza timore l’avvicinarsi 
della morte, perché sapete, al contrario, di aver fatto del vostro 
meglio per cambiare, anche per quanto poco sia, il mondo. » [21]

Silvia Cattori

Link originale :
http://www.silviacattori.net/article627.html

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