Il voto musulmano è un dato in crescita nella politica britannica?

Memo. Di Nasim Ahmed. La comunità musulmana della Gran Bretagna è grande abbastanza da avere un impatto significativo alle prossime elezioni generali. I votanti musulmani sono una «risorsa intatta» che può segnare l’esito di almeno 32 circoscrizioni: secondo i più recenti sondaggi, ciò corrisponderebbe a un numero di seggi maggiore di Liberal democratici, Ukip e Verdi messi assieme.
Con tutta probabilità, però, la potenziale influenza non si avrà, perché il voto dei musulmani non è organizzato significativamente a livello nazionale. Esso non è indirizzato da nessun gruppo o istituzione, e le moschee, al contrario di ciò che si potrebbe pensare, non sono interessate a sfruttare la sincerità dei musulmani indirizzandone il voto.
Come mai, allora, questa vaga idea che il «voto musulmano» possa far luce sui campioni di voto e sulle preoccupazioni politiche di oltre tre milioni di cittadini musulmani di Gran Bretagna? E’ una domanda che è stata posta in modo diverso in tutto il Paese, soprattutto da coloro che vogliono affrontare il problema del disinteresse e dell’apatia politica dei musulmani.
Il 53% dei musulmani che non votarono alle elezioni generali del 2010 non può venir spiegato con l’arcaica spiegazione teologica, ancora sostenuta dall’esile gruppo che sostiene che «votare è vietato». Tale posizione estremamente marginale venne screditata più di dieci anni fa, mi ha assicurato la Mend (Muslim Engagement and Development), un’organizzazione per l’impegno dei musulmani.
Le moschee, i leader musulmani e le istituzioni di tutto il Paese stanno attente a non dare credibilità a questo dibattito noioso, e sono molto più interessate a istruire i musulmani sulle proprie responsabilità civili. E’ una questione urgente, tanto da aver spinto Mend, Mpac, Mcb, You Elect e altri gruppi simili a lavorare a stretto contatto con le moschee e i leader di comunità per diffondere l’impegno politico della comunità musulmana.
«Non si tratta semplicemente di spingere i musulmani a votare», dice Azad Ali, capo dell’impegno e sviluppo del Mend. «Si tratta di far sviluppare nei musulmani un’attitudine più olistica e più sana nei confronti della politica, in quanto sono coinvolti in questo Paese».
Questa evoluzione organica della comunità musulmana è più o meno una conseguenza dell’essere definiti sempre più in base alla fede, e dell’essere spinti in un gruppo politico omogeneo. Nel mondo post 11 settembre l’essere musulmano è diventato un fattore significativo per lo status e la posizione dei musulmani nella società, molto di più che per identità culturali come i bengalesi o i pachistani, due comunità che insieme costituiscono la maggior parte dei musulmani in Gran Bretagna.
La storia suggerisce che niente unisce di più le società delle esperienze condivise di discriminazione e persecuzione. E’ una narrativa purtroppo puntualmente divenuta applicabile ai musulmani britannici, per quanto fortemente contestata da sezioni della classe dirigente.
L’antiterrorismo governativo, i programmi contro la radicalizzazione e contro l’estremismo hanno gettato dubbi e sospetti sui musulmani. Di conseguenza, molti cittadini britannici sentono che il loro Paese li sta spingendo in un mondo parallelo, mentre lo Stato li allontana solo perché sono musulmani. Questa visione è amplificata ulteriormente dalla promessa del segretario di Stato Teresa May, di voler dare «maggior potere alle autorità nel chiudere le moschee», e da misure draconiane come il Cts Bill, che avvicina la Gran Bretagna a diventare uno Stato di Polizia.
Non è difficile trovare le prove per cui i musulmani si sentano minacciati in questo senso, soprattutto nella tempesta politica che sta soffiando da destra. Negli ultimi anni nel paesaggio politico della Gran Bretagna si sono visti livelli di cambiamento a cui non si era abituati. Siamo testimoni di un raro passaggio dal tradizionale sistema bipartitico all’emergere di nuovi partiti che attraggono l’elettorato, in particolare lo Scottish National Party e l’Uk Independence Party.
Per i musulmani britannici questi sviluppi sono motivo più di preoccupazione che di speranza, essendo sfidati, i partiti tradizionali, non da movimenti popolari che chiedono una società più equa, giusta e tollerante, bensì da movimenti di destra come l’English Defence League, la Britain First e l’Ukip.
Questa ristrutturazione della politica britannica ha promosso un clima politico più ostile, ed ha spinto i partiti tradizionali a destra, per beneficiare dell’appoggio di coloro che potenzialmente potrebbero passare alle nuove formazioni politiche. Contrastare questa tendenza il compito dei musulmani in Gran Bretagna.
Parlando con i rappresentanti di gruppi per l’impegno musulmani risulta chiaro che l’islamofobia e l’ampia discriminazione contro i musulmani sono le preoccupazioni maggiori. L’istruzione, la salute, le tasse, il futuro del servizio sanitario nazionale, l’accesso a prestiti senza interesse agli studenti e una politica estera etica sono temi che influenzeranno il voto dei musulmani, ma sono l’islamofobia in ascesa e le leggi draconiane «contro il terrore» la sfida più grande, per gli effetti sproporzionatamente negativi sulla comunità musulmana.
I dati dell’indagine nazionale sulla forza lavoro forniscono un’immagine chiara della discriminazione contro i musulmani, e una nuova ricerca conclude che la religione è causa di maggiori pregiudizi della razza: così i musulmani affrontano una «doppia discriminazione», una «discriminazione composta» essendo in grande misura non bianchi ed essendo colpiti dall’ascesa dell’islamofobia.
Gli uomini musulmani hanno il 76% di possibilità di disoccupazione in più della controparte britannica non musulmana. Loro sono la parte più svantaggiata su 14 gruppi etnico-religiosi, in termini di accesso al lavoro.
Il Centro di ricerche sociali de Nuffield College dell’Università di Oxford, che ha condotto la ricerca, ritiene che i soggetti di origine pachistana o bengalese hanno circa tre volte più possibilità di essere poveri rispetto ai vicini bianchi. E’ l’immagine di una comunità che ha perso potere, intrappolata in in circolo vizioso: una comunità che, conseguentemente ai pregiudizi radicati e all’islamofobia, si è allontanata dalla politica. Questo fallimento generazionale ha prodotto un’atmosfera di ostilità ora endemica nella politica britannica.
Le cifre lo confermano. I musulmani sono i meno propensi, tra gli altri gruppi minoritari, a registrarsi per il voto, secondo un’indagine condotta da Ipso Mori per la commissione elettorale. Il 47% di votanti nelle elezioni del 2010 è considerevolmente inferiore alla media nazionale del 65%.
Ma i semplici numeri non raccontano la storia completa, in quanto l’impegno politico dei musulmani è qualcosa di molto più complesso. Negli ultimi anni abbiamo osservato un’immagine conflittuale della comunità musulmana britannica, rappresentata da un lato come politicamente disimpegnata (visione che si basa in gran parte sulle percentuali di voto), e dall’altro come sospetta nel caso in cui un impegno politico ci sia.
Le accuse di entrismo rivoluzionario scoraggiano alcuni musulmani nel prender parte alla vita politica, soprattutto considerata la demografia della comunità. Di tutti i gruppi religiosi presenti in Gran Bretagna i musulmani hanno la più alta percentuale di giovani: il 48% di loro ha un’età di 24 anni o inferiore, che è un’età poco interessata al voto, e maggiormente disinteressata politicamente a livello nazionale. Il parallelo, però, andrebbe preso con le dovute precauzioni.
La giovane età della comunità è solo un aspetto della complessa situazione. L’identità dei giovani musulmani è stata costruita nel contesto di percezioni negative sulla loro fede e sulla loro lealtà, nonostante una recente indagine della Bbc dichiari che il 95% dei musulmani si senta fedele alla Gran Bretagna e il 93% dichiari di voler obbedire alle leggi britanniche.
Al momento degli attacchi dell’11 settembre la maggior parte dei musulmani britannici era composta da teenager, che attraversarono gli anni della formazione in un’atmosfera ostile, tra discorsi di «radicalizzazione», «estremismo» e «integrazione». Essi sono cresciuti in comunità tenute sotto controllo e soggette al sospetto, cosa che aiuta a spiegare perché ci sia una mancanza di impegno e perché una piccola minoranza a volte sia pronta all’attacco.
Questo aspetto della comunità musulmana britannica dev’essere considerato quando si affrontano le cause alla radice dell’islamofobia, che è ampiamente considerata come la causa principale del disimpegno dei musulmani. Come tutti i pregiudizi, anch’essa è nata dalla paura, dall’ignoranza e dal sospetto creato in parte dai media. Un esempio rilevante è dato dalla percezione della misura della comunità musulmana. Secondo un sondaggio effettuato da Ipso Mori, i britannici sovrastimano le dimensioni della comunità musulmana britannica: è opinione comune che i musulmani rappresentino un quinto della popolazione della Gran Bretagna (21%), mentre il dato attuale è il 5% (uno su venti).
Così il «problema musulmano» e la paura del pubblico dell’Islam dipende da una dannosa combinazione di falsa percezione e di notizie negative sproporzionate che appaiono sui media quotidianamente.
Il «voto musulmano» subirà la sua naturale evoluzione. Sempre più parlamentari riconosceranno, proprio come ha confessato l’ex-deputato e vice-leader del partito laburista Roy Hattersley nel 2005, di «aver dato il voto musulmano per scontato, e che il risultato è stato completamente diverso». Uno studio sui cambiamenti demografici in Gran Bretagna dimostra che il disimpegno non sarà un problema per la comunità musulmana.
I governi seguenti hanno volutamente ignorato i musulmani in passato, nonostante la loro crescita numerica. Alcuni ministri come Eric Pickles, continuano a crogiolarsi nell’atmosfera anti-musulmani, accusando tutti loro del terrorismo commesso da una minoranza irragionevole. Ciò non può continuare. Gli aspiranti politici devono accettare che gli elettori musulmani hanno tutti i diritti di essere ascoltati: a loro volta, i musulmani devono capire che ciò li pone in una posizione molto forte per dei cambiamenti positivi. Il voto musulmano è davvero un dato in crescita nell’equilibrio politico della Gran Bretagna.
Traduzione di Stefano Di Felice