Il terrorismo sponsorizzato dagli Usa in Iraq e il “caos costruttivo” in Medioriente

Julie Lévesque – Global Research. Ancora una volta l’Iraq è in prima pagina. E ancora una volta il ritratto che ci viene presentato dai media occidentali è un miscuglio di mezze verità, falsità, disinformazione e propaganda. I principali mezzi d’informazione non vi diranno che gli Stati Uniti stanno sponsorizzando entrambe le fazioni del conflitto iracheno. Apertamente, Washington sostiene il governo sciita iracheno; di nascosto, allena, arma e finanzia l’organizzazione sunnita dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). Sostenere l’influsso delle brigate terroriste in Iraq è un atto di aggressione dall’esterno. Ma i media principali vi diranno che l’amministrazione Obama è “preoccupata” dalle azioni commesse dai terroristi.

La storia preferita raccontata dai media Usa e dalla maggior parte dei media occidentali dice che la situazione attuale è dovuta al “ritiro” degli Stati Uniti che ha avuto termine nel 2011 (ma oltre 200 truppe statunitensi e consiglieri militari sono rimasti in Iraq). Il quadro degli eventi secondo il quale l’insurrezione è causata dal ritiro degli Usa non traccia alcuna connessione tra l’invasione degli Stati Uniti nel 2003 e l’occupazione che ne è seguita. Ignora anche il cuore dei tumulti attuali, gli squadroni della morte allenati dai consiglieri militari statuinitensi in Iraq alla vigilia dell’invasione.

Come sempre, i media mainstream non vogliono che capiate cosa sta succedendo. Il loro scopo è quello di modellare opinioni e impressioni, creando una visione del mondo che serva agli interessi del potere. Per questo vi diranno che si tratta di una guerra civile.

Ciò che sta accadendo è un processo di “caos costruttivo” orchestrato dall’Occidente. La destabilizzazione dell’Iraq e la sua frammentazione sono state programmate molto tempo fa e costituiscono parte della “road map militare israelo-anglo-americana in Medioriente”, come spiegava nel 2006 il seguente articolo:

Questo progetto, che è stato in fase d’incubazione per molti anni, consiste nel creare un arco di instabilità, caos e violenze che dal Libano, dalla Palestina e dalla Siria si estende fino all’Iraq, al Golfo Persico, all’Iran e ai confini dell’Afghanistan presidiato dalla Nato.

Il progetto di un “nuovo Medioriente” è stato pubblicamente presentato da Washington e Tel Aviv con la prospettiva che il Libano diventasse il punto di pressione per riallineare l’intero Medio Oriente, rilasciando in questo modo le forze del “caos costruttivo”. Questo “caos costruttivo” – che genera le condizioni di violenza e guerra per tutta la regione – verrebbe dal canto suo usato in modo tale che gli Stati Uniti, il Regno Unito e Israele possano ridisegnare la mappa del Medioriente secondo le loro necessità e i loro obiettivi strategici. […]

Ridisegnare e dividere il Medioriente, dalle coste orientali del Mediterraneo in Libano e Siria fino all’Anatolia (Asia Minore), all’Arabia, al Golfo Persico e all’altopiano iranico, risponde a vasti obiettivi militari, strategici ed economici, che sono parte di un programma di lunga data degli anglo-americani nella regione […]

Una guerra più vasta in Medioriente potrebbe risolversi in una ridefinizionie dei confini che sia strategicamente vantaggiosa per gli interessi anglo-americani e israeliani […]

I tentativi di creare intenzionalmente l’animosità tra i diversi gruppi etnici, culturali e religiosi del Medioriente sono stati sistematici. In effetti, sono parte di un programma attentamente disegnato di intelligence segreta.

Ancora più sinistramente molti governi mediorientali, come quello dell’Arabia Saudita, stanno assistendo Washington nel fomentare le divisioni tra le popolazioni mediorientali. L’obiettivo finale è quello di risvegliare i movimenti di resistenza contro l’occupazione straniera tramite una strategia del “divide et impera” che serva agli interessi anglo-americani e israeliani in tutta la regione. (Mahdi Darius Nazemroaya, Plans for Redrawing the Middle East: The Project for a “New Middle East”, novembre 2006).

Nonostante non sia nuova, la strategia del “divide et impera” funziona ancora, grazie alle cortine fumogene dei media.

Escogitare una guerra civile è il miglior modo per dividere una nazione in diversi territori. Ha funzionato nei Balcani, dove è ampiamente documentato che le tensioni etniche furono usate e abusate per distruggere la Jugoslavia e dividerla in sette entità separate.

Oggi stiamo chiaramente assistendo alla balcanizzazione dell’Iraq, con l’aiuto dello strumento imperiale preferito, le milizie militari, definite come opposizione a favore della democrazia, oppure come terroristiche, a seconda del contesto e del ruolo da giocare nella psiche collettiva.

I media occidentali e i funzionari governativi li definiscono non per ciò che sono, ma in base a contro chi combattono. In Siria costituiscono un’“opposizione legittima, combattenti per la libertà che combattono per la democrazia contro una dittatura brutale”, mentre in Iraq sono “terroristi che combattono un governo democraticamente eletto e sostenuto dagli Stati Uniti”.

Conosciute e documentate, le entità affiliate ad al-Qaeda sono state usate dalla Nato statunitense in diversi conflitti come “asset di intelligence” fin dai gloriosi giorni della guerra sovietico-afghana. In Siria, i ribelli di al-Nusra e di Isis sono la fanteria dell’alleanza militare occidentale, che sovrintende e controlla il reclutamento e l’allenamento delle forze paramilitari.

La decisione è stata presa da Washington per incanalare (di nascosto) il suo sostegno a favore di un’entità terroristica che opera in Siria e in Iraq, e che ha basi logistiche in entrambi i paesi. Il progetto del califfato sunnita dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante coincide con un programma Usa di lunga data per suddividere Iraq e Siria in tre territori separati: un califfato islamico sunnita, una repubblica araba sciita e una repubblica del Kurdistan.

Mentre il governo di Baghdad (emanazione degli Usa) acquista sistemi bellici avanzati dagli Stati Uniti, compresi i caccia F16 da Lockheed Martin, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante – che combatte le forze governative irachene – viene sostenuto di nascosto dalle intelligence occidentali. L’obiettivo è di escogitare una guerra civile in Iraq, nella quale entrambe le fazioni vengano indirettamente controllate dalla Nato e dagli Usa.

Lo scenario prevede di armare ed equipaggiare entrambe le fazioni, finanziandole con sistemi bellici avanzati e poi “lasciarle combattere” […]

Sotto lo stendardo di una guerra civile, è stata combattuta una guerra clandestina fatta di aggressioni, che ha essenzialmente contribuito a distruggere ulteriormente un’intera nazione, le sue istituzioni e la sua economia. L’operazione segreta è parte di un progetto di intelligence, un processo costruito per trasformare l’Iraq in un territorio aperto.

Nel frattempo, l’opinione pubblica viene indotta a credere che ciò che è in ballo sia il confronto tra sciiti e sunniti. (Michel Chossudovsky, The Engineered Destruction and Political Fragmentation of Iraq. Towards the Creation of a US Sponsored Islamist Caliphate, 14 giugno 2014).

Sapevamo ben prima dell’inizio della guerra al terrore che l’Arabia Saudita era il più grande sostenitore del terrorismo islamico. Ma dato che si tratta di uno strenuo alleato degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita è un’eccezione alla regola proclamata da George W. Bush dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre: “Non faremo distinzioni tra chi ha commesso questi atti e chi li ha ospitati”.

La realtà è che loro fanno sempre una distinzione, soprattutto quando si tratta di Arabia Saudita. Ma mentre il suo sostegno al terrorismo è riconosciuto dai media principali, questi ultimi ignorano il fatto che gli Stati Uniti stanno (indirettamente) sostenendo le entità terroristiche. Inoltre, i giornalisti mainstream non si concentrano mai sulla ragione per la quale gli Stati Uniti non reagiscano al sostegno saudita ai terroristi. I fatti sono chiari: gli Stati Uniti stanno sostenendo il terrorismo tramite alleati come Arabia Saudita e Qatar. Se gli opinionisti dei mezzi d’informazione principali non riescono a collegare i puntini, è solo perché non vogliono farlo.

In Medioriente, l’Arabia Saudita ha servito gli interessi Usa tanto quanto i propri. L’alleanza Usa con l’Arabia Saudita mostra il disprezzo che gli Stati Uniti hanno in realtà per la democrazia. Questa alleanza da sola indica chiaramente che gli obiettivi dell’invazione statunitense dell’Iraq non furono quelli di portare democrazia e libertà agli iracheni. Per l’Arabia Saudita, un Iraq democratico sarebbe un incubo e una minaccia al proprio repressivo governo monarchico:

Fin dal rovesciamento del regime di Saddam nel 2003, il regime saudita è stato empaticamente ostile nei confronti dell’Iraq. Ciò era dovuto in larga parte alla sua paura, profondamente radicata, che il successo di una democrazia in Iraq avrebbe senz’altro ispirato il proprio stesso popolo. Un’altra ragione è l’odio radicato – dall’establishment religioso degli estremisti salafiti wahabiti – nei confronti degli sciiti. Il regime saudita accusa inoltre Maliki di aver dato all’Iran carta bianca per intensificare sensibilmente la sua influenza sull’Iraq. Il regime saudita non ha fatto mistero del fatto che la sua priorità prevalente fosse quella di minare gravemente l’influenza iraniana, che  percepisce come fortemente pericolosa e ancora in crescita.

Anche se il regime saudita si è strenuamente opposto al ritiro dall’Iraq, ciononostante nel dicembre 2011 è stata la Siria, e non l’Iraq, a diventare l’obiettivo principale dell’Arabia Saudita per il cambio di regime. Il regime saudita ha sempre considerato il regime siriano di Bashar al-Assad un alleato strategico insostituibile per il suo nemico principale, l’Iran. I sauditi si sono mossi velocemente per sostenere gli insorti armati dispiegando i propri servizi di intelligence, il cui ruolo strumentale nell’instaurazione di Jabhat al-Nusra è stato sottolineato in una relazione di intelligence rilasciata a Parigi nel gennaio 2013. Il regime saudita ha anche usato la sua enorme influenza non solo sui capi tribali sunniti nell’Iraq occidentale, ma anche sui membri sauditi di al-Qaida, convincendola che il suo campo di battaglia principale doveva essere la Siria e che lo scopo ultimo sarebbe stato quello di deporre il regime alawita di Bashar al-Assad, dato che il suo rovesciamento romperebbe la schiena al governo sciita iracheno e inevitabilmente allenterebbe la presa dell’Iran sull’Iraq. (Zayd Alisa Resurgence of Al Qaeda in Iraq, Fuelled by Saudi Arabia, 3 marzo 2014)

Da Paul Bremer a John Negroponte

Ma il pezzo più importante del puzzle iracheno è il sostegno segreto di Washington ai terroristi. Per meglio capire la violenza settaria che infesta oggi il paese, dobbiamo capire quello che hanno fatto gli Stati Uniti durante l’occupazione. Paul Bremer, autore di “Il mio anno in Iraq. La battaglia per costruire un futuro di speranza” ha giocato un ruolo importante mentre era Governatore civile dell’Iraq nel 2003-4. “Un futuro di speranza per chi?”, ci si potrebbe chiedere guardando ciò che è stato fatto in quell’anno. Di sicuro non per gli iracheni:

Quando Paul Bremer ha sciolto le Forze Irachene di Polizia e di Sicurezza Nazionale, ne ha formata un’altra costituita da mercenari e milizie settarie che sostenevano l’occupazione. In realtà, la natura dei crimini orribili commessi da queste forze è stata la maggiore motivazione dietro le violente uccisioni settarie del 2006-7.

Secondo i protocolli della Convenzione di Ginevra, l’occupazione rappresentata da Bremer non solo ha fallito nel suo dovere di proteggere la popolazione del paese sotto occupazione, ha anche formato ufficialmente milizie e gang armate per aiutarli a controllare il paese.

In Iraq Paul Bremer ha commesso crimini contro l’umanità e un atto di pulizia etnica e genocidio per aver preso di mira migliaia di civili innocenti tramite il Ministero dell’Interno e le Forze di Commando Speciali. (Prof Souad N. Al-Azzawi, US Sponsored Commandos Responsible for Abducting, Torturing and Killing Iraqis. The Role of Paul Bremer, 4 gennaio 2014)

Nel 2004-5, l’ambasciatore Usa John Negroponte ha continuato il lavoro di Bremer. Con la sua esperienza nel soffocare il dissenso in America Centrale con l’aiuto di squadroni della morte assetati di sangue, Negroponte era “l’uomo giusto per il lavoro” in Iraq:

Gli squadroni della morte sponsorizzati dagli Stati Uniti sono stati reclutati in Iraq a partire dal 2004-5, in un’iniziativa lanciata sotto l’egida dell’ambasciatore Usa John Negroponte, inviato a Baghdad dal Dipartimento di Stato americano nel giugno 2004 […].

Negroponte era “l’uomo giusto per quel lavoro”. In quanto ambasciatore Usa in Honduras dal 1981 al 1985, Negroponte ha giocato un ruolo chiave nel sostenere e supervisionare i Contras del Nicaragua con base in Honduras, così come nel sovrintendere le attività degli squadroni della morte honduregni.

Nel gennaio 2005, il Pentagono confermò di star considerando “la formazione di squadre d’assalto di combattenti curdi e sciiti per colpire i capi dell’insurrezione (resistenza) in un cambio strategico preso in prestito dalla lotta americana di 20 anni fa contro la guerriglia di sinistra in America Centrale”.

Dietro la cosiddetta “opzione El Salvador”, le forze americane e irachene verrebbero spedite ad uccidere e rapire i capi dell’insurrezione, anche in Siria, dove si pensa che alcuni di loro si rifugino […].

Gli squadroni d’assalto sarebbero controversi e dovrebbero probabilmente rimanere un segreto.

Mentre l’obiettivo dichiarato dell’”Opzione Iraq-Salvador” era quella di “estirpare l’insurrezione”, in realtà gli Usa hanno sponsorizzato le brigate terroristiche coinvolta nelle uccisioni di routine di civili con l’obiettivo di fomentare la violenza settaria. A sua volta, CIA e M16 stavano sovrintendendo le unità “di al-Qaeda in Iraq” coinvolte negli assasinii mirati diretti contro la popolazione sciita. È di rilevanza che gli squadroni della morte fossero integrati e consigliati dalle Forze Speciali Usa in incognito. (Prof Michel Chossudovsky, Terrorism with a “Human Face”: The History of America’s Death Squads, 4 gennaio 2013)

Ora ci dicono che Isis è riuscita a mettere le mani su sofisticate armi made in Usa. Non commettete errori. Queste armi non sono arrivate lì per errore. Gli Stati Uniti sapevano esattamente quello che stavano facendo quando hanno armato e finanziato l’“opposizione” in Libia e in Siria. Quello che hanno fatto non era stupido. Sapevano quello che stava per succedere e sapevano quello che volevano. Qualcuno tra i media progressisti ha parlato di voltafaccia, quando un asset dell’intelligence va contro i propri finanziatori. Scordatevi il voltafaccia. Se è ciò che sembra, è un “voltafaccia” davvero molto ben pianificato.

Politica estera Usa. Fallita, stupida o diabolica

Qualcuno obietterà che la politica estera americana in Medioriente è un “fallimento”, che i diplomatici sono “stupidi”. Non è un fallimento, e non sono stupidi. Questo è quello che vogliono che pensiate, perché pensano che siete stupidi.

Quello che sta succedendo ora è stato pianificato molto tempo fa. La verità è che la politica estera in Medioriente è diabolica, brutalmente repressiva, criminale e antidemocratica. E l’unico modo per uscire da questo macello è “il ritorno al diritto”.

C’è solo un antidoto alla “guerra civile” che sta dilaniando l’Iraq, ed è il ritorno al diritto e all’invocazione della giustizia. La guerra lanciata dai capi di governo nel 2003 contro il popolo iracheno non è stata un errore: è stata un crimine. E quei capi dovrebbero rendere conto, per il diritto, delle loro decisioni”. (Inder Comar, Iraq: The US Sponsored Sectarian “Civil War” is a “War of Aggression”, The “Supreme International Crime”, 18 giugno 2014)

Traduzione di Elisa Proserpio