Il popolo egiziano insorge e rovescia Morsi – o è stato l’esercito?

Il popolo egiziano insorge e rovescia Morsi – o è stato l’esercito?

Esattamente un anno dopo l’entrata in carica di Mohammed Morsi, l’esercito egiziano risponde alle proteste popolari deponendo il presidente che era stato eletto democraticamente. Come siamo arrivati ​​a questo punto? L’esercito può meritare la fiducia nel riportare il paese sulla strada della democrazia?

Il 29 giugno 2012, piazza Tahrir scoppiò in applausi poiché si era insediato al potere Mohammed Morsi, il primo presidente eletto democraticamente in Egitto. Il 3 luglio 2013, ancora una volta la piazza si è riempita di egiziani esultanti. Questa volta però si festeggiava l’annuncio militare dell’allontanamento di Morsi e della sospensione della Costituzione mentre una figura di alto livello giudiziario veniva nominata presidente provvisorio in attesa di elezioni anticipate. Nel frattempo, Morsi era stato messo agli arresti domiciliari.

Tante cose possono succedere in un anno.

Il giorno in cui Morsi ha assunto l’incarico, stette in piedi di fronte alla folla plaudente e sbottonò la giacca per mostrare che non indossava alcun indumento protettivo. Separandosi dalle sue guardie del corpo in preda al panico, aveva incantato la folla annunciando di non essere preoccupato, di essere “uno del popolo”. Questa è sempre stata la principale rivendicazione di legittimità da parte dei Fratelli Musulmani – ovvero di rappresentare i veri egiziani: non gli abitanti della città e nemmeno l’alta società liberale, ma i milioni che vivono nelle baraccopoli, piccole città e villaggi, quelli che lottano per guadagnarsi da vivere ed adottano uno stile di vita musulmano fondamentalmente conservatore.

Poche settimane dopo il suo insediamento, Morsi ha annunciato il pensionamento forzato di diversi alti ufficiali militari. Tra questi, il maresciallo di campo Tantawi, il ministro della difesa che aveva guidato lo SCAF (Consiglio Supremo delle Forze Armate), che aveva governato l’Egitto per 18 mesi tra il rovesciamento di Mubarak e l’elezione di Morsi.

I lettori potrebbero ricordare che l’esercito ha commesso numerose azioni di efferata brutalità durante quel periodo di transizione. Centinaia di manifestanti civili sono stati processati in tribunali militari e condannati a pene detentive molto lunghe. Le dimostranti femminili sono state sottoposte ad una forma di violenza sessuale spacciata per “test della verginità”. C’è stato il massacro di Maspero, quando l’esercito ha aperto il fuoco sui manifestanti copti, uccidendone 20. Ci fu l’episodio della “ragazza dal reggiseno blu”, spogliata e picchiata in strada dalle forze di sicurezza. E così via.

Non c’è da stupirsi, quindi, che molti egiziani celebravano quello che credevano, o volevano credere, fosse il governo democraticamente eletto che affermava la sua autorità e riduceva la potenza dell’esercito in campo politico. Nel frattempo, alcuni analisti avvertivano che probabilmente questo era una questione di condivisione del potere, dietro le quinte, tra i Fratelli Musulmani e l’esercito.

Perdere il sostegno popolare

Ma, nei mesi successivi, Morsi e il suo partito Giustizia e Libertà non sono riusciti a fare tesoro dell’iniziale buona volontà popolare che andava nella loro direzione. In effetti, sembravano fare di tutto per allontanare chiunque – l’esercito, i liberali che li avevano votati a malincuore (l’unica alternativa era quel che restava del regime di Mubarak) e anche la loro base elettorale popolare.

In molti casi, Morsi dava l’impressione di essere autoritario e incompetente. Nel mese di novembre, per esempio, aveva comunicato che la presidenza era al di sopra della legge e quindi non soggetta a controllo giurisdizionale. Seguirono le proteste con manifestazioni di massa di fronte al palazzo presidenziale, poi Morsi ritrattò la dichiarazione. In un’altra occasione aveva improvvisamente annunciato smisurati aumenti di tasse, tra cui quelle sui prezzi dei prodotti alimentari di base. Anche in questo caso, ci fu un tumulto e di nuovo l’annuncio fu smentito – alle 2 di notte attraverso la pagina Facebook del presidente.

Da lì, le cose continuarono a peggiorare, con il governo che vacillava tra una crisi e l’altra. C’era carenza di gas, interruzioni dell’energia elettrica e anche la minaccia di una crisi idrica. I prezzi erano saliti, la disoccupazione rimaneva elevata e la crisi economica era aggravata dai turisti che non si recavano in Egitto poiché il governo non era riuscito a riportare ordine e stabilità.

In una mossa che sembrava una reminiscenza dell’autoritarismo in stile Mubarak, il procuratore generale dello stato accusò Bassem Youssef (ampiamente conosciuto come il Jon Stewart egiziano) di aver insultato il presidente e l’Islam. Youssef, che era apparso più volte nel programma di Stewart e recentemente aveva ospitato il comico americano nel suo programma che aveva costituito dopo il “The Daily Show”, è famoso per le sue scenette in cui imita Morsi.

Nel frattempo, le aggressioni sessuali organizzate e di massa contro le donne sono continuate senza controllo e il governo fu accusato in più di una occasione di impegnare i delinquenti per picchiare i manifestanti dell’opposizione.

Il punto di non ritorno

Ma l’incidente che è stato probabilmente il punto di svolta per l’esercito si è verificato il 16 giugno durante la conferenza sulla crisi in Siria, durante la quale Morsi assistette in silenzio ai chierici radicali salafiti che apostrofavano gli sciiti come “infedeli”. Morsi aveva precedentemente richiesto un intervento militare in Siria, ma l’esercito non aveva alcuna intenzione di farsi coinvolgere in Siria.

Nel giro di pochi giorni dalla conferenza, una folla aggredì quattro sciiti egiziani a Giza e li linciò. Questo incidente è solo uno dei tanti che ha evidenziato un aumento delle tensioni faziose sotto il governo di Morsi, che a sua volta ha portato la violenza ad attirare la condanna internazionale.

Nel frattempo, un gruppo di opposizione liberale chiamato Tamarod (che significa “ribelle”) ha iniziato una campagna in cui richiedeva elezioni anticipate. Creando una petizione online in quattro lingue diverse, sostennero di aver raccolto 22 milioni di firme. Invitarono a manifestare in massa contro il governo il 30 giugno, nel giorno dell’anniversario della presa di potere di Morsi. Gli osservatori egiziani iniziarono ad aggiungere su Twitter l’hashtag #tamorod ai loro tweets.

Dal momento che il 30 giugno si avvicinava, ci sono state segnalazioni provenienti dall’Egitto di persone che lasciavano il paese, ritiravano tutti i loro soldi dai loro conti bancari e facevano scorta di cibo. Altri hanno respinto queste comunicazioni definendole una semplice diffusione di pettegolezzi e panico.

L’estromissione del un presidente eletto

Ma sembra che pochi prevedessero l’obiettivo delle manifestazioni di massa che sono iniziate in tutto il paese il 30 giugno. La rivoluzione era stata in una situazione di stallo per mesi, con molti dubbi riguardo la capacità dell’opposizione di raccogliere le energie per contrapporsi a Morsi prima che finisse il suo mandato di quattro anni. Diversi corrispondenti internazionali, tuttavia, dichiararono che le manifestazioni del 30 giugno erano visibilmente più estese di quelle che avevano preceduto le dimissioni di Mubarak. E sono scoppiate in tutto il paese. Sventolando cartellini rossi ad imitare quelli che gli arbitri di calcio mostrano ad un giocatore per indicargli di lasciare il campo, i manifestanti hanno gridato slogan molti familiari, come “erhal” (vattene), “houraya” (libertà) e una variante de “il popolo esige la caduta del regime”.

Ci furono episodi di violenza, con i manifestanti anti-Morsi che attaccavano gli uffici dei Fratelli Musulmani al Cairo e in altre località. Alcune persone sono state uccise. Almeno 46 donne sono state vittime di aggressioni sessuali di massa in piazza Tahrir, ma molte probabilmente non le hanno nemmeno dichiarate. In uno sforzo popolare con l’obiettivo di mettere al sicuro le donne, per l’iniziativa denominata “Operazione anti-molestie sessuali” alcuni volontari si sono schierati con una specifica maglietta, hanno curato una pagina Twitter ad esso dedicata (che ha raccolto almeno 20.000 seguaci) e hanno aggiornato la pagina di Facebook con report e informazioni simili.

Poi è intervenuto l’esercito che ha dato un ultimatum a Morsi: risolvere questa crisi politica entro 48 ore o “interverremo noi e la risolveremo da soli”.

Se ci fosse stato un accordo tra l’esercito e Morsi, questo è sicuramente crollato. Come Ben Hubbard scrisse sul New York Times “i militari sono attenti ai loro interessi prima di tutto. E non è ideologico, ma è intensamente politicizzato”.

Come ho descritto qui, Morsi ed i suoi sostenitori hanno respinto l’ultimatum. Questo è il motivo per cui il generale Abdel Fatah al-Sisi – colui che ha ordinato i “test di verginità” eseguiti sulle manifestanti – è apparso sulla televisione di stato, indossando una divisa coperta di medaglie, per annunciare che l’esercito aveva deposto il governo. Morsi sarebbe stato sostituito dal presidente della Corte Suprema Costituzionale, Adli Mansour, che sarà il presidente ad interim in attesa delle elezioni.

Poi l’esercito si è preoccupato di fare irruzione e bloccare le trasmissioni arabe di Al Jazeera dalla sede del Cairo, a metà trasmissione, perché Al Jazeera è considerata poco imparziale nei confronti dei Fratelli Musulmani. Hanno anche fatto cessare le trasmissioni del canale televisivo dei Fratelli Musulmani “Misr 25” e hanno arrestato almeno 38 dei leader dei Fratelli Musulmani. Come già detto, Morsi è agli arresti domiciliari.

Ci si può fidare dell’esercito?

Queste misure repressive potrebbero essere un segnale di pericolo che rivela, nuovamente, l’intenzione dell’esercito di imporre una dittatura militare in Egitto, ma gli egiziani più liberali sono cautamente ottimisti. Molti hanno ritenuto – e ritengono tuttora – che Morsi era diventato un autocrate eletto di cui ci si doveva liberare. E se ci è voluto l’esercito per ottenere questo risultato, allora così sia.

Ora sperano che le elezioni non portino candidati islamisti al potere. Ma perché ciò avvenga, l’opposizione dovrà organizzarsi – formare partiti, mettere in campo i candidati ed ideare programmi politici. Finora, non sono riusciti a farlo. È per questo che i Fratelli musulmani, che hanno avuto 85 anni di esperienza nell’organizzazione politica, hanno avuto un tale successo nelle elezioni.

Molti analisti ora si preoccupano di avvertire riguardo una crisi in fieri. L’Egitto è fortemente polarizzato. I Fratelli Musulmani, repressi e perseguitati per anni, provano un risentimento legittimo: il loro partito è stato eletto democraticamente ed ora è stato cacciato di ufficio con mezzi non democratici. In un discorso pronunciato il giorno prima di essere deposto, Morsi ha detto che avrebbe dato il suo sangue per l’Egitto. Si spera che stesse sololamente parlando metaforicamente.

Nel frattempo, sorge un’altra domanda: come è possibile che così tanti astuti ed esperti analisti dell’Egitto si siano sbagliati nel valutare la popolarità di massa dei Fratelli Musulmani? Solo una piccola percentuale dei milioni che hanno dimostrato nel corso degli ultimi giorni proveniva dall’élite egiziana. La maggior parte erano parte proprio di quel “popolo” che Morsi affermava di rappresentare – la maggioranza degli egiziani, religiosi e conservatori: la sua base elettorale. Forse sarebbero rimasti fedeli a Morsi se avessero prosperato sotto il suo governo. Ma quando il tuo paese è quasi in ginocchio sotto il peso di una grave crisi finanziaria, non c’è benzina per le auto e non ci sono soldi per comprare il cibo, le alleanze politiche cambiano piuttosto velocemente.

Traduzione per InfoPal a cura di Erica Celada