Intervista a Osama Hamdan, Hamas: “La nostra è una lotta di liberazione dal colonialismo. Cosa sta facendo il mondo per fermare il genocidio?”

Intervista a Osama Hamdan, Hamas: “La nostra è una lotta di liberazione dal colonialismo. Cosa sta facendo il mondo per fermare il genocidio?”

Istanbul-InfoPal. Di Angela Lano. Hanno collaborato: Jinan e Mahmoud Hannoun, Falastin e Islam Dawoud.

Osama Hamdan, alto dirigente di Hamas, ci riceve in una sala stampa allestita in un Centro Congressi di Istanbul. Ci colpisce la sua affabilità, gentilezza e disponibilità.

E’ nato a Gaza, da una famiglia di profughi palestinesi, nativa dei Territori del ’48, attuale Stato coloniale israeliano.

Hamdan è stato rappresentante del Movimento di Resistenza islamica in Libano e in Iran. Attualmente è il responsabile per le Relazioni estere. Lo abbiamo intervistato nell’ambito dell’annuale Conferenza della “Coalizione globale a sostegno di Gerusalemme e della Palestina”, che si è svolta a Istanbul, in Turchia, dal 25 al 27 aprile.

C’è una grande spaccatura tra governi e popolazioni occidentali nel supporto alla Palestina: i governi, in generale, sostengono Israele, mentre i popoli manifestano per i Palestinesi e per la fine del genocidio e del colonialismo sionista. Come vede il prossimo futuro?

“Le politiche internazionali sono governate dagli interessi, mentre i popoli sono rivolti alla dignità e all’etica, per questo sono punti i riferimento. Se il ruolo del popolo viene meno, abbiamo la dittatura…”

Che relazioni avete con i Paesi del BRICS+? In particolare con Brasile, Russia e Cina?

“Abbiamo relazioni chiare e aperte con tutto il mondo, basate sui reciproci interessi e i diritti del popolo palestinese, e della Resistenza all’occupazione coloniale sionista. Ne abbiamo che vanno avanti dagli anni ’90. Fino al ’93 aveva relazioni anche con gli USA e con vari Paesi europei. Poi, la situazione è cambiata. Ci sono Stati che non voglio avere rapporti con Hamas a causa di pressioni di altri governi. Con Brasile, Russia, Sudafrica, Brasile e, in generale, con gli altri Paesi dei BRICS e con l’America Latina, sono molto buoni: sostengono Hamas e la Resistenza palestinese. A dir il vero, anche quelli con i popoli europei; alcuni governi ci chiamano senza dichiararlo ufficialmente…”

E con l’Iran, altro Paese BRICS?

“Abbiamo in atto un progetto con i Paesi islamici. Con l’Iran abbiamo una buona relazione; ha sempre dato supporto ai Palestinesi e alla Resistenza, anche dal punto di vista militare. Qualsiasi aiuto che viene dato alla Resistenza è il benvenuto”.

Al-Aqsa Flood, un anno e mezzo dopo. Quali sono le vostre considerazioni?

“Dopo i fallimentari accordi di Oslo nessuno più credeva allo Stato palestinese; si parlava poco di Palestina, e solo nei termini di “conflitto”, invece che di occupazione, mentre Israele prendeva sempre più terra e portava avanti il suo progetto coloniale di insediamento… Tuttavia, con l’operazione Al-Aqsa Flood, tutto il mondo ha ricominciato a parlare di Palestina, di Stato palestinese, di diritti palestinesi, di occupazione sionista. L’operazione della Resistenza, nella sua semplicità, ha risvegliato il mondo e ha innescato un processo di de-costruzione delle menzogne, della propaganda israeliana, della sua falsa democrazia che non rispetta i diritti umani, dei bambini, delle donne… E’ scioccante ciò che succede a Gaza, ma aiuta a svelare e a far vedere la vera natura di Israele: uno Stato coloniale genocida che uccide, che vuole eliminare tutti i Palestinesi. Al-Aqsa Flood ha confermato che Israele è debole: nonostante la Resistenza non sia dotata delle stesse armi tecnologiche e avanzate di Israele, è riuscita a sconfiggere un potente esercito. E’ doloroso vedere il martirio di tanti bambini, di tante persone… E’ doloroso, ma non ci arrenderemo. Riusciremo a liberarci e a costruire lo Stato di Palestina, con dignità”.

Quali sono le possibilità per un nuovo cessate-il fuoco e un accordo di scambio dei prigionieri?

“Eravamo arrivati a un accordo di cessate-il fuoco, il 17 gennaio, ma Israele lo ha interrotto. Gli israeliani hanno detto agli intermediari che vogliono ripristinare l’accordo, ma Netanyahu non vuole accettare… Noi abbiamo ribadito la nostra disponibilità alla liberazione di tutti i prigionieri israeliani: cessate il fuoco, scambio dei prigionieri, apertura dei valichi. Sabato c’è stato un incontro al Cairo con nostri rappresentanti per mediare il ritorno all’accordo del 17 gennaio. Vogliamo fermare il genocidio e chiediamo il ritiro di Israele dai Territori del 1967, e che i Palestinesi decidano del loro futuro, senza interferenze esterne”.

Qual è la vostra visione per il futuro di Gaza e della Palestina in generale?

“Il futuro di Gaza è legato a quello del resto della Palestina: un popolo libero con un governo libero. Gaza è un simbolo per tutti i Palestinesi. Qualsiasi accordo, da Oslo in poi, è stato un inganno. Hamas è un movimento di resistenza legato ai principi nazionali. La Resistenza è trasparente negli obiettivi, nei principi e nei diritti. I nostri obiettivi sono la liberazione di tutta la Palestina. Uno Stato non può essere costruito sotto occupazione, deve prima liberarsi, e se il popolo è debole, non può liberarsi dagli occupanti. Dunque, le nostre mete sono: 1) la liberazione del territorio palestinese dal colonialismo israeliano; 2) un governo che rappresenti la Palestina, attraverso libere elezioni; 3) la visione della causa nazionale: i Palestinesi non devono vedere la liberazione solo attraverso i morti e i feriti…, è molto più di questo. E’ una lotta di liberazione dal colonialismo, una lotta per la decolonizzazione della Palestina. Se ci sono persone che discordano, nel mondo, e che accetterebbero di vivere sotto occupazione, possono accogliere Israele nei propri territori”.

Qual è lo stato di salute della Resistenza gazawi?

“E’ ancora attiva e capace di continuare a combattere. La domanda importante da porre è: cosa sta facendo il mondo per fermare il genocidio? La Resistenza combatte per il popolo, ma il resto del mondo vuole solo osservare o vuole agire?”