Il presidente dell’editrice InfoPal: “Il mondo islamico dovrebbe essere unito contro i piani di destabilizzazione del MO”

La nostra agenzia ha rivolto alcune domande a Elvio Arancio, presidente dell’editrice InfoPal, sugli scenari geo-politici attuali e sulle speranze di pace e giustizia per la Palestina.

Di Angela Lano, direttore di InfoPal.it.

Quali sono le sue riflessioni e analisi, come presidente dell’editrice InfoPal e come musulmano, in questa Giornata dedicata a Gerusalemme?

Elvio Arancio. La prima cosa che mi viene in mente è che la Gerusalemme capitale dello Stato dei Palestinesi rimane sempre più un diritto irrealizzabile a causa di Israele, da una parte, e, dall’altra, per il disinteresse dei Paesi arabi, molto attenti a posizionare forze e uomini a fianco di realtà politiche di loro gradimento piuttosto che ad assumere posizioni serie nei confronti di una situazione sempre più tragica.

L’impegno di regimi come Qatar e Arabia Saudita a liberare Paesi come Tunisia, Libia, Egitto, Siria dai “cattivi” non trova corrispondente interesse a porre sul piatto della politica internazionale la Questione palestinese.

Tale impegno, palesamente fasullo, nei confronti della libertà e della democrazia, è confermato dal fatto che nello Yemen e nel Bahrein, l’Arabia Saudita e il Qatar hanno operato per mantenere la popolazione sotto il giogo delle dittature, con il beneplacito dell’Occidente. Dunque, in sintesi, abbiamo rivoluzioni che si apppoggiano e rivoluzioni che si soffocano. Che ipocrisia!

Come vede il futuro prossimo della Palestina e della causa palestinese?

E.A. Sono piuttosto pessimista perché, come ho già detto, non vi è un vero sostegno, da parte dei Paesi arabi, alla causa palestinese. Tanto è vero che l’Egitto, liberato dal dittatore Hosni Mubarak, non è riuscito ad aprire in modo permanente il valico di Rafah, sbocco sul mondo per la Striscia di Gaza sotto assedio.

In secondo luogo, lo scenario politico che si va delineando creerà nuove divisioni all’interno del mondo islamico e della resistenza anti-sionista. Ci sono questioni attuali come la situazione in Siria e il rapporto con l’Iran, ad esempio, su cui all’interno della Fratellanza Musulmana e del movimento di Hamas ci sono posizioni molto diverse. Ci sono componenti all’interno di Hamas che non approvano la linea di politica estera della Fratellanza nei Paesi dove essa è al potere. La stessa presa di distanza dall’Iran, dopo anni di collaborazione, non è condivisa da tutti gli ambienti di Hamas.

Questa divisione su strategie e linee politiche mi induce a pensare che le realtà della resistenza palestinese si potranno frammentare ulteriormente. Quindi una resistenza palestinese divisa al proprio interno non sarà in grado di combattere uno Stato israeliano forte e appoggiato dall’esterno e dai media mainstream occidentali. E in tale clima di divisione e frammentazione la politica coloniale israeliana avrà buon gioco.

Lo scenario Vicino e Medio Orientale è complesso e drammatico, e la situazione in Siria è sempre più strategica per tutta la regione, Palestina compresa. Cosa ne pensa?

E.A. Rispetto alla situazione in Siria credo sia necessario essere molto precisi. Innanzitutto, il regime al potere a Damasco è dittatoriale in quanto occupa totalmente i gangli vitali del Paese. Premesso ciò, va detto che il Comitato nazionale siriano è composto a larga maggioranza dalla Fratellanza ed è voluto e sostenuto da Qatar e Arabia Saudita.

La prima organizzazione per il cambiamento in Siria si chiamava Coordinamento dei comitati per il cambiamento democratico, nata a giugno del 2011: era composto dalla maggioranza delle forze politiche laiche, da quelle islamiche, da personaggi che avevano una storia di lotta politica contro il regime, e da ex prigionieri politici. Riuniva le realtà che volevano una trasformazione radicale e in senso democratico del Paese, e usava metodi non-violenti. Il vicepresidente del coordinamento era Burham Ghalioun, che all’epoca si trovava in esilio. Tuttavia, a giugno dello scorso anno ci fu un incontro con il segretario dell’emiro del Qatar. In quella circostanza, Ghalioun prese le distanze dal suo gruppo e diede inizio al Comitato nazionale siriano, che ha in lui l’esponente laico di facciata.

Che cosa differenzia le due organizzazioni? Mentre una è allargata ed è rappresentativa delle varie componenti, e ha come linea di azione la nonviolenza e il rifiuto dell’interferenza di forze esterne, l’altra lavora per esasperare la violenza e ha invitato forze straniere, tra cui anche al-Qaida, a entrare nel Paese e a prendere parte alla lotta fratricida interna: le sue milizie hanno spinto il regime a rispondere con bombardamenti e massacri. Ora la Siria è in guerra civile.

Deve essere chiaro che l’interesse di queste forze estero-dirette non è veramente la democratizzazione e il raggiungimento delle libertà fondamentali in Siria, ma un piano di destabilizzazione regionale a favore dei piani neo-coloniali e imperialisti di Stati Uniti (e del suo codazzo europeo), di Israele e delle petromonarchie del Golfo. Dietro a tutto questo c’è il fatto che la Siria, nello scacchiere geopolitico, si colloca a fianco della Russia, mentre i Paesi dei petrodollari sono posizionati a fianco degli Usa.

In questo Risiko mediorientale, per i gruppi salafiti e qaedisti infiltrati in questa guerra fratricida, la lotta ha assunto un carattere religioso, contro gli infedeli, cioè chiunque, sunnita, sciita, alawita o cristiano che sia, non abbia la stessa visione ignorante, oscurantista e deviata della fede.

La Siria è uno Stato importante dal punto di vista strategico, e nemico di Israele, amico dell’Iran, ecc. Quindi, pur comprendendo le critiche verso il regime di Damasco, sostenere il disegno strategico dell’Occidente che intende far perdere alla Siria la propria sovranità, facendola diventare un Paese satellite degli interessi occidentali (con basi militari, investimenti economici, politiche estere affini) è la scelta peggiore che si possa fare. Lasciamo che i siriani scelgano da soli come risolvere i propri problemi interni, senza interferenze esterne devastanti.

Inoltre, che Paesi come Qatar e Arabia Saudita sostengano la democrazia fa ridere: se ci sono dittature, arabe e musulmane, che violano i diritti umani, sono proprie queste due. Fanno i democratici a casa degli altri ma a casa loro sono i peggiori tiranni che il mondo arabo-islamico possa avere.

In questo scenario la Palestina diventa il termometro della condizione dei valori di giustizia e dei diritti umani. Questo termometro manifesta una condizione di malattia molto alta: coloro che dovrebbero essere più vicini al malato non fanno nulla per curarlo. Inseguono il potere fine a se stesso.

Ciò che sta accadendo in Siria è paradigmatico del ruolo recitato dai Paesi del Golfo persico, in particolar modo Qatar e Arabia Saudita, per modificare lo scenario geopolitico a favore degli Stati Uniti. E in tutto questo, da musulmano mi chiedo: cosa sta facendo la Fratellanza Musulmana? Chi e che cosa sta sostenendo? Dove si colloca la sua politica interna ed estera? Sono domande fondamentali cui dare una risposta. Io ce l’ho già, e non è positiva.

In quest’ottica, quali sono, secondo lei, le prospettive attuali e prossime di pace e giustizia per la Palestina?

E.A. Lo scenario che abbiamo davanti non autorizza a pensare in modo positivo: non ci sono né le condizioni né la volontà. C’è una concentrazione di forze al servizio di piani esterni di destabilizzazione della regione del Vicino e Medio Oriente, e di gruppi di invasati (estremisti salafiti e qaedisti), utili strumenti di tensione in questo grande caos. I musulmani dovrebbero essere uniti per contrastare quella che potrebbe trasformarsi in una immensa tragedia per tutta l’area.

Un’ultima domanda: quali consigli ci vuole dare come editore della nostra agenzia?

E.A. InfoPal deve continuare, come fa da sei anni a questa parte, il lavoro difficile di informazione, attenendosi il più possibile alla realtà dei fatti. Deve andare avanti in questa missione di informazione onesta al servizio della verità.