“Il trattamento da parte di Israele dei prigionieri palestinesi rivela la sua crudeltà razzista”

MEMO. Di Ayman Abu Nahia. La repressione non è l’unico strumento utilizzato dai carcerieri in Israele: le prigioni stesse non sono adatte allo scopo. Tuttavia, ci sono innumerevoli metodi attraverso i quali gli israeliani abusano dei prigionieri palestinesi, come la tortura psicologica, la privazione di cibo e di cure mediche adeguate. E’ stata proprio quest’ultima mancanza a provocare la morte di molti prigionieri, l’ultimo dei quali è stato Dawood Al-Khatib. Falsi pretesti vengono utilizzati anche per impedire alle famiglie di visitare i prigionieri.

Dopo 60 giorni di sciopero della fame, nel 1976, il servizio carcerario israeliano accolse la richiesta presentata dai prigionieri della resistenza e permise di introdurre le lenticchie nel pasto principale in mensa. All’epoca la mensa non rispondeva ai bisogni primari dei detenuti e questi ricevevano il minimo indispensabile fornito dall’amministrazione penitenziaria. I dolci erano un lusso raro.

La mensa vende ai detenuti cibo, prodotti per la pulizia, cancelleria e attrezzi per l’uso quotidiano. Sebbene questo sia un diritto garantito ai “prigionieri di guerra” dalla Terza Convenzione di Ginevra del 1949, articolo 28, secondo il Servizio penitenziario israeliano è un privilegio il cui accesso dipende dalla buona condotta. Il direttore del carcere può impedire ai detenuti di acquistare beni di prima necessità come punizione, trasformando la mensa in uno strumento repressivo.

Il servizio carcerario israeliano usa anche l’isolamento come punizione. Le celle sono scarsamente ventilate e molto piccole, rendendo quasi impossibile per i detenuti riuscire a dormire. Inoltre, luci intense vengono tenute accese giorno e notte, comportando la privazione del sonno. È un tentativo disperato delle autorità carcerarie di indebolire la fermezza e il patriottismo dei prigionieri.

Tali pratiche equivalgono a crimini di guerra punibili dal diritto internazionale penale. Le organizzazioni per i diritti umani che si occupano degli affari dei prigionieri devono raddoppiare i loro sforzi a livello locale, regionale e internazionale per informare il mondo su tali violazioni contro i prigionieri palestinesi, in prima linea nella lotta. Essi sono riusciti a trasformare le celle della prigione in università, contrastando gli sforzi dell’occupazione israeliana.

Speravo che l’incontro dei segretari generali delle fazioni a Ramallah e Beirut avrebbe reso la questione dei prigionieri una priorità e messo in atto un programma per sostenerli e non lasciarli soli. Devono essere introdotte misure pratiche per sostenere la causa dei prigionieri e appoggiarli, smascherando la crudeltà razzista di Israele.

Traduzione per InfoPal di Chiara Parisi