Intervista a Said Siyam, ministro degli Interni palestinesi.

Incontro speciale con il ministro degli Interni palestinese.

"Non esiste divergenza con il presidente Abu Mazen per la formazione della forza di sostegno. La legge mi autorizza a formare una forza come questa". 

Dal nostro corrispondente.

 

Il ministro degli Interni palestinese Said Siyam ha dichiarato che non esistono divergenze con il presidente Mahmoud Abbas sulla formazione della forza di sostegno formata dal suo ministero, sottolineando che il regolamento sulle forze di sicurezza presente nella Costituzione lo autorizza in tal senso. E ha aggiunto che la guerra civile è un obiettivo perseguito da anni dagli israeliani ma che è sempre fallito, perché il popolo palestinese è unito.

Abbiamo incontrato il ministro nel suo ufficio nella sede del ministero degli Interni, a Gaza. 

Come commenta la manifestazione cha ha coinvolto migliaia di membri delle forze di sicurezza, a detta dei media, svoltasi contro il governo? 

Queste proteste non sono legali e le rifiutiamo. Sono indici di grande crisi e di disordine dentro gli organi di sicurezza. Esse hanno l’obiettivo di far pressione sul governo palestinese e questo non giova all’interesse palestinese. Se ci devono essere proteste, devono essere indirizzate verso chi isola e boicotta il popolo. Purtroppo queste manifestazioni sono organizzate dopo l’annuncio della possibilità di pagare gli stipendi e di concedere prestiti ai lavoratori dell’Anp. 

Che risultati avete ottenuto fino ad ora nella lotta al disordine e alla delinquenza? 

Come tutti sanno, ci sono tensioni nelle strade, una pesante eredità e disordini, ma possiamo dire che è in corso un miglioramento visibile: le rapine sono diminuite molto e cosi conflitti familiari. Ieri abbiamo effettuato un’operazione per eliminare le aggressioni dalla spiaggia. Stiamo lavorando per permettere al nostro popolo di vivere in pace e tranquillità. 

C’è chi scommette, soprattutto da parte israeliana, sulla vostra capacità di mantenere la calma nelle strade e sull’eventualità che scoppi una guerra civile. E’ possibile che succeda questo? 

La guerra civile è ciò che vorrebbero gli israeliani e i nemici di questo popolo. Sono anni che tentano, ma hanno sempre fallito e, possiamo dire che sempre falliranno perché la piazza palestinese è unita contro la guerra civile. Gli attriti e i conflitti che scoppiano qua e là sono fonte di tristezza ma vengono superati e limitati dal nostro popolo. Anche se sappiamo che ci sono palestinesi che si sforzano per creare problemi e tensioni e per danneggiare il governo facendolo apparire come incapace di mantenere la sicurezza. A questo scopo danno vita a qualche scontro per tenere impegnato il governo e per sfinirlo. 

Siete giunti a un accordo con il presidente per quanto riguarda la forza di sostegno da voiu dispiegata. Quali sono le vostre divergenze al riguardo? 

Non esiste divergenza, perché questa è una forza sulla cui formazione c’è accordo con il presidente Abu Mazen. Il regolamento sulle forze di sicurezza palestinesi presente nella Costituzione mi autorizza in tal senso. Non capisco il perché di tutto questo chiasso in un momento in cui, invece, si tace per il disordine e la delinquenza, che sono violazioni della legge più pericolose di questa. Avremmo voluto che queste voci si levassero con forza contro le uccisioni, i sequestri e gli attacchi che hanno luogo nelle strade palestinesi. 

C’è chi sostiene che questa forza sia composta solo da membri di Hamas. E’ vero? 

Questo è falso: la realtà smentisce queste illazioni. Nella forza di sostegno ci sono elementi di Al-Qassam, membri della resistenza popolare, membri delle Brigate Al-Aqsa. Abbiamo anche una richiesta di adesione del Fronte Popolare per la liberazione della Palestina e una del Fronte Democratico. E’ un corpo aperto a tutto il popolo palestinese e a tutti i combattenti, come premio della loro resistenza contro l’occupazione. La loro presenza serve per controllare il disordine e la delinquenza, in aggiunta alla loro preparazione ad alto livello. 

Circolano voci sull’incremento dei membri della forza di sicurezza presidenziale per affrontare la forza di sostegno. Cosa ne pensa? 

Non siamo nell’arena di confronto, anche se c’è qualcuno che vuol farlo credere. Noi non abbiamo formato una forza di Hamas: abbiamo sempre sostenuto che essa è aperta a tutto il popolo palestinese e che farà parte degli organi di sicurezza. Le condizioni che vengono applicate ai soldati valgono anche per la forza di sostengo. Noi non vogliamo che gli organi di sicurezza diventino uno sbocco per disoccupati: questo noi lo rifiutiamo. Noi vogliamo la sicurezza per il nostro popolo, soldati e polizia forte che svolgano i loro compiti.

Considerate le minacce provenienti dalla piazza palestinese come un ostacolo per mantenere la sicurezza?

 

Noi consideriamo come minaccia reale alla nostra sicurezza interna l’occupazione e le sue operazioni militari, i collaborazionisti, chi pone l’interesse personale davanti a quello della patria. E’ risaputo che qualche ufficiale, qualche realtà all’interno degli organi di sicurezza hanno piani al di fuori della legge e dell’obiettivo nazionale. Lo ha dichiarato l’ex ministro degli Interni Naser Yousef al cospetto del Consiglio legislativo.

 

Come state lavorando per mantenere la calma e la sicurezza interna? Come controllate gli organi di sicurezza visto il loro legame storico con questi ufficiale di sicurezza?

 

In verità non si possono chiuoere gli occhi sul problema e non possiamo semplificare le cose. Noi abbiamo ereditato organi di sicurezza in cui più del 90% dei suoi ufficiali, mezzi e membri appartengono a un solo partito. Questo costituisce un ostacolo alla formazione dei nostri programmi di governo, ma non vuole neanche dire che non esistono ufficiali che ricercano l’interesse nazionale prima di quello di partito.

Non è giusto valutare un governo che ha solo due mesi di
vita ed è soggetto a boicottaggi, blocchi e a un clima di isolamento. Contro il nostro esecutivo è in atto un complotto internazionale: camminiamo in un campo pieno di mine e ci sforziamo a portare il nostro popolo sulla riva della salvezza e della sicurezza, anche se il miglioramento è ancora invisibile o costituisce una piccola percentuale.

 

Gli ufficiali degli organi di sicurezza seguiranno i vostri ordini oppure renderanno difficile il vostro lavoro?

 

Ci sono ostacoli e i rapporti non sono come devono essere.

 

Come potete mantenere la calma quando qualche movimento come il Jihad Islamico e altri eseguono quasi giornalmente operazioni di resistenza contro l’occupante?

 

La resistenza è un diritto legale del popolo palestinese e noi, come governo, siamo nati dal grembo della resistenza. La dimostrazione di questo è l’ampiezza delle pressioni e il boicottaggio che circonda il governo. Tuttvia, qualsiasi questione può essere discussa attraverso il dialogo e senza imporre le cose in maniera inaccettabile. Noi abbiamo maturato esperienza e siamo in contatto continuo con tutte le parti per capire la situazione e per rendere il popolo partecipe nell’alleggerimento della pressione contro il governo, proteggendo il diritto alla resistenza e alla risposta

 

Ci sono contatti con i dirigenti del Jihad Islamico e altri per alleggerire l’intensità della resistenza e gli attacchi?

 

Noi stiamo lavorando per attivare relazioni con tutti i movimenti e le forze. Io personalmente ho incontrato l’ala militare dei movimenti di resistenza e ho spiegato loro la situazione, chiedendo un’assunzione di responsabilità nazionale e l’accettazione di questo governo come rappresentante di tutto il popolo palestinese. Ci saranno incontri con il primo ministro perché siamo interessati ad alleggerire la sofferenza del nostro popolo e a superare questo boicottaggio imposto contro la popolazione.

 

Ci sono voci secondo cui le Brigate Al-Qassam, l’ala militare di Hamas, hanno fermato la resistenza perché tanti di loro sono stati inseriti all’interno degli organi dell’Anp. Quale è la verità?

 

Si tratta di chiacchiere, assolutamente. La tregua da parte delle Brigate di Al-Aassam non significa che la resistenza si sia fermata, al contrario, e ne è dimostrazione la pressione israeliana, americana e europea. Questo isolamento dimostra che quello palestinese è ancora un governo di resistenza e ne protegge la legalità. Per quanto riguarda l’inglobare i membri di Hamas all’interno dell’autorità, non è vero: fino a questo momento non abbiamo inserito nessuno. Abbiamo parlato della forza che andrà a far parte della poizia palestinese, e si tratta di poche migliaia di persone.

 

Cosa ne dite del referendum sul documento dei prigionieri e quale è il ruolo del ministero degli Interni?

 

Il referendum è stato una sorpresa: non è stato discusso con nessuno. Gli esperti di diritto internazionale dicono che è illegale e che il momento è sbagliato. Nel recente passato, il popolo si è espresso e ha scelto attraverso elezioni libere, trasparenti e democratiche. Le elezioni erano basate su programmi e il popolo ha detto il suo. Poi il popolo è stato condotto alla fame, assediato, circondato: in queste circostanze, come si può indire un referendum? Non è ragionevole e rappresenta un mezzo di pressione: nell’Islam, il giudice non giudica quando ha fame. Eppoi il referendum deve essere su questi punti: combattere/non combattere, dialogare/ non dialogare, e su numerose altre questioni. Non abbiamo bisogno di questo referendum, che complica le cose: la nostra piazza palestinese è aperta al dialogo e all’accordo. Ci sono le basi in comune con cui arrivare a un accordo. Le questioni su cui ci sono divergenze da quarant’anni non possono essere risolte con un referendum. Infine, esiste un popolo che si è espresso attraverso le elezioni. Ora si devono unire le forze per togliere l’embargo.

 

Sia i paesi europei sia quelli arabi avevano promesso di appoggiare gli organi di sicurezza palestinesi. Quando siete andati al governo si è bloccato tutto?

 

Il discorso è ancora in piedi: durante il mio ultimo viaggio in Siria e in Egitto mi è stata ancora ventilata la disponibilità di addestrare e formare gli ufficiali della polizia e di riformare quelli presenti.

 

Qual è il vostro rapporto con lo stato occupante nell’ambito della collaborazione per la sicurezza stabilita con il passato governo palestinese?

 

Non esiste nessun rapporto con l’occupante. Il nostro governo guarda a quello israeliano come a un governo di occupazione. Per quanto riguarda la gestione della vita quotidiana, non ci sono impedimenti legali perché quella dell’occupazione è una realtà in cui siamo costretti a vivere. Noi non la riconosciamo ma ne abbiamo a che fare contro la nostra volontà, e per quanto riguarda la salute e l’economia, tutto questo avviene nel minimo rapporto necessario. L’occupante ha bloccato tutte le comunicazioni, mentre noi abbiamo dato “luce verde” a tutti coloro da cui dipende l’interesse pubblico.

 

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