Per incontrare Usama Hamdan, leader di spicco del movimento della resistenza islamica Hamas, bisogna fare tanti passaggi; l’appuntamento viene fissato in un luogo, ma già si sa che l’intervista vera e propria avverrà in unaltra località, magari molto lontana. Bisogna, inoltre, mettere in conto almeno una mezza giornata di tempo: se l’appuntamento è alle 9.00 l’intervista, con tutti gli spostamenti del caso, non verrà rilasciata prima di mezzogiorno. Per capire il motivo – nascosto dietro la generica formula di "problemi di sicurezza" – basta ricordare quanti leader dell’organizzazione, come Sheikh Yassin e Rantisi, sono stati assassinati. Su di una cosa, però, si può far conto: Hamas ha una sola parola e i suoi leader non conoscono le strade tortuose della diplomazia: "Il mondo non vuole capirci, noi desideriamo la pace più di tutti, ma deve essere giusta e duratura. Abbiamo accettato di costruire il nostro stato nei territori arabi occupati nel 1967. Ancora ci chiedono se noi riconosciamo Israele o no. Bisogna chiedere ad Israele se ci riconosce, e quindi domandarsi come potremmo riconoscere un altro se noi non lo siamo ancora. Esiste un rischio serio di riconoscere e non essere riconosciuti". Hamdan ricorda che l’applicazione delle risoluzioni dell’Onu spetta ad Israele come Stato occupante e non ai palestinesi, e ci chiede: "Noi siamo un popolo senza terra e la comunità internazionale si deve adoperare per garantire i nostri diritti legittimi. Perché si chiede alla vittima di risarcire? La politica del Quartetto rimane quella di boicottare il governo di Hamas fino a quando questo non riconoscerà lo stato d’Israele Noi abbiamo proposto di instaurare lo stato palestinese nei Territori occupati, promosso e riconosciuto dall’Onu dal 1967, e non abbiamo avuto nessuna risposta, mentre Israele non dice chiaramente dove è il suo confine. Dobbiamo essere uno stato per riconoscere unaltro. Siamo ancora sottoposti a minacce terroristiche, ma con le pressioni e i diktat non si può costruire una pace giusta. Egitto e Giordania hanno firmato accordi con Israele ma l’ostilità è più forte che mai. Come vi esprimete sull’idea di un nuovo meccanismo che consenta di sostenere i bisogni essenziali dei palestinesi veicolando i fondi finanziari al presidente dell’Anp Mahmoud Abbas? Se vogliono che i soldi vadano veramente -sorride – al popolo palestinese li devono dare al nostro governo guidato da gente onesta di Hamas, leader eletti per la loro correttezza e concretezza. Il nuovo pacchetto di aiuti umanitari ha il valore di 34 milioni di euro da destinare ai palestinesi; una buona somma che deve essere utilizzata bene. Noi siamo scettici sul piano di aiuti ai palestinesi deciso dal Quartetto; il loro obiettivo è spingere il governo palestinese a fare concessioni che danneggiano i suoi diritti e danno legittimità all’occupazione. È sanabile la divergenza con il Presidente Abou Mazen? Ambienti all’interno dell’Autorità nazionale palestinese contribuisco e incoraggiano l’assedio nei confronti del governo. Abu Mazen ha svuotato di contenuto il ministero degli interni (che controlla diverse forze di sicurezza) e quello delle comunicazioni (che ha poteri di supervisione sui mass-media). Gli Stati Uniti perseverano nella loro politica oltranzista contro i l governo di Hamas? Le pressioni Usa nei nostri confronti sono sempre più dure. Gli Stati Uniti hanno impedito il trasferimento dei fondi raccolti presso i paesi arabi direttamente sui conti dei 160 mila dipendenti pubblici palestinesi, che non hanno ancora ricevuto lo stipendio di aprile. Ciò nonostante, grazie alle donazioni dei paesi arabi e musulmani disponiamo di fondi sufficienti sulla carta per pagare gli stipendi dei pubblici impiegati dell’Autorità nazionale palestinese. Il problema resta trasferire i fondi raccolti nei Territori. |