Il viaggio del Papa in Terrasanta e le speranza dei Cristiani

downloadIqrit-Afp. Su una solitaria collina nel nord di Israele, a due passi dal confine libanese, si erge la chiesa di Iqrit, una delle ultime testimonianze di un villaggio raso al suolo dalle truppe israeliane nel 1951.

Questa piccola chiesa bianca è un simbolo della duratura memoria e della resistenza dimostrata dai cristiani della Palestina storica, che stanno cercando di ottenere l’aiuto di papa Francesco, il quale questo sabato inizia una visita di tre giorni in Terra Santa.

In una lettera al pontefice, gli abitanti di Iqrit e quelli del vicino villaggio di Kufr Birim, tutti quanti cattolici, lo pregano di “intensificare” gli sforzi per indurre Israele a porre fine all’ingiustizia inflitta sulla loro comunità.

“Speriamo che la vostra prossima visita in Palestina e Israele servirà a questo scopo”. Nella lettera descrivono inoltre se stessi come palestinesi internamente dislocati all’interno dello Stato di Israele.

Nel 1948, sei mesi dopo lo stabilimento di Israele, l’esercito richiese ai 450 abitati di Iqrit di lasciare le loro case per due settimane come misura temporanea dovuta a operazioni militari nell’area. Ma non è mai stato concesso loro di tornare.

Nel luglio 1951, la Corte Suprema stabilì che agli abitanti del villaggio dovesse essere permesso di tornare, ma il governo ignorò la sentenza. Cinque mesi dopo, alla vigilia di Natale, l’esercito demolì l’intero villaggio, fatta eccezione per la chiesa e il cimitero.

”Cittadini di serie b”

I cristiani palestinesi della Galilea, che possiedono la cittadinanza israeliana, sono delusi dal fatto che, a differenza dei suoi predecessori, Papa Francesco non visiterà i monumenti cristiani del nord.

“C’è grande delusione in Galilea, dove Gesù e i suoi discepoli predicavano”, ha ammesso un funzionario cattolico.

Gli ex abitanti di Iqrit, che ammontano a 1.200 e sono sparsi nella zona settentrionale di Israele, sperano comunque di poter consegnare direttamente la loro lettera a Francesco quando domenica arriverà a Betlemme.

“Lo Stato di Israele ci tratta come cittadini di serie b perché non siamo ebrei. Questa è la ragione principale per cui il nostro diritto di ritornare è stato negato”, si afferma nella lettera.

”Ma con la forza che prendiamo dalla nostra fede, noi rifiutiamo di diventare una comunità dimenticata”.

Esiliati dal loro villaggio dalle autorità israeliane per più di sei decenni, gli abitanti hanno presentato il loro caso a Papa Giovanni Paolo II nel 2000 e a Papa Benedetto XVI nel 2009. Ma nulla è cambiato.

Nell’agosto 2012 decine di giovani le cui famiglie sono originarie di Iqrit hanno stabilito un accampamento provvisorio fuori dalla chiesa, come hanno fatto ogni estate da allora.
Questa volta, però, invece di accamparsi per una sola settimana, sono rimasti e vivono ancora adesso nelle capanne prefabricate.

”Ci impediscono di ricostruire e piantare gli alberi. Ma rimarremo qui. Dal 1948 ad ogni non abbiamo dimenticato la nostra terra, le nostre case e la nostra chiesa”, ha detto il cinquantaquattrenne ex istruttore di karate George Sbeit, i cui genitori erano stati espulsi dal villaggio.

”I giovani non se ne andranno. La terza generazione è più forte e meglio educata. Prima la gente era spaventata. Adesso i giovani non sono spaventati” ha detto Sbeit.

Suo nipote Walaa ha detto: “Non mi lascerò scacciare da nessuno. Io sono qui e ho il diritto di stare qui. Noi siamo la terza generazione, noi siamo quelli che riporteranno la vita in questa terra”.

Un messaggio di speranza

La lettera solleva inoltre preoccupazioni circa il decrescente numero di cristiani in Terra Santa, accusando le politiche israeliane di aver mandato “migliaia delle nostre sorelle e dei nostri fratelli in esilio”.

Stando a un sondaggio effettuato ad aprile da Bernard Sabella, un esperto di cristiani palestinesi, il 62% di coloro che vivono a Gerusalemme vuole emigrare a causa delle difficoltà economiche e dello stallo politico.

Ma sia che vivano in Israele, nell’annessa Gerusalemme Est o nella Cisgiordania occupata, la comunità cristiana guarda a Papa Francesco in cerca di supporto.

”I cristiani palestinesi stanno aspettando un messaggio di speranza (dal Papa)”, ha dichiarato Padre Jamal Khader, che dirige il seminario del Patriarcato Latino nella città cisgiordana di Beit Jala. “Non ci sono prospettive di pace. Quindi ci serve che il Papa ci incoraggi e ci rafforzi. È un uomo di Dio, un buon difensore di tutti coloro che soffrono, inclusi i cristiani palestinesi. Speriamo che veda di persona cosa sta succedendo qui”.