Intervista con il portavoce della polizia palestinese a Gaza: la situazione sta tornando gradualmente alla normalità.

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Gaza – Infopal. Il portavoce della polizia palestinese, Islam Shahwan, ha affermato che il lavoro delle forze dell’ordine a Gaza è tornato alla normalità; numerose sono le operazioni condotte a termine con successo. La polizia ha tra l’altro fermato molti collaborazionisti e fuorilegge. Tra costoro si contano alcuni dirigenti di Fatah, dei quali è stato constato il coinvolgimento nel fornire informazioni sulla resistenza, sui depositi d’armi e sugli obbiettivi colpiti dall’occupazione.

Shahwan, in un’intervista esclusiva per Infopal.it, ha spiegato che il Ministro degli Interni, Said Siyam, prima del conflitto e fino al suo assassinio, contava sull’applicazione del piano d’emergenza e sull’incremento dei luoghi di lavoro alternativi: “I prossimi giorni saranno difficili e la polizia potrebbe essere presa di mira”.

 

 

Ci può informare sulla situazione della sicurezza nella Striscia di Gaza dopo la fine del conflitto?

“Abbiamo pensato soprattutto a proteggere il fronte interno, realizzando molte cose di cui i rapporti di sicurezza giornalieri danno conferma. La polizia è allertata. Abbiamo dato ordini a tutti i poliziotti di tornare al lavoro con la divisa ufficiale e con le loro volanti, affinché nessuno possa approfittare di una falla qualsiasi. Le condizioni del nostro lavoro sono stabili e si sta tornando gradualmente alla normalità. Ora siamo al 70% rispetto a quanto si faceva prima, secondo le nostre stime. Ci affidiamo molto alle indagini e trattiamo subito ogni questione”.

 

In che misura avete risentito della scomparsa del Ministro degli Interni Said Siyam, dal suo assassinio fino a oggi?

“La scomparsa del ‘martire’ Said Siyam come persona ha influito molto. Sul piano professionale, la sua mancanza si fa sentire sul controllo quotidiano del lavoro svolto dalla polizia. Qualsiasi problema si presentasse, lo trattava direttamente lui e lui apriva le indagini. Ecco cosa ci manca. Le sue direttive e quelle dell’ufficiale Tawfiq Jaber erano ben chiare prima del conflitto”.

 

Vi aveva preparato un piano di lavoro o ‘d’emergenza’ prima dello scoppio del conflitto?

“Prima del conflitto e fino al suo assassinio, contava sull’applicazione del piano d’emergenza e sull’incremento dei luoghi di lavoro alternativi. Diceva che ‘i prossimi giorni saranno difficili e la polizia potrebbe esser presa di mira’, ed è quello che è successo. Un giorno prima del conflitto aveva visitato all’improvviso la sede della polizia, controllando le unità antidroga, traffico e l’ufficio operativo, e aveva chiesto di applicare il piano d’emergenza”.

 

Più volte avete parlato del vostro lavoro durante il conflitto. È stato possibile svolgerlo nel contesto dei bombardamenti che hanno colpito tutte le sedi della sicurezza?

“Fin dal primo giorno è stato inviato un messaggio chiaro da parte della polizia e tutti hanno capito. L’obbiettivo ‘del doloroso attacco’ era quello di causare disordini. Ecco perché è stata presa la decisione di continuare a lavorare e scendere nelle strade in borghese. Abbiamo proseguito il nostro lavoro sulle moto e abbiamo controllato lo sfruttamento dei mercati. Questo ha sorpreso i cittadini, nonostante le perdite tra le forze di sicurezza: 230 poliziotti, 50 uomini della sicurezza e 11 della protezione civile”.

 

La maggior parte delle questioni sollevate ultimamente riguarda la presa di mira degli attivisti di Fatah e il ferimento di alcuni di loro. Quale natura hanno questi episodi?

“Dopo la fine dell’aggressione abbiamo aperto le porte alle denunce. Sappiamo che qualche membro di Fatah è stato preso di mira, in quanto coinvolto in questioni su cui esistono prove evidenti. Abbiamo considerato il loro caso e quello di altri collaboratori, esaminato registrazioni e ammissioni a noi pervenute dalle fazioni della resistenza, grazie alle quali viene chiarito il loro ruolo nei luoghi delle aggressioni e di notte. Abbiamo ottenuto quelle stesse prove che sono arrivate anche alle loro famiglie. Durante una precedente conferenza stampa abbiamo annunciato che giudicheremo ognuno per la propria infrazione.

 

Ma Fatah ha accusato la polizia di aver sequestrato alcuni suoi membri e alcuni detenuti nella prigione as-Saraia nei giorni del primo conflitto. Come rispondete a queste accuse?

“Per quanto riguarda le prigioni as-Saraia e al-Mashtal, la Croce Rossa e l’occupazione avevano promesso che ai detenuti non sarebbe stato fatto alcun male. Il bombardamento della prigione al-Saraia con dentro i detenuti ci ha sorpreso. È stato ucciso un solo poliziotto e sono stati feriti il direttore della prigione, in maniera grave, e 5 detenuti. Io stesso ne sono stato testimone. Prima del conflitto avevamo liberato i detenuti non pericolosi, mentre quelli pericolosi sono ancora dentro. Li ho visitati pochi giorni fa e ho constato la loro incolumità. Stiamo lavorando per trovare una prigione alternativa”.

 

Cosa ci dice dell’eliminazione di qualche collaborazionista?

“Quando la prigione as-Saraia è stata colpita la prima volta, sono scappati diversi collaborazionisti. Dopo abbiamo saputo che qualcuno di loro è stato eliminato. La situazione era difficile: alcuni condannati a morte sono stati uccisi dalle fazioni della resistenza palestinese; altri sono nelle mani della polizia, e di questi abbiamo una lista con i loro nomi; altri ancora sono latitanti e alcuni vogliono consegnarsi perché non hanno un posto sicuro. Molti ci hanno telefonato e noi li teniamo d’occhio”.

 

Le associazioni per i diritti dell’uomo hanno riferito diversi incidenti accaduti nel contesto di quello che avete definito “il proseguimento del vostro lavoro”. Come rispondete?

“Ci siamo messi in contatto con loro e con la Croce Rossa e abbiamo parlato in tutta sincerità: apriremo i fascicoli e le indagini. Considerati tuttavia gli attacchi rivolti contro di noi e la situazione eccezionale, forse non potremo fare molto per il momento”.

 

Avete affermato che con l’inizio del conflitto era stato fissato un piano per destabilizzare la sicurezza. Ci sono conferme del coinvolgimento di dirigenti di Fatah e a quale livello?

“Non faccio nomi, ma secondo quanto è arrivato al Ministero degli Interni c’è una lista di membri di Fatah, tra dirigenti regionali e iscritti ordinari, che sono stati trovati in possesso di computer portatili carichi di piantine di luoghi segnati come obbiettivi, oltre a liste di nomi di ricercati dall’occupazione, indirizzi di depositi d’armi e cartine per il rifornimento della resistenza. Siamo sorpresi che Fatah faccia tutto questo”.

 

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