
Di Pierre Garnodier e Alessandro Barbieri. Salah Hammouri, avvocato franco-palestinese e autore del libro ‘Prisonnier de Jérusalem’ (pubblicato in Francia da Libertalia), sabato 15 marzo avrebbe dovuto tenere a Marsiglia una conferenza intitolata “La resistenza oggi in Palestina e in Libano”, insieme a Soha Bechara, militante del Fronte nazionale della resistenza libanese. La conferenza è stata vietata poche ore prima del suo svolgimento da un ordine della prefettura, motivato secondo un “rischio di turbamento all’ordine pubblico”.
L’interdizione è l’ultima di una lunga seria di censure e attacchi contro Hamouri: il 18 novembre e il 18 dicembre avrebbe dovuto tenere due conferenze a Lione, in un centro culturale e alla Camera del lavoro, entrambe vietate dalla prefettura con la stessa motivazione. Il 7 febbraio, in occasione di una sua conferenza a Fontenay sous Bois, nella periferia est di Parigi, un gruppo di estrema destra ha cercato di impedirne lo svolgimento.
Salah Hamouri è arrivato in Francia nel dicembre del 2022, in seguito a un ordine di espulsione del governo israeliano. Ha trascorso più di dieci anni nelle carceri israeliane, prima condannato ingiustamente da un tribunale militare, poi imprigionato in detenzione amministrativa, senza accusa né processo. Lo scorso luglio un giudice francese ha aperto un inchiesta contro Israele per detenzione arbitraria e torture su Salah Hamori, già nel 2022 la sua espulsione da Israele era stata giudicata da Parigi “contraria al diritto” e dall’Onu come “crimine di guerra”. Nel suo libro, un toccante resoconto della sua detenzione, egli racconta la vita carceraria dei detenuti palestinesi e sottolinea l’importanza della solidarietà internazionale.
Salah Hamouri, un’altra sua conferenza è stata vietata, ci può raccontare cosa sta succedendo?
A Marsiglia abbiamo avuto l’interdizione della conferenza nella quale dovevamo parlare della situazione in Palestina e in Libano. Da quando sono arrivato in Francia, ci sono stati continui attacchi e minacce da parte di parlamentari e organizzazioni filo-israeliane, ma ora si sono intensificate. Stanno cercando di togliermi il diritto di esprimermi. Quest’ultima interdizione si inscrive in un quadro di criminalizzazione permanente degli attivisti a sostegno al popolo palestinese che deve cessare. Quest’amalgama pericolosa, non solamente rappresenta una minaccia alle libertà fondamentali, ma favorisce anche l’estrema destra, che lontano dal proteggere le comunità ebraiche, rappresenta ancora il principale vettore dell’odio antisemita. Essere anticoloniali, antisionisti e antifascisti non significa essere antisemiti. Ho la fortuna di potermi esprimere. Non sono qui solo per testimoniare, ma anche per lavorare con il più ampio movimento di solidarietà possibile. E voglio essere la voce, ma anche la sofferenza, dei prigionieri. Né la prigione né la deportazione mi toglieranno il diritto di resistere. Insisto sul termine deportazione perché, secondo la definizione del diritto internazionale, in base alla 4ª Convenzione di Ginevra, sono stato deportato dalla Palestina, non espulso. La mia carta di residenza è stata ritirata e sono stato deportato, creando un precedente che fa presagire il peggio per i miei connazionali. Bisogna parlare della situazione dei prigionieri palestinesi e sapere che la prigione è un luogo in cui gli israeliani cercano di tenerci lontani dalla nostra società e dalla nostra famiglia. La censura non è più tollerabile. Ad esempio il mio libro in Italia non è stato publicato da nessun editore, perchè sembra che potrebbe infastidire una parte del pubblico.
Quali argomenti avrebbe voluto trattare nel corso della sua conferenza ?
Innanzitutto di ciò che accade in Palestina e in Libano, soprattutto nel contesto politico attuale dopo 16 mesi di genocidio, che è ancora in corso a Gaza e che non si è mai veramente fermato. Anche nelle ultime tre settimane della tregua l’aiuto umanitario è cessato e il blocco di Gaza è stato ripristinato, manca l’elettricità e come hanno denunciato diversi organismi internazionali nessun prodotto è potuto più entrare nella Striscia. Penso che gli isrealiani, insieme al sostegno totale degli Stati Uniti e al silencio complice dei paesi europei, cercano di impedire, la rottura della tregua lo dimostra, che si passi alla seconda fase del cessate il fuoco, per imporre delle nuove condizioni che non esistevano durante le negoziazioni di gennaio. Anche prima la rottura della tregua, ad esempio, demandavano l’espulsione da Gaza dei dirigenti di Hamas e di altri partiti politici palestinesi e hanno reimposto di non ritirarsi dal corridoio di Netzarim, insomma cercavano di complicare le trattative per non passare alla seconda fase. Soprattutto il piano Trump, ovvero l’espulsione completa della popolazione di Gaza, era l’idea di Netanyahu sin dall’inizio dell’invasione israeliana e negli ultimi giorni ci sono state delle nuove proposte per deportare la popolazione palestinese verso l’Egitto o la Giordania, o persino in Somalia o altri paesi africani. Questo significa che questo progetto non si è mai fermato, nemmeno durante il cessate il fuoco, e gli israeliani hanno sempre come priorità di svuotare Gaza della maggior parte dei palestinesi, anche per poter sfruttare i giacimenti di gas che sono stati scoperti al largo della Striscia. E questo progetto non riguarda soltanto Gaza, l’occupante isrealiano insieme ai suoi alleati, infatti, sta cercando di cambiare la geografia della regione. Anche prima del 7 ottobre c’erano delle operazioni in corso contro i campi di rifugiati della Cisgiordania.
Quali sono, secondo lei, i piani di Israele in Cisgiordania e nel resto della regione ?
Ci sono due cose importanti da menzionare: la prima è che aver detto, da parte di Israele, che l’UNRWA, cioè l’organizzazione che garantisce ai palestinesi di conservare il loro status di rifugiati, ha non ha più il diritto di operare in Palestina, significa voler chiudere con il problema dei rifugiati. La questione dell’UNRWA è una questione politica, che mira a mettere in discussione la centralità del problema dei rifugiati nella causa palestinese. Lo si vede sul terreno nel nord della Cisgiordania, dove sono in corso di distruggere definitivamente i campi di rifugiati, per dire che alla fine che non ci sono più rifugiati e, quindi, per non parlare più di diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi. Io penso che questo piano riguarda non solo i palestinesi della Cisgiordania, ma anche quelli che vivono a Gerusalemme Est e in Israele. Stamattina è uscito un rapporto di un ex dirigente dell’esercito israeliano, che dice che la presenza di cittadini palestinesi in Israele è un pericolo strategico e bisogna decidere come risolvere questo problema. Credo quindi che esista una piano di deportazione nei paesi vicini per i palestinesi che vivono all’interno di Israele, come per quelli che vivono a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. E questo ci porta alla seconda questione da menzionare, cioè su quello che sta succedendo nella regione, in Libano, in Siria e in altri paesi. Vediamo, infatti, da qualche mese, soprattutto dopo la caduta del regime di Bashar Al-Assad dell’8 dicembre, come l’esercito israeliano ha cominciato a rioccupare del territorio siriano strategico sulle alture del Golan, fino ad arrivare ai villaggi drusi a 20 km da Damasco. In Libano non hanno rispettato il periodo di due mesi di cessate il fuoco e hanno ripreso i bombardamenti. E questo fa parte del progetto sionista della ‘Grande Israele’, che non si fanno più problemi a nascondere. Ci sono cinque punti strategici dove Israele si é prefissato di restare in Libano, dai quali esclude il ritiro della sua presenza militare. Oggi Israele si sente di poter fare quello che vuole nella regione, grazie al consenso e ai miliardi di dollari che ha ricevuto dall’amministrazione Trump. E a ciò, purtroppo, si aggiunge l’alleanza dei regimi reazionari arabi con Israele e gli Stati Uniti, che si è mostrata, ancora una volta, nelle deboli dichiarazioni fatte dalla Lega Araba nelle ultime settimane. Questa alleanza ha un solo obiettivo : quello di permettere a Israele di restare il gendarme degli Stati Uniti in Medio Oriente, continuando a garantire la sua superiorità militare ed economica. Tutto ciò é suggellato dalla normalizzazione tra Israele e l’Arabia Saudita, grazie al progetto comune del canale di Ben Gurion, che rimpiazzerà il ruolo storico del canale di Suez. L’Arabia Saudita, primo esportatore di petrolio della regione, beneficerà enormemente del canale, che sarà gestito dagli israeliani, con il piano di ricontrollare le rotte marittime che passano per il Medio Oriente. Questo è quello che stanno cercando di imporre sulla regione, una regione indebolita economicamente e militarmente.
In un contesto del genere, che ruolo possono svolgere coloro che difendono la Palestina e i diritti del popolo palestinese ?
Io penso che oggi, dopo 16 mesi di genocidio e dopo questa solidarietà enorme che la Palestina ha ricevuto, la causa palestinese è ritornata ad essere la priorità politica mondiale. Ciò è dovuto a tre ragioni. La prima è la resistenza del popolo palestinese, che ha resistito all’esercito israeliano. La seconda è la resilienza del popolo palestinese e di quello libanese, che si rifiutano di partire dalle loro case e, come abbiamo visto nel momento del cassate il fuoco, i migliaia di sfollati sono ritornati nel nord di Gaza, nonostante la maggior parte degli edifici fossero distrutti. E le gli abitanti del sud del Libano hanno fatto ugualmente, rientrando nei loro villaggi tra macerie. Terza ragione è il ruolo della solidarietà internazionale, che ha, e continua ad avere, un ruolo enorme nella lotta del popolo palestinese, umanitaria da una parte e politica dall’altra, come nel perseguire i criminali di guerra. In Francia, ad esempio, ci sono 4600 franco-isreaeliani che hanno partecipato ai crimini di guerra e che devono essere giudicati per quello che hanno commesso. Penso quindi che abbiamo un ruolo politico importante da giocare, nonostante l’ambiente difficile in Europa, e che dobbiamo restare determinati per alzare il livello della mobilitazione e creare nuove alleanze a sostegno della Palestina e della sua resistenza.