Ilan Pappe e Awada Abdelfattah – “Stato Unico Democratico in Palestina/Israele è giusto e possibile” – Palestine Chronicle TV

Ilan Pappe e Awada Abdelfattah – “Stato Unico Democratico in Palestina/Israele è giusto e possibile” – Palestine Chronicle TV

Traduzione a cura di Lorenzo Poli.

Ramzy Baroud: Ciao a tutti e benvenuti ad un altro episodio di Palestine Chronicle TV. Con noi abbiamo due importanti ospiti. Su di loro ne sapremo di più in seguito, anche se sono già conosciuti.

Secondo un sondaggio fatto a Ramallah dal Palestinian Center for Policy and Survey Research, condotto a febbraio 2020, il numero dei palestinesi che supporta la soluzione bi-nazionale è diminuito drammaticamente, raggiungendo tassi che non si vedevano dalle elezioni legislative del 2006. Il supporto alla soluzione bin-azionale oggi si attesta al 43%. Ovviamente questo numero continua a diminuire in alcuni sondaggi più recenti. Ancora, politici in Oriente, ma anche in Medioriente, insistono diversamente.

La verità innegabile è questa: milioni di palestinesi arabi musulmani e cristiani ed ebrei israeliani stanno già vivendo tra il Fiume Giordano e il mare. Loro camminano sulla stessa Terra e bevono la stessa acqua, ma non sono uguali. Mentre gli ebrei israeliani sono privilegiati, i palestinesi sono oppressi, ingabbiati dietro a un muro e sono trattati come inferiori. Per sostenere il privilegio israeliano più a lungo possibile, Israele usa violenza, impiega leggi discriminatorie e, come afferma il professor Ilan Pappe, incrementa il genocidio contro i palestinesi. La soluzione dello Stato Unico mira a sfidare il privilegio israeliano, sostituendo l’attuale regime d’apartheid razzista con un sistema politico democratico, equo e rappresentativo che garantisca i diritti  per tutte le persone senza guardare alla loro etnia, religione o razza, come in qualsiasi altro governo democratico in giro per il mondo.

Perché ciò avvenga, senza scorciatoie, non sono richieste ulteriori illusioni sulla soluzione bi-nazionale.

Romana Rubeo: Come Ramzy ci stava dicendo, oggi noi abbiamo due intellettuali di spicco:

1) il professore Ilan Pappe, direttore dell’European Center of Palestine Studies all’University di Exeter. Ha pubblicato molti libri sul Medioriente e sulla questione palestinese. Tra i suoi libri si ricordano “La pulizia etnica contro la Palestina e i suoi leader”, “Dieci miti su Israele” pubblicato da Verso nel 2017.

2) Award Abdelfattah è un riconosciuto scrittore politico ed ex-segretario generale del Balad Party. E’ coordinatore della One Democratic State Campaign di Haifa, creata nel 2017. Mr Abdelfattah è uno speaker e opinionista televisivo molto conosciuto in Palestina.

Ma iniziamo con lei, professor Pappe. Perché dovremmo abbandonare la soluzione bi-nazionale? Non è mai stata fattibile, o lo potrà essere in futuro?

Pappe: Buonasera e grazie per averci invitato. È un grande piacere! Io penso che la soluzione bi-nazionale non è mai stata applicabile. C’erano momenti in cui sembrava un po’ di più realizzabile per poche settimane dopo la guerra nel giugno 1967, quando nessun colono ebreo si era stanziato in Cisgiordania. Ma anche questo non era concretizzabile perché non si adattava alla base politica del movimento sionista fin dal suo inizio e dal suo arrivo in Palestina a fine XIX secolo. Il sionismo è un movimento coloniale ed Israele è uno Stato coloniale. Il suo supporto include quello che viene anche chiamato “peace camp” in Israele. Il sostegno per la soluzione bi-nazionale è un’idea che afferma che non devi controllare direttamente ogni parte della storia palestinese nell’ordine di stabilire il tuo dominio e la tua egemonia tra il fiume Giordano e il Mediterraneo, così, se tu spremi i palestinesi in una piccolo bantustan e permetti a loro anche di avere una bandiera e una parvenza di governo, ci sono abbastanza israeliani a cui non importa affatto.

Se questo deve essere l’ultimo tipo di soluzione per la questione palestinese, significa che non ci saranno diritti politici reali per i palestinesi e non ci sarà il diritto al ritorno per i rifugiati, mantenendo tutti i palestinesi in diversi parti nella Palestina storica nella migliore delle ipotesi come un gran numero di cittadini era soggetto ad uno stato di apartheid.

Io penso che la soluzione bi-nazionale non sia mai stata una soluzione applicabile perché ciò che è stata veramente maturata è l’interpretazione israeliana della soluzione dei due stati e quella interpretazione è sempre stata accettata incondizionatamente dagli Stati Uniti e, a causa di questo, anche i Paesi Europei non hanno osato sfidare quell’interpretazione e, come noi abbiamo sfortunatamente visto, recentemente anche alcuni regimi arabi hanno iniziato ad accettare l’interpretazione israeliana, che per un po’ di tempo hanno provato a contrastare durante il famoso Piano della Pace della Lega Araba nel 2002, che in seguito non è stato approvato.

Io penso che noi abbiamo avuto solamente un’opzione, dalla creazione dello Stato di Israele, e questa era quella di sostituire lo Stato coloniale con un genuino Stato democratico.

 

Ramzy: Ringrazio il professor Pappe. Ora, guardiamo alla Palestina all’interno di un contesto più ampio di colonialismo specialmente nel sud dell’emisfero. Oggi c’è questa idea, che molti stanno discutendo, che afferma che l’apartheid è semplicemente non sostenibile, il colonialismo non è sostenibile. Ma se noi guardiamo alla storia delle altre nazioni, per esempio la Spagna, l’occupazione delle Filippine che è durata oltre 300 anni, l’occupazione britannica e olandese del Sudafrica e la successiva apartheid e così via, Israele può mantenere un sistema di apartheid per un periodo molto lungo.

L’Apartheid è potenzialmente sostenibile da un punto di vista israeliano. Abdelfattah può raccontarci, da dove lei si trova, se trova l’apartheid sostenibile senza una decisa agenda palestinese per resistere e contrattaccare?

 

Abdelfattah: Ti ringrazio molto per averci ospitato. Io sono un palestinese con cittadinanza israeliana, sono uno dei discendenti dei sopravvissuti alla Nakba, sono una delle persone che è riuscita a rimanere nella sua patria. Io appartengo ad una parte del popolo palestinese che sta combattendo pacificamente all’interno dello Stato di Israele, contro tutte le forme di discriminazione e l’apartheid e nonostante ciò i penso che noi siamo sotto una continua e sistematica colonizzazione e penso che per molti anni le persone, anche quelle che supportano la causa palestinese, non guarda ad Israele come uno Stato coloniale. E noi palestinesi all’interno della green line abbiamo un ruolo importante nell’esporre la natura di questo regime e di mostrare che l’occupazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non è qualcosa di separato dall’esistente regime israeliano, ma l’opposto! Esso è un’estensione di questo regime e noi dobbiamo relazionare o esporre al mondo che noi palestinesi, che hanno la cittadinanza israeliana, non sono trattati equamente e penso che il mondo dovrebbe realizzare o riconoscere che Israele non è mai stato serio sul fare pace con nessuno palestinese o con la guerra araba perché se Israele fosse stato serio o onesto nel volere la pace, allora dovrebbe fare pace con i suoi cittadini non-ebrei. Questo è il tema che gli israeliani usano contro di noi, per descriverci.

Penso che il luogo geografico di questa parte del popolo palestinese è un’importante inclusione e può giocare un ruolo strategico nella lotta palestinese nel promuovere l’idea di uno Stato democratico. Il regime d’apartheid non può essere sostenibile e penso che Israele si stia comportando come i crociati in Palestina e non sarà mai sostenibile.

Io non dico che questo succederà presto, ma non penso che un ingiusto e crudele regime d’apartheid si possa sostenere perché più della metà dei palestinesi è già nella sua terra madre e loro sono determinati a resistere e non arrendersi.

Nonostante tutta la cupa realtà che stanno vivendo adesso, loro sono determinati a non arrendersi. Loro stanno esercitando una certa solidità dello Stato nella loro patria.

 

Ramzy: La ringrazio e tornerei al professor Pappe. Lei sa che all’inizio del programma abbiamo iniziato con un recente sondaggio di febbraio. Quel tipo di sondaggio prima conferma la chiara direzione in cui l’opinione pubblica palestinese sta andando, contro i due stati ed essendo a favore di uno, ma sembra che ci sia una leggera divergenza. Intendo, molti si domandano: i palestinesi sono contro i due stati perché stanno crescendo, credendo in uno Stato Unico, o loro credono semplicemente che non sia realizzabile.

Lei conosce come il programma politico della leadership palestinese abbia chiaramente fallito, gli americani sono esattamente dalla parte di Israele ma sono più prevenuti di prima, quindi la soluzione bi-nazionale, secondo la vecchia visione, non è fattibile ma non ancora la maggioranza dei palestinesi crede che anche la soluzione dello Stato Unico sia possibile. C’è quindi un po’ di dicotomia. Come lo spiega?

 

Pappe: Io penso che una delle migliori spiegazioni è che esiste un problema generazionale. Non ho mai visto la ripartizione del sondaggio, ma so dai miei studenti che lavorano su questo tema, che c’è una grande differenza di opinioni tra le più giovani generazioni e le più vecchie quando si parla della soluzione dello Stato unico. Quando domandi alle vecchie generazioni, loro disperano la soluzione bi-nazionale come un’idea fattibile. Questo è infatti il motivo principale per rigettare la soluzione dei due stati. Noi dovremmo ricordare ai nostri ascoltatori che più del 50% dei palestinesi sono sotto i 18 anni. È una popolazione molto molto giovane. Quando si ascoltano le giovani generazioni, loro credono che lo Stato Unico sia basato su una certa infrastruttura morale-ideologica, che non è solo una soluzione disparata dalla soluzione dei due stati, ma è un credo genuino in cui la Palestina post-liberazione dovrebbe essere un luogo in cui loro vorrebbero vivere. Non è il solo. Voi conoscete il sogno di avere un altro Stato arabo come l’Egitto.  Io credo che loro siano anche parte della generazione delle primavere arabe che non dobbiamo ricordare. Le aspirazioni non sono soltanto verso l’indipendenza nazionale, che io penso sia più appropriata quando proviene da una generazione più vecchia.

Questo è molto di più che avere uno stato unico perché due stati non funzionano. Questo è veramente un’idea genuina per il rispetto dei diritti umani e i diritti civili e, nel caso della Palestina, questi diritti sono molti chiari: dal ritorno dei rifugiati per essere sicuri che la Palestina sia una parte del mondo arabo e del mondo musulmano, per essere sicuri che, insieme, il mondo palestinese possa essere un faro per i diritti umani e i diritti civili.

E io penso che il tema non è limitato geograficamente o moralmente alla Palestina e noi lo abbiamo visto durante le dimostrazioni nel mondo arabo al tempo delle primavere arabe, così come molte dimostrazioni in Marocco o nel Bahrain che stavano portando la bandiera palestinese a causa di ciò che simboleggia per loro nei propri paesi.

Io penso che la disperazione venga di più dall’élite politica che ha finora condotto lo spettacolo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. E sì! Loro hanno ragione nel dire che la soluzione bi-nazionale era stata tradita dagli israeliani e dalla comunità internazionale. Non c’è dubbio su questo, ma io penso che la spinta principale per la soluzione mono-nazionale dovrebbe venire da un movimento popolare con un sacco di giovani al suo interno, per costruire il loro futuro e non il futuro dell’attuale leadership, che io penso si unirebbe o per disperazione o perché vorranno essere leali con le idee in cui loro stessi una volta credevano.

Dovremmo ricordare che negli anni Sessanta e Settanta c’era un buon potenziale per un supporto consensuale sul fronte palestinese per questa idea.

L’unica domanda sarebbe se ci sarà un’organizzazione che democraticamente e autenticamente rappresenterà questo impulso e affinché succeda.

Io penso che sia un punto di vista che rafforzerà ognuno nella regione e nel mondo per vedere molto  diversamente la questione palestinese.

 

Rubeo: Grazie, professor Pappe e ho una domanda per Abdelfattah. Come noi stavamo menzionando prima, Israele è riuscito in una certa misura a frammentare l’identità politica palestinese (sebbene non sia riuscito con la cultura palestinese) attraverso una sofisticata matrice di controllo che è in realtà tipica delle potenze coloniali, cosa che i Romani chiamavano la strategia del “divide et impera”. Adesso i palestinesi sono divisi in diversi spazi politici: o in Israele, o nei Territori Occupati, o in diaspora.

Come possono stare i palestinesi veramente in uno Stato Unico, quando loro sono così politicamente frammentati?

 

Abdelfattah: Questa è la più grande questione che stiamo affrontando, infatti, e la più grande sfida e questo è frustrante per molte persone, indipendentemente anche dalla soluzione che viene proposta.

La divisione, nel movimento nazionale palestinese, è un evento catastrofico e noi abbiamo bisogno di curarlo. Io penso che ci siano molti gruppi e iniziative che stanno provando a creare una soluzione.

Io infatti ho notato che la divisione non avverrà presto o avverrà molto molto presto.

Io ho visto questa tendenza da molti anni e questo perché c’è un urgente bisogno di iniziare ad agire fuori dalle strutture officiali della leadership palestinese. Questo è quello che noi e altri stiamo facendo.

Le forze coloniali hanno sempre provato a dividere le popolazioni indigene e questa è un modo per controllare le popolazioni indigene per indebolirli, frammentarli e anche per creare confusione dentro la leadership e l’élite e purtroppo la leadership palestinese sta agendo con una forza di occupazione dei colonizzatori.

Io non sto dicendo che lo stanno facendo deliberatamente, ma loro lo stanno effettivamente facendo e la ritengo una catastrofe per il movimento nazionale palestinese che ha fallito per liberare la Palestina e vorrebbe fallire per raggiungere il nulla, ma il pericolo maggiore è che loro abbiano perso lo strumento della rivoluzione. Lo strumento rivoluzionario che ha riunito il popolo palestinese dopo la Nakba.

Io intendo l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che ha abbracciato la lotta anti-coloniale per poi rinunciarvi, deviando infatti la soluzione bi-nazionale. Fin dall’inizio non dissero che questa era l’unica soluzione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza e io posso capirlo, perché il movimento nazionale avrebbe abbracciato una soluzione graduale senza compromessi rimanendo federe ai principi della lotta.

Ma questo è quello che è successo, infatti, sotto la pressione della comunità internazionale e dei regimi arabi e la leadership palestinese, attraverso la comunità internazionale, sarebbe stata all’altezza di prometterlo, ma nei fatti da lì le conseguenze dell’adozione di questa soluzione è stata una totale catastrofe. I palestinesi sono frammentati e sono più lontani dal raggiungimento del loro obiettivo.

E così adesso, che noi vogliamo iniziare dall’inizio, abbiamo bisogno di tornare alle origini della lotta.

Questo perché noi pensiamo che la soluzione mono-nazionale è un sentiero per riconquistare il terreno della lotta, ritornando alle radici originali del problema e allo stesso tempo noi abbiamo bisogno di aggiornare questa lotta. Come un mio compagno afferma: “noi dobbiamo introdurre un modello diverso, reale, democratico e egualitario per i palestinesi e gli israeliani all’interno della Palestina storica”.

Questo potrebbe essere un modello per il mondo arabo perché se i palestinesi e gli israeliani possono vivere in una società egualitaria, questo potrebbe essere veramente un modello per il mondo arabo, prendendo in considerazione che le nuove generazioni del mono arabo sono passate attraverso le primavere arabe, nonostante la sconfitta delle frustrazioni, che io penso sia una temporanea sconfitta.

Io penso che la generazioni più giovani, oggi le generazioni arabe sono consapevoli dei diritti umani e della democrazia più di prima e questo perché nelle nostre piattaforme, che noi abbiamo scritto, non abbiamo solo bisogno di riconnetterci con le forze progressiste in giro per il mondo, ma dobbiamo riconnetterci con le forze progressiste nel mondo arabo perché saremo parte di questo mondo in modo da fornire un modello che catturi l’immaginazione delle masse arabe nel mondo.

Ramzy: Elaboriamo solo per un minuto quello che Abdelfattah ha detto. Per i nostri lettori e gli spettatori, che non hanno familiarità con la One Democratic State Campaign, ci puoi spiegare quando è iniziata e quali sono i suoi obiettivi?

 

Adbelfattah: L’idea di dello Stato unico democratico non è una novità e non è un deviazione dall’eredità della lotta palestinese perché, fin dall’inizio, i palestinesi sono il cibo per la giustizia perché quando hanno affrontato il colonialismo sionista, stavano lottando per la giustizia perché non volevano essere sfollati e sostituito da uno stato straniero, da un’entità straniera. Così volevano giustizia, volevano i loro diritti, volevano vivere come esseri umani nella propria terra senza essere invasi, rubati o aggrediti ogni giorni.

Infatti ci basiamo su questo perché quando l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ha adottato una soluzione contorta, c’era un certo consenso che non era facile per quelli che si opposero per continuare a sfidare.

Per esempio io, all’interno della Green Line, appartengo ad un gruppo chiamato Abner, che sta sostenendo lo Stato unico democratico ed è l’unico movimento politico palestinese in Israele per lo Stato unico democratico. C’è anche un piccolo movimento israeliano di sinistra che lo sta sostenendo, ma si è diviso e anche Abner non potrebbe evolvere in un grande movimento dal basso, ma infatti sta sollevando un’importante eredità, perché costruisce la sua base tra gli studenti arabi in Israele.

Quindi noi continuiamo a costruire sulle iniziative precedenti, perché dopa la rottura della Seconda Intifada, molti gruppi sono emersi chiedendo uno Stato Unico Democratico o mantenendo l’idea. Io penso che i gruppi non potevano svilupparsi e io stesso come ingegnere della sicurezza della campagna elettorale del Balad Party ero effettivamente impegnato in una discussione interna per sviluppare la nostra piattaforma politica in una piattaforma statale unica democratica. Poi ci siamo incontrati con colleghi israeliani e Palestinesi e ci siamo incontrati ad Haifa ed abbiamo pensato di dover lanciare un nuovo soggetto a cui pensare in modo diverso. Qual è differenza tra la nostra iniziativa e quella precedente?

Che vogliamo costruire un’organizzazione di base, non solo un gruppo di intellettuali, infatti noi abbiamo costruito e beneficiato dalla letteratura che è stata prodotta da questi gruppi sullo Stato Unico. È stato molto importante la letteratura.

Abbiamo pensato che avremmo iniziato a costruire questo movimento da Haifa nel 2017 e poi abbiamo iniziato a connetterci e a raggiungere altri gruppi e finora alcuni gruppi si sono integrati nella nostra campagna e questa è una nuova cosa per il momento. Diversi gruppi si sono uniti in uno e questo è un grande progresso, i penso, a livello simbolico, morale ed organizzativo.

Siamo ancora all’inizio, ma pensiamo che noi possiamo costruire un grande movimento dal basso. Noi siamo ancora una campagna, ma aspiriamo a lavorare e a raggiungere questo punto in cui noi potremo veramente muoverci e transitare da una campagna ad una grande organizzazione di base.

Noi stiamo costruendo un movimento di giovani attivisti. Noi stiamo ricostruendo dei nostri sub-comitati. Così noi stiamo provando a realizzare la campagna ed iniziare a muoverci.

Il nostro obiettivo, di cui abbiamo bisogno, è uno Stato Unico Democratico per tutti i palestinesi. Noi teniamo questa visione che può essere raggiunta solo attraverso la lotta senza chiedere a Israele di darci una cittadinanza equa, come alcuni dicono. Il nostro è un vero piano di lotta, non è un piano per persuadere gli israeliani o altri.

 

Ramzy: Grazie! Questo mi permette di fare una domanda che infatti uno dei nostri lettori ha sollevato, ed è stata sollevata molte volte, che Israele non accetterà mai questo. È interessante perché voi avete detto “noi stiamo domandando ad Israele, è solo una parte della nostra strategia di liberazione”, ma voi sapete che la risposta generalmente è che Israele non accetterà questo. Infatti mi fu detto un anno fa da un pacifista israeliano “voi palestinesi non potete scalare un monte Kilimangiaro e poi decidere di scalare l’Everest. Così non potrete ottenere una soluzione a due stati! State chiedendo l’impossibile”.

Professore Pappe, se solo potesse commentare questo. Se gli israeliani si rifiuteranno di rinunciare ai più basici diritti umani per i palestinesi più, perché dovrebbero rinunciare ed accettare la soluzione dell’unico stato? Questo naturalmente demolirà il sionismo come movimento politico.

 

Pappe: La breve risposta è che i politici israeliani e la vasta maggioranza degli ebrei israeliani non accetteranno la soluzione bi-nazionale come non accetteranno la soluzione mono-nazionale, ma accetteranno solo una soluzione che assicuri uno Stato Ebraico in tutta la Palestina storica o attraverso un dominio diretto o indiretto.

Quindi ora è un dato di fatto e cosa vuoi fare con una posizione del genere? Combatti contro di essa, provi a convincere il mondo che questa è una posizione ingiusta ed hai bisogno di una visione più ampia verso il futuro, non capendo che non puoi raggiungerla in un giorno.

Questa è molto simile all’immagina dell’apartheid in Sudafrica e sono sicuro di leggere la negoziazione, che è emerse in questi trattati, in modo simile. C’era un momento in cui il governo suprematista bianco in Sudafrica diceva “Perché non vi accontentate di due bantustan e delle petizioni del Sudafrica?” Questo perché voi sapete che la comunità bianca potrebbe accettarlo, ma loro non accetteranno mai un Unico Stato Democratico senza apartheid in Africa. La posizione in questo momento nella storia, io penso, la totale strategia non può essere basata sulla speranza che qualcosa cambierà in Israele. La totale strategia deve essere costruita sull’assunzione che la comunità ebrea israeliana non cambierà la sua posizione a meno che non sia forzata a cambiare la sua posizione. Questo potrà essere perché molte persone sottoscrivono il Movimento BDS per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni. Questa è la base logica di questo movimento che deve usare messaggi nonviolenti per inviare un forte messaggio agli israeliani che le loro forze di polizia sono inaccettabili. Io penso che, mettendo a fuoco la posizione degli ebrei israeliani, qualcosa che veramente ha caratterizzato tutti i cosiddetti “sforzi di pace”, dal 1948 ad oggi, è sempre stata la preoccupazioni di cosa avessero accettato gli israeliani. Questo è quello che ha fatto Fafo, l’Istituto per la Pace che conoscete per aver mediato gli Accordi di Oslo, che ha cercato solo qualcosa che potesse soddisfare gli israeliani, totalmente disinteressati da cosa i palestinesi volevano perché questa è l’idea che quello che dici alla gente lo stai in qualche modo proponendo in una lotta anticolonialista. La cosa più importante è che le persone colonizzate non vogliano cosa i colonizzatori vogliono e io penso che voi non iniziate con gli israeliani, ma voi iniziate con il mondo esterno e con il mondo arabo e dire a loro “ noi, popolo colonizzato, abbiamo qualcosa di ragionevole da offrire, abbiamo qualcosa di migliore da offrire rispetto a cosa esiste adesso, non solo per noi stessi, nel corso del tempo, ma anche per gli ebrei che vivono perché devo raccontarti come il sionismo ebreo israeliano è come un veleno sia per gli ebrei sia per i palestinesi.

È un’ideologia razzista che corrompe il colonizzatore tanto quanto opprime i colonizzati e quindi questo è un messaggio forte che dovrebbe essere inviato e, se saremo ostacolati, ancora e ancora da considerazioni di politica reale dai rapporti di forza non c’è niente che noi possiamo fare, ma come storico io posso raccontarvi che se le persone sarebbero state scoraggiate tutto il tempo da un equilibrio di potere, le rivoluzioni non si sarebbero verificate, i regimi fascisti non avrebbero mai visto la fine, i regimi malvagi sarebbero scomparsi dalla storia. Se l’equilibrio di potere sarebbe stata la sola categoria o la sola considerazione che determinerebbe il tipo di soluzione in cui tu stai credendo. Così io penso che andrei anche se facessi solo un’altra considerazione, andrei anche un passo avanti alle persone che mi dicono “tu sai che alcuni ebrei si sentirebbero molto scomodi in uno stato unico democratico, pericolosi e non benvenuti” e io dico, bene, mi scuso se queste persone si sentirebbero in quel modo e vorrei andarmene come alcune persone bianche in Sudafrica che non erano felici dopo la fine dell’apartheid in Sudafrica e se ne sono andate. Io spero che nessuno vorrebbe andarsene, io non penso che loro dovrebbero andarsene, ma ancora le loro preoccupazioni, le loro apprensioni sebbene mi piacerebbe provare e persuaderli che le loro preoccupazioni sono ancora infondate. Ancora non posso determinare il modo in cui noi comprenderemo cosa è una giusta, morale e duratura soluzione per più dopo un secolo di colonizzazione ed oppressione.

Rubeo: Grazie professor Pappe, questo era veramente brillante. Io ho una domanda per Mr Abdelfattah. In un recente articolo scritto insieme all’attivista israeliano Jeff Harper, lei ha dichiarato che l’analisi coloniale è ben sviluppata nei circoli accademici e offre nuovi orizzonti per un giusta pace in Palestina e in Israele, ma non ha ancora penetrato il discorso politico e popolare i quali sono ancora mirati in infruttuosi tentativi volti a negoziare o, più precisamente, a gestire il conflitto. La domanda che voglio porre è: perché è questo il caso e, specialmente, come noi liberiamo la conversazione sullo Stato Unico da questi circoli elitari accademici per metterla a disposizione di un ampio pubblico più egemonico, se vogliamo?

 

Abdelfattah: io credo che questi sia molto importante perché cosa è successo, negli ultimi 30 anni o più, è che la coscienza palestinese è stata danneggiata, come risultato dalla Scuola di Oslo, e questo è il tema perché, cambiando i rapporti di forza in favore di un Unico Stato Democratico, dovrebbe iniziare con la consapevolezza con la conoscenza e poi c’è una nuova generazione palestinese, non intendo più consapevoli e più acculturate sezioni di questa generazione; io penso che la generazione palestinese in generale e anche gli attivisti insiemi ai partiti politici tradizionali hanno dimenticato cosa significa la lotta anti-coloniale. Per quanto riguarda i circoli accademici, io penso che loro hanno fatto un grande lavoro per gli intellettuali perché finora, quando alcuni attivisti palestinesi cancellerebbero un tale slogan o un visione, loro verrebbero etichettati come infantili o non realisti, ma quando loro per esempio vedono quegli accademici rispettati, fanno tali ricerche ed abbracciano una prospettiva coloniale come un mezzo analitico dello Stato di Israele, loro prenderebbero quello più seriamente.

Questo è perché infatti noi facciamo affidamento alle ricerche accademiche per mostrare a queste persone non solo gli attivisti entusiasti che abbracciano questo, ma anche palestinesi, israeliani e accademici internazionali che hanno ricercato l’eredità dei progetti coloniali nella storia e provano a disegnare un’analogia con il progetto coloniale sionista.

La cosa di cui abbiamo bisogno adesso, e che è parte della nostra battaglia come lo Stato Unico Democratico, è veramente di prendere queste analisi dai circoli accademici per diffonderli tra i media-attivisti ed ogni giorno noi sentiamo che l’importanza di questi perché molte persone hanno dimenticato cosa significa. Loro hanno dimenticato per esempio anche gli intellettuali palestinesi, che amano i confronti tra Sudafrica, Palestina e Israele.

Quando Oslo si è imposto e loro hanno cambiato l’intero lessico politico e la retorica del discorso. Adesso abbiamo bisogno di cambiarla. Ovviamente la narrazione è importante, io non credo che la guerra israeliana contro il BDS sia principalmente sulla narrazione e non sull’isolamento economico perché Israele è ancora economicamente forte e non penso che il BDS lo stia realmente facendo. Intendo dire che sta causando molto danno economico (non si capisce video interrotto) dalla nostra piattaforma di partito.

Il Balad Party, il partito che rappresento, vuole abolire la caratteristica ebrea dello Stato di Israele come condizione per raggiungere l’eguaglianza, il ritiro dai territori occupati e il ritorno dei rifugiati. Noi pensiamo che questa sia un’arma nelle nostre mani, questa letteratura accademica, e penso che i palestinesi prima ancora senza la media palestinese, fossero consapevoli di ciò che era prima di Oslo, che Israele è un centro coloniale senza avere l’abilità di analizzare. Intendo dire che vivere il colonialismo ogni giorno, perché loro sono colonizzati ogni giorno, loro vengono derubati, vengono attaccati, vengono imprigionati, vengono assediati, vengono arrestati. Intendo dire che loro sono sotto dominio coloniale ogni giorno. Questo è cosa noi stimo pianificando di fare adesso per tradurre questa letteratura all’interno del movimento politico.

Abbiamo bisogno di diventare dei protagonisti politici attivi ed abbiamo bisogno di portare il discorso sullo Stato Unico Democratico nel discorso palestinese generale. Io penso che l’idea stia guadagnando terreno molto più di prima. Io penso che la maggior parte dei palestinesi abbraccerà questa idea prima o poi e noi ci stiamo muovendo verso questo.

Questo richiederà un lavoro intenso, un lavoro saggio, più attivismo e organizzato meglio. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno adesso.

 

Ramzy:  Per coinvolgere il pubblico nella conversazione ed allargando lo scopo di questa discussione, c’è un articolo recente su Al Jazeera Arabic che mi ha sorpreso: “Hamas dovrebbe abbracciare la soluzione dello Stato Unico”. Io ho pensato che questo sia veramente interessante, intendo il fatto che noi stiamo attualmente ed intellettualmente disponendo per impegnarci in questa questione. Questo è il progresso, ma c’è anche questa idea, specialmente tra certi gruppi politici in Palestina, tra il cosiddetto “campo secolare” Al-Fatah e altri che voi conoscete.

Questa  idea di uno Stato Unico è sempre stata usata come una sorta di minaccia. “Se Netanyahu non ritorna al tavolo delle trattative, se Netanyahu non smette di colonizzare la Palestina, noi chiederemo la soluzione dello Stato Unico”, come se fosse una sorta di minaccia, al contrario in realtà un costruttivo visione per una pace giusta in Palestina, ma dall’altra parte dentro il campo islamico c’è l’idea che sia una forma di normalizzazione, una sconfitta.

Professor Pappe, come risponde a chi sostiene che la soluzione dello Stato Unico Democratico sia un tipo di sconfitta e, conosce il sionismo, fondamentalmente un’arresa?

 

Pappe: Io non penso questo ma, al contrario, penso che sia complementare. È, prima di tutto, una questione di capire il linguaggio e la terminologia: se ti stai concentrando tutto il tempo su uno Stato o piuttosto su un regime, per esempio, allora ovviamente potresti dire che, se ti arrendevi all’idea della soluzione bi-nazionale, tu alzi la bandiera bianca della sconfitta, però se tu guardi storicamente alla lotta anti-colonialista palestinese fin dall’inizio, se era guidata da leader religiosi o laici non importa.

L’unica idea era di decolonizzare la Palestina, non parte dei palestinesi, ma tutta la Palestina e tutti i palestinesi. Così una decolonizzazione di successo, anche nel 21esimo secolo, deve essere una vittoria piuttosto che un fallimento. Infatti accettare un bantustan nella Striscia di Gaza, anche se quel bantustan sarebbe stato governato da Hamas, anche se quel bantustan sarebbe stato governato dall’ANP, è per me il peggior tipo di sconfitta per molti motivi, piuttosto che continuare la lotta per la decolonizzazione.

Io penso che torna ad alcune delle questioni che abbiamo sollevato prima. Forse non è del tutto giusto chiamarla sconfitta, ma io penso che per alcune persone sembri così irrealistico che molti intellettuali palestinesi ai giorni nostri, e questo è uscito durante il Palestine Forum Meeting a Beirut qualche mese, stiano dicendo “Lottiamo per i diritti umani, per i diritti civili tanto quanto possiamo” nella Palestina storica, “non parliamo della fine dell’obiettivo politico perché non funzionerà”.

Ho un tema da approfondire. Io non sono un palestinese e sto esprimendo il mio punto di vista e certamente spetta ai palestinesi decidere e li seguirò, ma non sono d’accordo che sia il tempo di abbandonare la visione politica, io non penso che senza una chiara visione politica troveremo noi stessi, dove i giovani nelle primavere arabe hanno trovato loro stessi.

Con tutta l’energia, con tutto l’impulso, con tutte le buone intenzioni, senza un chiaro obiettivo finale si disintegra e qualcuno con una visione più chiara, migliore e peggiore della vostra, sta riempiendo il vuoto come sempre è accaduto nella storia.

Penso che anche la più piccola lotta per i diritti umani e i diritti civili nella Palestina storica o fuori dalla Palestina dovrebbe essere parte di una visione più chiara sul futuro. Questo tra l’altro si collega anche alla questione di come molti israeliani ebrei saranno d’accordo con questo.

Penso che sarebbe molto più facile galvanizzare almeno un piccolo nucleo di ebrei indesiderati in Israele con una chiara visione palestinese nel futuro che racconti agli ebrei israeliani come loro li vedono in un futuro di un Palestina post-conflitto e post-apartheid; se non vuoi dare una visione ai tuoi sostenitori e ai tuoi rivali. Tu non ti stai andando avanti e tu stai in realtà aiutando a perpetuare lo status quo con la tua cooperazione e, io penso, questo solo funziona a vantaggio degli israeliani che sono veramente innamorati dello status quo. L’ultima cosa, che gli ebrei israeliani e i loro leader vogliono, è il cambiamento nella loro realtà come è, loro sono realmente felici. È il popolo più estremo che pensa che tu dovresti cambiare con l’annessione Euro dell’area C o, io non so, con più espulsioni.

La grande maggioranza dei generali e degli strateghi israeliani vi vorrebbe dire “se noi possiamo prendere in mano la situazione come è”.  Una comunità palestinese totalmente oppressa all’interno di Israele, un popolo palestinese frammentato, un leadership palestinese molto indebolita in Cisgiordania, una Striscia di Gaza sotto assedio. Non è l’ideale, ma non è affatto male.

Noi possiamo continuare ad esistere come questo per loro. È uno stile di vita, non è niente che li deprime o gli fa sentire che la vita è insopportabile.

Io penso che una chiara visione per il futuro sia molto molto importante e piuttosto che guardare come una sconfitta, io penso che sia l’inizio di una nuova strada sulla base di vecchie idee del passato.

 

Ramzy: Va bene, grazie professor Pappe! Solo per aggiunger a questo, poche settimane fa abbiamo ospitato il Professor Richard Falk qui, su Palestine Chronicle TV e una cosa interessante che lui ha detto è che nonostante l’enorme empatia e support che i palestinesi hanno ed hanno avuto alle Nazioni Unite quando c’erano semplicemente questa confusione, questa mancanza constante di una visione palestinese unificata. Non un processo di pace e quel genere di discorso, ma una visione effettiva di liberazione in cui sostenitori della Palestina potrebbero effettivamente radunarsi e abbastanza stranamente noi in realtà abbiamo avuto una visione fino all’avvento di Oslo e poi ne abbiamo avuta una che è stata qualificata per esprimere il linguaggio che solo si adatta alle aspettative israeliane e americane e che ovviamente dobbiamo cambiare. So che abbiamo superato il tempo e spero davvero che voi potresti semplicemente essere pazienti con noi appena per un paio di minuti perché c’è un’importante questione e ci viene posta questa domanda abbastanza spesso.

Il movimento di solidarietà in giro per il mondo conosce che ci sono stati un sacco di problemi con la divisione e lo scontro tra Hamas e Al Fatah e molti di questi attivisti hanno trovato loro stessi o dovendo scegliere o dovendo recitare come se i palestinesi non fossero stati politicamente frammentati e adesso il problema dello stato unico dovrebbe essere basato su una visione politica come l’unico stato.

Quelli che non lo capiscono completamente o anche lo supportano, possono ancora supportare la Palestina in un modo significativo  e mostrare solidarietà in un modo significativo dentro i loro propri spazi politici.

Se voi poteste, Professor Pappe e Mr Abdelfattah, commentare molto brevemente, se non vi dispiace.

 

Abdelfattah: Non dubito che la campagna di solidarietà è stata una delle vittime di Oslo e fortunatamente che il BDS ha succeduto nella riconquista della campagna internazionale di solidarietà dopo lo scoppio della Seconda Intifada. Sto dicendo che è solo un gruppo che ha raggiunto o ha giocato un importante ruolo in questo, ma io penso che oggi dal momento che lo stato di amici per le politiche della leadership palestinese in generale, sono lasciati con un’informale amicizia nel mondo più dei nostri amici infatti.

Noi lo abbiamo perso a causa di Oslo perché loro pensavano che possibilmente si sarebbe risolto il problema palestinese e non c’era bisogno di lottare così, ma questo è molto importante perché la società civile in giro per il mondo è la più grande amicizia per i palestinesi e dobbiamo sviluppare le nostre relazioni con combattenti per la libertà in giro per il mondo e, quando avremo sviluppato una visione comune, la quale i palestinesi dovrebbero veramente introdurre una chiara visione.

Certamente prima di tutto noi abbiamo bisogno della visione per i palestinesi e le giovani generazioni in particolare perché, infatti, non ho nessuna speranza che le due maggiori potenze politiche in Palestine, Hamas e Al Fatah, saranno capaci di portare questa visione.

Io spero di sbagliare, questo è perché abbiamo bisogno di muoverci al di fuori di queste forze politiche

Noi dovremmo creare una visione perché questa è solo la via che noi possiamo portare e possiamo mobilitare la giovane generazione e possiamo catturare l’immaginazione dei combattenti per la libertà in giro per il mondo e apprezzare i loro governi.

Questa è una delle nostre priorità che è continuare a promuovere una visione chiara e indicativa e io credo che il movimento di solidarietà con la Palestina dovrebbe veramente basare il suo attivismo su questa visione perché, io penso questo è una questione di tempo. Io intendo che se noi continuiamo ad abbracciare in ritardo questa visione.

Stiamo sprecando tempo, possiamo portare più persone perché è uno strumento di unione in visione scritta. Può unificare molte persone e non ho nessun dubbio che il maggior agente di cambiamento è il popolo palestinese e questa è il nostro principale obiettivo.

Infatti non è solo la campagna per uno Stato Unico Democratico perché ci sono punti di iniziative e tra i palestinesi che stanno operando in ordine per portare  una visione unificata. Non è in dubbio che, certamente, come tu sai, c’è una discussione dentro quelli che sono critici dell’Autorità Palestinese, ci sono  quelli che dicono che non abbiamo bisogno adesso di specificare una soluzione e quelli che pensano che abbiamo bisogno di più di una soluzione e io sono dell’idea che possiamo unire le due perché gli altri pensano che è abbastanza ritornare o ristabilire il progetto nazionale palestinese senza specificare una sorta di soluzione e quelli che pensano che noi abbiamo bisogno di una visione politica.

Io credo che la visione politica e la visione nazionale dovrebbero andare insieme e questo è il solo punto perché continua a operare e a resistere all’occupazione e a mobilitare la comunità internazionale senza un obiettivo finale senza una visione chiara.

Dove andremo a finire? Io penso che questo non aiuterebbe a causa della complessità della causa palestinese e perché Israele è connesso con l’Occidente. Coì se tu hai bisogno di dare supporto ad alcuni stati o governi, tu hai bisogno di dire alla gente che alla fine tutti noi vogliamo vivere con gli israeliani. Noi non lo siamo perché la sola cosa che noi abbiamo per lottare a smantellare il regime coloniale è la Palestina. Stop!

Perché non inviamo un messaggio a tutti quegli israeliani che vogliono stare con noi e anche ai loro amici in per il mondo? Dobbiamo dare una visione che possa davvero dare loro un credo in questa idea e dovremmo davvero presentare un nobile ideale e non come tattica spaventosa che, se non accetti la soluzione bi-nazionale, ti getteremo in faccia la proposta di uno Stato Unico.

Quindi lo Stato Unico dovrebbe essere presentato come nobile, morale ed etica idea che possa veramente portare una pace sostenibile e duratura

Ramzy: Grazie mille Abdelfattah! Professor Pappe?

Pappe: Sì, io penso che, sebbene sia molto chiaro, io penso che uscire dalle vostre questioni e commenti e da cosa si può leggere nei commenti sugli screen, che una posizione palestinese unita rappresentata democraticamente e autenticamente, rappresentando tutto il popolo palestinese, è una delle precondizioni per mobilitarsi in ogni caso, ma quando capiamo la frammentazione storica, la continua oppressione, l’intervento di forze esterne, rendono la situazione molto difficile e la lotta interna dovrebbe continuare, certamente, da parte dei palestinesi e loro sono i soli che possono farlo; ma penso che ci siano tre punti che dovrebbero essere discussi da fuori e da dentro il processo di unificazione e democratizzazione e una visione per il futuro che può essere fatto e dovrebbe essere fatto non solo per l’interesse di un posizione unita palestinese, ma io penso per l’interesse per una liberazione e decolonizzazione di successo.

E questi tre punti, con i quali io vorrei concludere:

Il primo è che può essere che sia un punto ovvio, ma doveva essere dichiarato chiaramente, è il tempo di dimenticare gli americani come giocatori dominanti in questa situazione.

Gli americani hanno dominato ogni cosiddetto sforzo di pace per quanto riguarda la Palestina dal 1967 fino ad oggi. I loro record non mostra nulla ma distruzione ed esito negativo quando loro hanno servito come Mediatori rinnegati e dobbiamo trovare un modo per tirarli fuori dall’intera questione della Palestina.

Sembra una cosa facile da fare ma basta controllare qual è la capitale più visitata dai leader palestinesi negli ultimi 25 anni e vedrete ancora che Washington è al primo posto, per non parlare dei leader del mondo arabo. Qui abbiamo un problema che è più facile dire che fare, ma per me è cruciale.

Voi sapete che questo è il contrario di cosa molte persone dicono, conoscete le relazioni con l’America, dovete fare pressione sull’America e poi l’America farebbe pressione su Israele. Io stesso una volta credevo in questo, ma non penso che sia la via giusta. Non sto dicendo che dovremmo rinunciare a qualsiasi lotta
nel cambiare l’opinione pubblica americana e noi abbiamo buone chance con le generazioni più giovani e noi dovremmo continuare, ma penso che non dovrebbe essere una Pax Americana, che non dovrebbe essere una pace che, in ogni modo, dà all’America un ruolo prominente perché niente di buono può venirne fuori. Il secondo punto è che qualcuno deve sostituire gli Stati Uniti e io penso che i paesi musulmani del Sud Est, dell’Asia, del Sud Africa, dell’America Latina dovrebbero avere un ruolo molto più attivo.

So che voi siete consapevoli di questo, Ramzy, ma c’è un enorme pressione adesso in Israele sul Pakistan e sull’Indonesia per normalizzare le relazioni con Israele. Scrissi una lettera personale al Primo Ministro del Pakistan che so che il suo cuore è al posto giusto ma io sono molto preoccupato perché so cosa succede quando queste pressioni diventano ossessive e penso che sia molto importante, non è un caso perso.

Questi paesi possono giocare un ruolo molto importante, entrambi con la loro identità islamica e con la loro storia di coesistenza tra culture e così via.

Loro portano qualcosa molto più importante che è rilevante per la Palestina rispetto ad una via americana della vita che non è molto rilevante per cosa noi stiamo facendo.

E l’ultimo punto che vorrei fare è che noi dovremmo guardare ad un network di identificazione e non appena un network di identità. Noi palestinesi non siamo solo vittime del colonialismo e un popolo colonizzato, non siamo solo vittime di un sistema politico ed economico occidentale.

Anche il neoliberismo ha le sue vittime e un reale movimento di solidarietà di popoli che sono vittime del neoliberismo, del colonialismo e dell’imperialismo occidentale è già qualcosa che deve essere costruita dal basso. È un attrezzo molto potente che rappresenta la giustizia sociale e non solo la giustizia per i palestinese e più la vostra questione rappresenta un problema globale, più potete galvanizzare la comunità internazionale, perché noi dobbiamo ricordare che Israele è conosciuto su due pilastri: un pilastro morale e un pilastro materiale.

Non si può erodere il suo pilastro materiale. Esso è una nazione high-tech, ha il più grande esercito del Medioriente, pure gli interessi neo-liberali e multinazionali vogliono sostenerlo. Non sarete in grado di fare questo adesso. L’immagine morale sta erodendo tutto il tempo e esso è un potente problema che voi potete galvanizzare, una società civile che eventualmente e in modo speranzoso influenzi le politiche dall’alto.

Così io penso che c’è già un sacco da fare e non può essere paralizzato dal fatto della vita che i palestinesi, in questo momento non sono uniti, non sono ben rappresentati e non hanno una chiara visione del futuro.

Noi non possiamo negarlo, è vero, ma penso che questi altri problemi possano essere spinti oltre e penso anche che loro possono avere un effetto positivo sugli sforzi dall’interno della Palestina e sono totalmente d’accordo con la nostra. Questo può essere guidato dai palestinesi. Per molti anni i palestinesi hanno rigettato i piani di pace israeliani. È giunto il momento che avremo l’affare palestinese del secolo che noi tutti rigetteremo. Questo potrebbe essere un importante momento educativo per ogni ebreo ed arabo nello stesso modo nella Palestina Storica.

Ramzy: Noi vi abbiamo domandato per 45 minuti del vostro prezioso tempo e abbiamo spinto la nostra vita con voi. È stato assolutamente informativo, brillante ed educativo. Io sono sicuro che per molte persone, ma per me, anche ascoltando i nostri due illustri relatori, Professor Ilan Pappe e il Signor Abdelfattah.

Loro sono dei veri intellettuali del più alto calibro. Con questo, io concluderò questo incontro e vi ringrazio tanto per aver dedicato del tempo a parlare con noi per tutti quelli che arrivano per tutte le brillanti domande e commenti. Vi invitiamo a condividere questa intervista sul vostro profilo Facebook e su altre piattaforme di social media.

Voi sapete che questo è una dottrina molto importante che aiuta ad esplicitare cosa è la Palestina e cosa sia la Campagna per lo Stato Unico Democratico e quali sono le idee e i principi che stanno dietro di esso.

Ancora una volta grazie mille per esserti sintonizzati e alla prossima!

Traduzione libera di Lorenzo Poli per InfoPal.it