Illegali gli insediamenti israeliani nei Territori

Illegali gli insediamenti israeliani nei Territori

Tra i casi più eclatanti c’è quello di Ma’ale Adumim: l’86,4 per cento di questo insediamento israeliano di trentamila abitanti situato a sette chilometri di distanza da Gerusalemme Est è stato costruito su proprietà palestinesi. Stessa modalità per i tre quarti di Kfar Ha’oranim, per quasi la metà di Kedumim e Giv’at Ze’ev, per un terzo di Ariel. In totale, circa il 40 per cento dei terreni sui quali sorgono gli insediamenti israeliani nella Cisgiordania erano proprietà privata palestinese prima della guerra del 1967. Un fatto che costituisce una violazione non solo delle norme internazionali ma anche della legislazione israeliana. La denuncia arriva da un rapporto stilato alcune settimane fa da Peace Now, uno dei movimenti pacifisti storici di Israele, che invoca la nascita di uno Stato palestinese sui Territori occupati. Il dato di partenza del documento è la mancata annessione dei Territori da parte di Israele, che ha sempre preferito considerare la Cisgiordania “bottino di guerra”, imponendo al contempo anche qui le proprie leggi civili e militari. “Israele ha ignorato la Convenzione di Ginevra, che definisce i limiti ai cambiamenti che l’occupante può compiere sui territori occupati”, si legge nel rapporto, secondo il quale la costruzione degli insediamenti, resa possibile da confische ai palestinesi, viola quelle leggi israeliane che garantiscono il diritto alla proprietà privata della popolazione della Cisgiordania. Nel 1968 Israele stabilì che venisse interrotto il processo di registrazione delle terre private che era stato avviato quattro decenni prima. La decisione venne giustificata con la necessità di proteggere da eventuali usurpatori la proprietà delle terre palestinesi abbandonate. In realtà la principale conseguenza del provvedimento fu che migliaia di chilometri quadrati restarono senza un proprietario e vennero in seguito dichiarati da Israele “proprietà dello Stato”. Altro strumento largamente usato da Israele fu quello della “confisca a scopi militari”. Contrariamente a quanto accade con l’espropriazione, questo strumento lascia formalmente intatta la proprietà, ma trasferisce il controllo del territorio all’autorità militare. La maggior parte degli insediamenti israeliani costruiti nel primo decennio di occupazione della Cisgiordania sfruttarono questo strumento. Nel 1979 l’Alta Corte israeliana ne riconobbe però l’illegalità, in riferimento al caso dell’insediamento di Elon More, creato sul territorio del villaggio palestinese di Rujib. Nonostante questo importante precedente legale, negli ultimi anni Israele ha però continuato a utilizzare la vecchia pratica degli “scopi militari” come pretesto per la costruzione di insediamenti nei Territori occupati. Secondo i dati raccolti da Peace Now, sono ben 130 gli insediamenti israeliani nella Cisgiordania sorti, interamente o parzialmente, su vecchie proprietà palestinesi. Oggi assommano a oltre 3.400 edifici (secondo alcune stime abitati da oltre 430 mila coloni). Peace Now ha assemblato i dati contenuti nel rapporto grazie a una fonte interna all’amministrazione israeliana. Amministrazione che, stando all’organizzazione, “ha nascosto queste informazioni per molti anni, nel timore che la loro divulgazione potesse danneggiare l’immagine internazionale di Israele”. Peace Now chiede ora al governo israeliano di restituire la terra ai legittimi proprietari e sostiene che sia falso quanto Israele ripete da tempo, e cioè che gli insediamenti sono stati costruiti su “terra di proprietà dello Stato”. Secondo gli analisti, se i dati di Peace Now verranno confermati, la questione avrà grande incidenza in un eventuale accordo di pace tra Israele e l’Autorità palestinese, che proprio nella Cisgiordania vede la base sulla quale costituire un proprio futuro Stato indipendente.
(Fonte: www.terrasanta.net
<http://www.terrasanta.net> del 12 dicembre 2006)

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