Intervista al prof. Wassim Dahmash: ‘La comunità internazionale deve costringere Israele ad assumersi le proprie responsabilità’.

Intervista al prof. Wassim Dahmash, università di Cagliari.

Quali sono gli scenari attuali nel conflitto israelo-palestinese?

La scena mediorientale ha di fronte alcune opzioni: 1- La creazione di uno stato palestinese accanto a quello israeliano. Scelta che può non essere soddisfacente per le due parti perché la separazione comporta rinunce. 2-L’esigenza di una rivisitazione della storia recente del conflitto per trovare le possibilità di una convivenza. Ciò implica il riconoscimento dei misfatti compiuti – principalmente da Israele, ma anche dai palestinesi. Gli israeliani devono riconoscere di aver invaso, massacrato la popolazione palestinese e che stanno continuando a farlo. Devono abbattere il muro, smettere di creare insediamenti, cessare di uccidere. Devono riconoscere il danno arrecato ai palestinesi. Devono permettere a parte dei profughi di ritornare nelle proprie terre. Devono smettere di distruggere campi, terreni, case, strade, ponti. Devono smettere di impedire ai palestinesi di mangiare. Tutto ciò è fondamentale per iniziare a dialogare.

Concretamente, come si può fare?

La comunità internazionale deve costringere Israele a smettere di bombardare e, dal canto loro, i palestinesi dovrebbero porre fine al lancio di missili contro obiettivi israeliani e all’uccisione di civili. Gli israeliani vogliono che i palestinesi lascino da parte la violenza? Inizino loro a porre fine alla distruzione. Credo che sarebbe stato più facile se i palestinesi avessero portato avanti un’intifada popolare, quella delle pietre, disarmata. Questo è stato possibile fino agli Accordi di Oslo. Da quel momento in poi sono state introdotte le armi.

Inoltre, la comunità internazionale deve far cessare la costruzione del Muro di Separazione – che divide non già i palestinesi dagli israeliani, seguendo il percorso della Linea Verde, ma i palestinesi dai palestinesi. Nella West Bank ci sono 800 posti di blocco.

L’uso delle armi non è una politica vincente, secondo lei…

Portare avanti una politica di guerra significa prendere parte alle guerre made in Usa. Invece, bisogna disarmare le parti: l’equilibrio delle armi può funzionare tra potenze, non tra uno Stato forte e un popolo debole.

Ritengo che si debbano creare le premesse per la pace, mentre invece ora ci sono quelle per lo sterminio. E’ la pace dei cimiteri.

Un meccanismo, parte integrante dei conflitti, è la “de-umanizzazione” del nemico, che viene attuata attraverso la mancanza di una corretta informazione sull’altro, la propaganda, l’occultamento del conflitto, l’impedimento della realizzazione di processi di interiorizzazione e la deresponsabilizzazione.

Si parla tanto di due popoli-due stati. Che ne pensa?

Le chiacchiere internazionali parlano di “strutture statali”, ma ciò che conta veramente è costringere Israele ad assumersi le proprie responsabilità: ogni volta che commette un crimine, la comunità mondiale deve portarlo davanti alla Corte di Giustizia. E’ necessario che le leggi internazionali vengano applicate, perché nulla è cambiato rispetto ai decenni passati.

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