Intervista con Walid Sukkarieh a trent’anni dal massacro di Sabra e Chatila

Di Fabrizio Di Ernesto e Federico Cenci. ASI. In occasione del trentesimo anniversario della strage di Sabra e Chatila, il Centro Italo AraboAssadakah ha organizzato un evento atto a promuovere il dialogo tra il nostro Paese e la Palestina. Ha ospitato in Italia il deputato del Parlamento libanese Walid Sukkarieh, membro della Segreteria della Lega Internazionale Parlamentare per la Causa Palestinese. Agenzia Stampa Italia ha incontrato in esclusiva Sukkarieh, anche ex generale dell’esercito libanese, analista di strategie militari e conflitti.
La memoria delle atroci sofferenze del passato è un incubo che per i palestinesi si realizza concretamente ancora oggi a causa dei soprusi subiti. Paradigmatico in tal senso l’arbitrio che le autorità d’Israele si arrogano sul diritto allo spostamento dei cittadini palestinesi dei territori. E’ questo un tema caldo, che affronta il nostro gentile interlocutore quando gli chiediamo il motivo dell’assenza di altri due palestinesi che sarebbero dovuti essere presenti all’incontro organizzato da Assadakah.

Onorevole, la delegazione palestinese sarebbe dovuta esser composta anche da Hassan Kreisheh, Presidente del consiglio legislativo palestinese, e Maher Attaher, membro del Consiglio Legislativo Palestinese. Come mai alla fine è giunto in Italia soltanto lei?

Gli altri due dirigenti palestinesi non sono potuti venire e di questo me ne dispiaccio. All’onorevole Kreisheh è stata impedita la partenza per l’Italia da parte di Israele al Valico di Rafah, l’onorevole Attaher è invece bloccato in attesa di un visto che le autorità israeliane si riservano di concedergli nei tempi da loro stabiliti. Ecco perché sono presente a questo evento soltanto io, che provengo dal Libano e non ho avuto problemi a spostarmi all’estero.

La posizione di molti partiti politici italiani rispetto alla questione palestinese è la seguente: due Stati per due popoli. Non crede che questa soluzione sia comunque penalizzante per il popolo palestinese?

Noi siamo anzitutto per il ritorno dei palestinesi della diaspora nella loro terra legittima, la Palestina. Se poi lo Stato d’Israele decidesse di abbracciare i due popoli, palestinese ed israeliano, non avremmo problemi a rinunciare alla causa dei due Stati. Del resto in quella regione gli ebrei hanno storicamente vissuto fianco a fianco degli arabi, in una società mista dove non si è mai registrata alcuna repressione anti-ebraica.
Oggi il problema, tuttavia, è l’esistenza di uno Stato ebraico esclusivista, che proibisce o reprime la presenza degli arabi. Il processo di ebraizzazione promosso dalle autorità israeliane ostacola il ritorno dei palestinesi nella loro terra e l’integrazione tra popoli in un unico Stato. Questa situazione in cui vige il razzismo di Israele verso gli arabi la respingiamo fortemente, il nostro obiettivo primario resta l’instaurazione di uno Stato plurale in cui i profughi palestinesi possano vivere da cittadini liberi con gli stessi diritti degli altri.

Quali sono i politici italiani di ieri e di oggi che più hanno fatto per la causa palestinese?

Veramente sono poco informato sulla situazione italiana. Posso dare comunque una risposta basata su un’equazione, valida per ogni Paese straniero: chiunque sia legato ad una politica smaccatamente filo-americana non opera appannaggio della causa palestinese. Gli Stati Uniti non hanno mai rinunciato al loro progetto di creare un grande Medio Oriente dominato dallo Stato ebraico. Se l’Italia e l’Europa finalmente decidessero di attuare una politica finalizzata alla tutela dei propri interessi e non di quelli americani, ripristinerebbero i rapporti strategici con il mondo arabo verso il quale voi avete una naturale e storica vocazione. Il ripristino di questi rapporti favorirebbe una soluzione giusta, pacifica per la causa palestinese.

Tutti coloro che prendono posizioni contro i continui abusi perpetrati dall’amministrazione israeliana vengono tacciati di antisemitismo. Come e perché si è arrivati a questa situazione?

Ci si è arrivati attraverso la propaganda sionista, che ha lo scopo, strumentalizzando il tema dell’olocausto degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, di mettere all’indice chiunque sostenga la causa palestinese. Le due realtà sono però disgiunte, le cause di quella tragedia del passato vanno ricercate nei rapporti tra il popolo ebraico e le società europee. Nella regione palestinese, al contrario, come già detto prima, ebrei ed arabi hanno da sempre vissuto assieme senza repressioni. L’Islam considera gli ebrei (e i cristiani) “gente del libro” e dunque riconosce i loro diritti. Inoltre ci tengo a ricordare una cosa spesso ignorata: gli arabi stessi sono semiti, dunque come possono essere anti-semiti allo stesso tempo? Questa propaganda mira a sovvertire la realtà, ovvero a dipingere gli israeliani come degli oppressi. Essi invece opprimono i palestinesi infliggendo dei massacri; massacri che a loro volta hanno subito durante la Seconda Guerra Mondiale.

L’università di Gand, in Belgio, avrebbe voluto conferire una laurea ad honorem al compositore ebreo Leonard Cohen. Lui ha però rifiutato il riconoscimento in quanto sul sito di questa università sarebbero presenti collegamenti con siti di organizzazioni pro-palestinesi, tra cui Hamas. Come giudica questo comportamento?

E’ una cosa assurda rifiutare un riconoscimento così prestigioso, di carattere intellettuale per motivi di intolleranza nei confronti del pensiero altrui. Questa è repressione verso le opinioni contrastanti con la voce del sionismo, è un chiaro messaggio anti-democratico e contrario alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: il mondo non deve ascoltare le urla di dolore del popolo palestinese.

L’Autorità Nazionale Palestinese si è espressa favorevolmente alla richiesta da parte della magistratura francese di riesumare il corpo di Arafat, a Ramallah, per indagare sulla sua morte per avvelenamento da polonio. Che il leader palestinese fosse stato ucciso era inizialmente un sospetto di pochi, ora si sta trasformando in verità comprovata. Dove andrebbero ricercati gli eventuali autori?

Fin da subito tutto il mondo ha saputo quale fosse la causa della morte di Arafat: l’avvelenamento. Così come tutto il mondo ha saputo anche chi fossero gli autori: le autorità israeliane e l’allora presidente americano George W. Bush. Questo omicidio avvenne conseguentemente al sequestro da parte israeliana di una nave che trasportava armi per la resistenza palestinese. A seguito di quel sequestro Bush rilasciò un’eloquente dichiarazione di morte nei confronti di Arafat. Con l’omicidio del patriota Arafat Israele palesò i suoi intenti, trasformare l’Anp da gruppo di resistenza in guardiano dei territori palestinesi per conto israeliano.

L’impressione è che la presenza di gruppi salafiti all’interno dei campi profughi palestinesi si stia trincerando sempre più. Come è possibile che questi elementi riescano a rafforzarsi sfuggendo al controllo dell’Anp?

Il fenomeno salafita va diffondendosi in tutto il mondo arabo, i campi profughi palestinesi sono soltanto una piccola realtà di questa vasta regione. Consideriamo che l’oppressione che vivono i palestinesi e tutti i popoli arabi, la chiusura ad ogni prospettiva di miglioramento e di restituzione dei diritti spingono alcuni settori ad abbracciare soluzioni estreme per esprimere tale frustrazione. Le uccisioni degli americani, gli assalti alle ambasciate Usa sono un modo per dimostrare la propria contrarietà alle politiche americane. Tuttavia chi compie questi gesti non valuta se queste azioni siano proficue per la propria causa oppure no. E’ sicuro un dato: fin quando Israele non concederà diritti al popolo palestinese, Mahmoud Abbas (presidente dell’Anp, ndr) non avrà modo di neutralizzare le azioni di questi gruppi. Se questa situazione di frustrazione verrà ancora perpetrata ai danni dei palestinesi, potrebbe anche avvenire che il popolo decida di togliere il sostegno all’Anp a beneficio di chi proclama il ricorso alle armi come unica soluzione per il futuro della Palestina.

Una soluzione che passerebbe inevitabilmente per il finanziamento da parte di qualche ricca entità straniera, impegnata a sostenere i gruppi salafiti ma dai rapporti ambigui con Stati Uniti e Israele. E’ d’accordo?

Il salafismo come oggi lo conosciamo trae origine dalla dottrina wahabita, radicata in Arabia Saudita. Ecco spiegato chi si nasconde dietro l’ascesa di questi gruppi: i sauditi, che stanno tentando di diffonderlo in tutto il Medio Oriente, dal Pakistan al Nord Africa passando per l’Afghanistan. Per far questo pagano profumatamente, tengono molto a perseguire l’obiettivo di supremazia religiosa. C’è da specificare però che i sauditi non hanno alcun interesse affinché i salafiti uccidano gli americani, ma forse sottovalutano che la dottrina che stanno diffondendo rende inevitabili certi effetti violenti. Del resto chi si abbandona all’estremismo è disposto a compiere qualunque azione, anche le più imprevedibili e dannose nei confronti di chi ne finanzia la diffusione.

E’ oggi il trentesimo anniversario della strage di Sabra e Chatila. Un suo pensiero al riguardo…

A Sabra e Chatila si è compiuto il più grande massacro perpetrato dal sionismo: circa 5.000 persone, in gran parte civili, furono freddate nel giro di poche ore. Un massacro oltremodo grave se si considerano due elementi: in primo luogo, che avvenne successivamente all’esodo dell’Organizzazione di Liberazione della Palestina dal Libano (sancito da accordi internazionali nell’agosto 1982, ndr); in secondo luogo, che vennero così ignorate le garanzie presentate da Israele e dal Libano nei confronti della comunità internazionale di non entrare nei campi profughi palestinesi. Questo fatto di sangue, pur essendo il più atroce, non fu né il primo né l’ultimo nella storia di Israele. A Qana, in Libano, nel 1996 gli israeliani uccisero più di cento persone (vecchi, donne, bambini) che si erano rifugiati in questa località, in un campo profughi gestito dall’Onu. Quando una corte israeliana chiese agli autori del massacro di Cana il motivo del gesto, essi risposero stringatamente: perché erano arabi e andavano uccisi, questo è l’insegnamento ricevuto dallo Stato. Il pensiero sionista prevede d’altronde l’espulsione dei palestinesi dalla loro terra per sostituirli con cittadini ebrei. Il massacro è un lucido strumento atto a terrorizzare i palestinesi e a convincerli a rinunciare definitivamente alla loro terra, dalla quale non se ne andarono spontaneamente bensì furono cacciati con la forza quando nacque lo Stato ebraico.

Auspica che possa venir riaperto un processo che indaghi sul coinvolgimento israeliano per la strage di Sabra e Chatila o è pessimista alla luce dell’esperienza giudiziaria del 2001, quando la Corte di Cassazione belga aprì una commissione ma il lavoro venne interrotto, forse a causa delle pressioni israeliane?

Purtroppo finora la giustizia internazionale è stata sempre paralizzata dalla protezione di cui gode Israele da parte delle potenze del mondo. Va ricordato che l’Onu nella sua storia non ha mai potuto condannare Israele, malgrado le innumerevoli violazioni delle risoluzioni e del diritto internazionale. Il veto degli Stati Uniti è una garanzia di impunità per Israele.

A proposito del dialogo inter-religioso, lo scorso fine settimana Papa Benedetto XVI ha visitato il Libano…

Abbiamo dato il nostro benvenuto al Pontefice. Il suo in Libano è stato un viaggio di estrema importanza, che noi tutti ci auguriamo possa produrre i migliori frutti per rafforzare la collaborazione e la solidarietà tra cristiani e musulmani nella regione. La sua presenza, inoltre, crediamo che possa aver rassicurato i cristiani, i quali devono poter conservare le loro radici in Medio Oriente. Purtroppo questa conservazione non è più, oggi, scontata; alcuni pericoli, come la crescita dell’integralismo e dell’intolleranza, stanno minacciando i cristiani. Un terribile esempio è l’Iraq, dove – pur non essendoci un governo formato da al Qaeda o dai salafiti – le chiese e i fedeli cristiani sono stati oggetto di molte violenze. Figurarsi cosa potrebbe accadere qualora gli integralisti in Siria dovessero prendere il potere, il caos divamperebbe fino a coinvolgere tutta la regione e i cristiani ne subirebbero le conseguenze più drammatiche. Il Libano di oggi non è immune dal pericolo di ripetere errori del passato. Alcuni cristiani libanesi, per esempio, si stanno schierando dalla parte di chi combatte il regime siriano. Questo loro atteggiamento va contro gli inviti alla pace e alla convivenza che – prima ancora di Benedetto XVI – già Papa Giovanni Paolo II rivolse durante il suo viaggio in Libano. Essi dovrebbero sapere che questo atteggiamento è autolesionista, poiché fornire sostegno ai gruppi dell’opposizione siriana contribuisce alla distruzione della presenza cristiana in Medio Oriente.