Intervista a Michele Giorgio.

Riceviamo e pubblichiamo.

"Dopo l’attentato di Dimona, Israele per rappresaglia bombarda,
bloccata una prima invasione dalla resistenza palestinese. Intervista
a Michele Giorgio.

|12 febbraio| Nell’ultima settimana il tema mediorientale è stato
quotidianamente rievocato sulle pagine dei giornali, tra la dimensione
scomposta data dal boicottaggio della Fiera del Libro di Torino e
l’isteria del post attentato in Israele, in una perpetua rimozione
dellla questione palestinese che vede ogni giorno crescere la conta
dei suoi morti, causati dai rastrellamenti dai raid e dai
bombardamenti dello Stato sionista.
Diversi sono i fattori da contestualizzare: due interni alla
Palestina, data la nuova linfa delle resistenza palestinese ed il
barcollamento del carrozzone Anp, due conseguenziali alla politica di
Israele, cioè il rombo di guerra contro i Territori Occupati ed i
preparativi in direzione del paventato conflitto israelo-iraniano.

La resistenza palestinese colpisce Israele
L’ultimo attentato suicida compiuto dalla resistenza risaliva ad oltre
un anno fa, quando un attacco in una panetteria di Eilat provocò tre
morti. Hamas non compiva azioni di questo tipo da tre anni e mezzo:
l’ultimo attentato era dell’agosto 2004, a Beersheba, dove i morti
furono sedici. Il 4 febbraio, a Dimona, un commando suicida ha
compiuto un attentato in un centro commerciale, uccidendo una donna e
ferendo undici persone. Le brigate al-Qassam, ala militare di Hamas,
hanno rivendicato l’azione in un comunicato stampa, rendendo pubbliche
le generalità degli esecutori (Mohammad Salim al-Hirbawi e Shadi
Mohammad Zugayyer) e la loro provenienza: Hebron, Cisgiordania. Ciò è
particolarmente di rilievo, perché da una parte mostra la non
pacificazione della Cisgiordania come vorrebbe la propaganda del trio
Bush-Olmert-Abu Mazen, in un’ottica di isolamento sempre maggiore
della Striscia di Gaza, e dall’altra fa venir meno la scusa ad Israele
(che comunque ignora ogni cosa, nel silenzio generale) per
un’invasione della Striscia, da cui si pensava fosse partito il
commando, a causa dell’apertura del valico di Rafah. Altra peculiarità
è quella delle rivendicazioni fatte successivamente all’operazioni di
Dimona: nell’arco di tempo che Hamas ha fatto passare prima della sua
rivendicazione, le brigate al-Aqsa in collaborazione con le Abu Ali
Mustafa e quelle della Resistenza nazionale si sono attribuite
l’attentato; se da una parte vi è un possibile tentativo di prendersi
una parte del merito, dall’altra si assiste alla ricomparsa di una
sigla (brigate al-Aqsa, braccio armato di Al Fatah) che il presidente
Abu Mazen dice di aver sciolto, il che va a riconfermare la distanza
tra la base e la dirigenza di Al Fatah ma anche il controllo che Abu
Mazen non esercita più su una parte del braccio armato del partito
dell’ex presidente Arafat.
La resistenza palestinese l’aveva promesso, dopo gli ennesimi crimini
compiuti da Israele nella Striscia, ma soprattutto dopo la chiusura di
ogni porta che potesse rompere l’isolamento di Gaza, e così è stato:
una pioggia di razzi continua a colpire il territorio israeliano,
Sderot è la città più bersagliata.

L’Anp scricchiola
Di fronte all’attentato di Dimona l’Anp si è affettata nel condannarlo
e, tramite il suo presidente, a proporre ad Hamas di mediare una
tregua con Israele. Tregua che lo Stato sionista ha sempre rifiutato,
nonostante l’impegno concreto arrivato dall’organizzazione islamica,
che tempo fa propose la cessazione delle operazioni militari per un
periodo di almeno quindici anni. Quindi Hamas, a quest’ennesima
dichiarazione di marketing internazionale di Abu Mazen, ha risposto:
"Prima di fare aperture del genere Abu Mazen farebbe bene a cessare la
sua guerra contro Gaza e Hamas. La sua mediazione è inaccettabile. Se
Israele cesserà tutte le forme di aggressione contro i palestinesi
Hamas sarà pronto a riesaminare le proprie posizioni".
Anp che ogni giorno è sempre più sommersa nella sua
autoreferenzialità, nel suo isolamento dalla popolazione palestinese,
pur essendo parte dell’improduttiva vetrina offerta da Stati Uniti e
Israele, gioco condotto a suon di strette di mano nonostante
l’esercito Tsahal non risparmi nemmeno la Cisgiordania, sedicente
"territorio amico", nella sua opera di criminale devastazione. E ciò
avviene mentre il sostegno ad Hamas va crescendo di giorno in giorno,
basti pensare ai picchi del 39% segnalati dall’ultimo sondaggio nella
Striscia compiuto dal Centro per le Ricerche e Studi di Ramallah, il
che vanifica molti degli sforzi compiuti da Anp e Israele nel voler
dipingere sempre più Hamas come "il male", "il responsabile" delle
vessazioni palestinesi.
Alla luce di ciò ancor più significative appaiono le dichiarazioni del
premier palestinese Fayyad, il più fedele degli alleati di Stati Uniti
e Israele nell’Anp, l’uomo scelto da Abu Mazen nonostante non sia mai
stato legittimato da un voto parlamentare. Fayyad, forse alla presa di
diatribe con la propria coscienza, ha dichiarato di non credere in una
soluzione di pace definitiva entro l’anno, esprimendo amarezza per la
visibile mancanza di impegno da parte di Israele per ciò che riguarda
gli insediamenti colonici oltre che per le continue incursioni
militari israeliane in Cisgiordania, "I nostri sforzi sono ostacolati,
la nostra credibilità è indebolita" ha sentenziato.

"Dobbiamo scatenare una guerra senza quartiere"
La prima rappresaglia all’attentato di Dimona è stata l’uccisione a
Gaza di Qarmut, leader dei Comitati di resistenza popolari, oltre che
di due palestinesi in Cisgiordania. Il 5 febbraio sono partite le
prove generali della vasta operazione in preparazione nella Striscia:
nove palestinesi uccisi nei raid in poche ore, embargo inasprito a
cominciare da un graduale taglio dell’energia elettrica.
"Dobbiamo scatenare una guerra senza quartiere contro le teste della
vipera, contro la intera leadership" ha profilato il ministro
israeliano per l’edilizia Boim, del partito Kadima. L’azione di forza
avrebbe l’obiettivo di rioccupare il Corridoi Philadelphi e chiudere
il valico verso l’Egitto aperto da Hamas la scorsa settimana. Ciò
sancirebbe la fine degli accordi di gestione stabiliti nel 2005 con la
partecipazione di Egitto e Unione Europea, ma Israele ben sa che,
ancor più in questo momento, non troverebbe alcuna opposizione di Usa
e Ue rispetto a questo nuova violazione, che comunque è nulla rispetto
ai piani repressivi in serbo.
L’annunciata escalation militare non si è quindi fatta attendere,
nella giornata di ieri sono cominciati i bombardamenti che hanno
mietuto le prime vittime palestinesi, e questa mattina sono ripresi,
con ancora maggiore forza, i quali però hanno trovato sulla loro
strada la resistenza. Ieri il quartiere Jaradat, nel sud della
Striscia di Gaza, è stato invaso dalle forze sioniste, le quali hanno
occupato le case, danneggiandole, arrestando e trasformando i tetti in
postazioni per i cecchini. Sono state bombardate le imbarcazioni dei
pescatori, le spiaggie di Gaza e Rafah, oltre che i porti. Stamane le
brigate al-Qassam di Hamas hanno fatto fallire un tentativo di
invasione delle forze di occupazione israeliane ai danni del quartiere
az-Zaitun, a Gaza: tenendo un’imboscata alle forze speciali
israeliane, rispondendo al fuoco e ferendo diversi militari Tsahal.
Anche i bulldozer sono stati messi in moto, questi hanno distrutto
campi coltivati e sparato all’impazzata. Non si contano vittime
pales
tinesi per il momento, solo qualche guerrigliero ferito nei due
giorni di scontro armato, ed è innegabile come questo sia potuto
accadere grazie alla resistenza messa in atto, che ha contenuto,
almeno per il momento, la tanto minacciata invasione. Il comandante
dell’esercito israeliano Ashkenazi ha dichiarato che i preparativi per
l’invasione di Gaza sono ultimati, annunciando quindi l’imminenza
dell’operazione e contemporaneamente cercando di omettere il
fallimento di questa mattina. Intanto, nell’euforia guerrafondaia
della dirigenza politica dell’entità sionista, il vice primo ministro
Ramon si è spinto nel proclamare: "Entro un anno porremo fine al
potere di Hamas", questa mattina l’organizzazione islamica ha dato un
prima risposta..

Prove di guerra
Prosegue intato la propaganda di guerra dello Stato israeliano,
supportato dagli Stati Uniti d’Amercia. Persino questa mattina, a
Berlino, dopo giorni di incessante straparlare, il premier sionista
Olmert ha dichiarato, nella conferenza stampa con la cancelliera
Merkel, che nessuna opzione deve essere dimenticata nel fronteggiare
il piano nucleare di Teheran.
Queste dichiarazioni giungono solo qualche giorno dopo un altro degli
inequivocabili segnali dei preparativi di guerra: una nave da guerra
americana, equipaggiata con i più sofisticati sistemi antimissile, la
Uss San Jacinto, è arrivata il 4 febbraio al porto di Haifa, motivata
dal fatto, come sostiene una fonte ufficiale del Jerusalem Post, che
"forse un giorno gli Usa ci invieranno queste navi per difenderci,
sino a quel giorno per noi è importante conoscere il sistema di difesa
(americano), le sue capacità e le sue possibilità di integrazione con
i nostri (sistemi)".

ascolta/scarica a lato l’intervista con Michele Giorgio

http://www.infoaut.org/public/media/1164_michele_giorgio.mp3

inviato de Il Manifesto in Medioriente, con cui facciamo il punto
della situazione, partendo dal dopo Annapolis e giungendo ai fatti del
post attentato di Dimona

http://www.infoaut.org/news.php?id=1164

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