Iran, diritti delle donne, Islam e iranofobia: un altro sguardo. Intervista a Hanieh Tarkian

InfoPal. Di Lorenzo Poli. Da decenni l’Iran è vittima dell’imperialismo occidentale e di una propaganda bellica che lo raffigura come uno “Stato canaglia” volto a reprimere le donne in nome del “fondamentalismo islamico”. Questa è un’immagine fuorviante del Paese mediorientale, accentuata anche dalle recenti ondate di proteste, che ha alimentato sempre più l’iranofobia. Di questo e molto altro ne parliamo con Hanieh Tarkian, teologa islamica italo-iraniana ed esponente del movimento del femminismo islamico. Si occupa di religione, politica e geopolitica e ha completato il corso di dottorato in Scienze Islamiche presso il “Jamiat az-Zahra”, il più importante centro femminile di Studi Islamici dell’Iran, oltre ad aver un Master in Relazioni Internazionali e Studi Strategici. Attualmente è docente e coordinatrice del Master in lingua italiana in Studi Islamici organizzato dall’Università internazionale al-Mustafa (Iran).

L’imperialismo USA ha sempre influito sulla politica della Persia, fin dai tempi dell’ultimo scià Mohammad Reza Pahlavi contro i governi scomodi. Cosa successe con l’Operazione Ajax?

Il Medioriente in generale e l’Iran in particolare sono terre ricche sia di risorse naturali sia da un punto di vista ideologico-identitario, entrambi culla delle più grandi civiltà della storia, sono stati, soprattutto dall’inizio del secolo scorso, preda delle forze imperialiste. Purtroppo anche l’Iran è stato per decenni influenzato dalle politiche della Gran Bretagna prima e degli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale. Lo scià Reza Pahlavi e poi il figlio Mohammad Reza erano dei burattini proni agli interessi delle forze imperialiste e permettevano loro di gestire le risorse, in particolare quelle petrolifere, dell’Iran. Essi avevano portato l’Iran a una situazione tale che, prima della Rivoluzione, il Paese dipendeva politicamente ed economicamente dagli Stati Uniti e vi era un profondo divario tra le classi sociali.

Le forze imperialiste non solo rubavano le risorse dei Paesi del Medioriente ma avevano iniziato a favorire una serie di politiche per sradicare l’identità culturale e religiosa dei popoli mediorientali e secolarizzare le loro società. Queste politiche in alcuni casi ebbero successo (per esempio in Turchia), ma in altri portarono a una reazione da parte del popolo: questo fu il caso dell’Iran, anche grazie alla leadership dell’Imam Khomeini, che fin dagli anni Quaranta, conciliò le iniziative religiose con quelle politiche, denunciando le politiche dello Scià. Gli Stati Uniti, appoggiando la polizia e l’esercito dello Scià, sopprimevano nel sangue qualunque tentativo di opposizione alle loro politiche, oppure optavano per colpi di Stato come quello del 1953 nominato Operazione Ajax, che fu una missione promossa dai governi del Regno Unito e degli Stati Uniti per sovvertire il governo di Mohammad Mossadeq, il quale aveva da poco nazionalizzato l’industria petrolifera.

Lo Scià tornò in Iran, il generale Zahidi, un burattino degli Stati Uniti, divenne Primo Ministro, e le forze imperialiste ripresero a saccheggiare le vaste risorse dell’Iran, questa volta con un’insistenza ancor maggiore: nel periodo che va dal 1953 al 1963 l’ammontare di petrolio saccheggiato dalle compagnie europee ed americane fu maggiore di quello estratto e saccheggiato complessivamente dai britannici nei precedenti cinquant’anni. In breve tempo l’Iran si trasformò in una base militare per preservare gli interessi statunitensi nel Medio Oriente: l’addestramento delle forze armate era gestito dai consiglieri militari americani. Gli accordi economici, militari e politici per la protezione degli interessi illegittimi degli Stati Uniti venivano ratificati uno dopo l’altro dal regime sorto dal colpo di Stato.

Le donne hanno sempre avuto un ruolo centrale nella cultura persio-iraniana, ma non hanno mai avuto accesso alla vita pubblica. Ancora oggi l’Iran viene presentato dall’informazione occidentale come uno “Stato che odia le donne”, ma cosa successe di diverso alle donne con la Rivoluzione Islamica nel 1979? Credi che i media occidentali pecchino di “islamofobia di genere” nel rappresentare le donne iraniane?

Per rispondere a questa domanda inizierò riportando alcuni estratti di una lettera che un gruppo di dottoresse iraniane ha scritto alla dott.ssa Antonella Vezzani, presidente dell’Associazione Italiana Donne Medico: “Qualche tempo fa è stata pubblicata sui media una lettera da Lei firmata, chiaro indice della Sua scarsa conoscenza della situazione e delle condizioni che governano il nostro Paese, ovvero l’Iran, la qual cosa ci ha spinte, come rappresentanti delle donne medico dell’Iran, a metterla al corrente sulla condizione femminile nel nostro Paese negli ultimi anni. Prima di tutto, menzioneremo alcuni dati che saranno per Lei di sicuro interesse. È al corrente, ad esempio, che la percentuale di ragazze tra gli studenti iraniani è passata da circa il 25%, negli anni antecedenti la Rivoluzione Islamica, a più del 50%? Probabilmente non sa che prima della Rivoluzione Islamica dell’Iran del 1979 il tasso di analfabetismo tra le donne si aggirava intorno al 50-60%, e che ora è sceso a meno del 10%. Dottoressa, i media le hanno forse permesso di sapere che il numero delle donne medico specialiste in Iran è aumentato di ben dodici volte dalla Rivoluzione Islamica, mentre per i loro colleghi uomini la percentuale è pari a tre? […] Come si possono affermare simili falsità sulla salute delle donne iraniane quando, secondo il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’indice di aspettativa di vita delle medesime negli ultimi quaranta anni è aumentato da una media di 57 anni a una di più di 77 anni? […] Occorre sapere che negli anni successivi alla Rivoluzione Islamica l’aumento del numero dei campi sportivi femminili è passato da 7 a 38, quello delle Federazioni sportive femminili attive da 1 a 49, degli arbitri donna da 7 a 16.000 e delle allenatrici sportive da 9 a 35.000, e questa è solo una minima parte dei progressi propri della condizione femminile in Iran, emerse nel virtuoso contesto di giustizia e legalità implementato da detto sistema islamico. […] secondo la nobile tradizione dell’ospitalità iraniana, La invitiamo a visitare la nostra grande nazione e le sue donne medico per poter così testimoniare la sicurezza, la libertà, la vitalità, la dinamicità ed i progressi scientifici propri dell’Iran, giacché non è affatto degno di esponenti della comunità scientifica degni di questo nome il rilasciare commenti apodittici, senza una scrupolosa verifica dei fatti, sotto l’esclusiva influenza di notizie false e infondate”[1].

Il 90% delle affermazioni dei media mainstream sull’Iran e in particolare sulla situazione delle donne in Iran sono menzogne. È vero che in Iran vigono delle norme sul codice di abbigliamento: essendo un Paese a maggioranza musulmana, i criteri di tali norme sono conformi all’eredità culturale e religiosa dell’Iran e sono diversi da quelli occidentali, anche perché chi dice che tutti debbano seguire i modelli occidentali? Ad ogni modo, questo codice di abbigliamento non impedisce alle donne di partecipare alla vita sociale, pubblica e politica, come dimostrato dalle statistiche appena riportate sulla loro partecipazione alla vita pubblica.

Anche la questione del velo islamico è molto discussa in Europa, mostrando sempre quel ruolo salvifico dell’Occidente e del femminismo bianco verso le donne musulmane. Cosa significa veramente il chador per le donne iraniane? 

Dagli anni Novanta, in tutto il mondo islamico, si diffonde il femminismo islamico, un movimento variegato di donne musulmane che rifiuta il ruolo salvifico sia dell’Occidente coloniale sia del femminismo bianco che vorrebbe liberare le donne dall’Islam e dal velo per forse aderire allo stile di vita occidentale, senza neanche chiedere alle donne islamiche cosa ne pensano. Prima di tutto è necessario specificare che il chador non è obbligatorio in Iran e, come già detto precedentemente, certamente in Iran vige un codice di abbigliamento che prevede che le donne si coprano il capo, ma sono loro a decidere come e cosa indossare per rispettare questa norma. Il chador appartiene da lungo tempo alla tradizione culturale e religiosa delle donne iraniane, da ben prima della Rivoluzione, anche se durante la Rivoluzione ha acquisito un significato particolare perché molte donne lo indossavano durante le manifestazioni contro lo Scià, e quindi è diventato uno dei simboli della Rivoluzione. Tornando al codice di abbigliamento, l’Occidente (da non confondere con l’Europa) ha questo vizio di voler imporre i propri criteri al resto del mondo attraverso le forze imperialiste, anche in Europa una minoranza, attraverso la propaganda televisiva e mediatica, è riuscita ad imporre un determinato stile di vita, compreso il modo di vestirsi. La maggior parte del popolo iraniano è musulmana; gli iraniani hanno scelto, dopo la Rivoluzione, la Repubblica Islamica come proprio ordinamento, questo significa che la maggior parte degli iraniani accetta le norme islamiche come criteri alla base della legislazione, non è quindi giusto che una minoranza, sostenuta mediaticamente, politicamente e anche militarmente, voglia mettere a ferro e fuoco il paese per imporre qualcosa che è estraneo all’identità iraniana. 

Dal 2001, con la caduta delle Torri Gemelle, la campagna bellica occidentale si trasforma in chiave anti-musulmana diffondendo una serie di pregiudizi islamofobici, proponendo l’equivalenza terrorismo=Islam=fondamentalismo. Anche l’Iran viene definito tale, ma nel frattempo ha combattuto Al-Qaeda, i Mujahedin in Afghanistan, l’Isis e gli ex-qaedisti sul territorio siriano. L’Islam sciita può rientrare nella categoria di “fondamentalismo islamico”?

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica e la Guerra Fredda, gli Stati Uniti avevano bisogno di presentare un nuovo nemico che giustificasse la loro presenza, le loro invasioni e ingerenze nel resto del mondo, perché gli Stati Uniti sono uno Stato che vive e si nutre di crisi e destabilizzazioni. Quello che è successo l’11 settembre 2001 ha giustificato l’invasione dell’Afghanistan e la distruzione di un Paese durata venti anni, il cui risultato finale è che è stato riconsegnato ai talebani, contro cui gli americani sostenevano di combattere! A questa invasione è seguita quella dell’Iraq nel 2003 con la falsa accusa che l’Iraq possedesse armi di distruzione di massa, e poi la destabilizzazione della Libia e della Siria con il sostegno ai gruppi terroristici. E fu proprio l’Iran, sostenendo l’esercito siriano, le milizie presenti in Siria e in Iraq, e con l’aiuto di Hezbollah e poi dal 2015 della Russia, a sconfiggere l’Isis e a ridimensionare la minaccia dei gruppi terroristici in Medioriente. In questa lotta i combattenti delle varie milizie erano sciiti, sunniti e cristiani, mentre i terroristi aderivano a una visione deviata ed eretica dell’Islam definita takfirismo, che si ispira all’ideologia deviata del wahabismo, da cui sia i musulmani sciiti sia i musulmani sunniti si sono dissociati (durante la Conferenza Islamica Mondiale di Groznyj nel 2016[2], ndr). Pertanto il fondamentalismo “islamico” in realtà non esiste, perché il wahabismo[3] e poi il takfirismo[4] sono ideologie deviate degli insegnamenti originali dell’Islam[5], e per altro sono state sostenute e finanziate dall’Occidente e dai suoi principali alleati in Medioriente come l’Arabia Saudita.

La propaganda imperialista, dal 2001, è solita strumentalizzare i diritti delle donne come “giustificazione di guerra”. Questo l’abbiamo visto con la retorica de “l’esportazione della democrazia” in Afghanistan e con la retorica femonazionalista delle destre conservatrici, ma anche con episodi folkloristici che hanno inaugurato guerre mediatiche come le manifestazioni delle controrivoluzionarie conservatrici a Cuba e delle Manitas Blacas in Venezuela. Ci sono stati questi episodi simili ad uso e consumo occidentali anche nel contesto iraniano? (Mi riferisco ai casi di Neda Soltani e Sakineh Ashtiani durante la cosiddetta “Rivoluzione Verde”).

In generale l’Occidente usa il pretesto dei diritti umani, e in particolare quelli delle donne, per giustificare guerre e invasioni, spesso basandosi su notizie false o strumentalizzate (come quelle citate nella domanda o quelle che vengono riportate in queste giorni sulla situazione della donna in Iran, dove si arriva a parlare di stupri e violenze sessuali senza alcuna prova se non riportando fonti inaffidabili come pseudo-associazioni per i diritti umani con base a Londra o New York). Io credo che l’Occidente non abbia alcun diritto di esprimersi in merito a ciò che è giusto o sbagliato per le donne, perché nella società moderna occidentale la donna è diventata in molti casi solo un oggetto e uno strumento da utilizzare per il proprio piacere o da sfruttare (come l’uomo, che nella società ultracapitalista è visto solo come un lavoratore-consumatore). La dignità della donna (e dell’uomo) viene violata in vari modi e la propaganda è talmente forte da convincerla di essere “libera”, ma che libertà è quella di essere un oggetto? 

In questi mesi ci sono state proteste in Iran per la vicenda di Masha Amini, donna iraniana curda che sarebbe stata “picchiata e uccisa perché indossava il velo male”, mentre in Italia fa discutere il caso di Alessia Piperno, italiana detenuta nel carcere di Evin a Teheran. Cosa sappiamo veramente delle vicende? Cosa non torna?

Per quanto riguarda Mahsa Amini, è svenuta all’interno di una stazione di polizia e, dopo essere stata portata in ospedale, è deceduta. I media mainstream hanno subito accusato la polizia iraniana di aver picchiato la ragazza, la quale, secondo loro, sarebbe morta a causa delle percosse, tuttavia non ci sono prove al riguardo, anzi, le telecamere a circuito chiuso mostrano che la ragazza sviene e viene soccorsa dagli agenti di polizia e poi dai paramedici. Il referto medico pubblicato dai funzionari iraniani documenta che Mahsa Amini subì un intervento chirurgico al cervello al Milad Hospital di Teheran nel 2007, quando aveva otto anni. Dopo l’operazione, iniziò ad avere problemi all’ipotalamo. Il referto riporta che il 13 settembre 2022, alle 19:56, ha perso conoscenza ed è caduta a terra. A causa della sua precedente malattia, aveva la pressione bassa e, pur avendole praticato la respirazione artificiale nei primi minuti, le è mancato l’ossigeno e ha subito danni cerebrali. Nonostante il ritorno dell’attività cardiaca e nonostante il suo trasferimento in ospedale e gli sforzi profusi dal personale medico dell’ospedale “Kosra”, le conseguenze della mancanza di ossigeno hanno portato al decesso della signora Amini il 16 settembre 2022.

Secondo i documenti medici rilasciati dall’ospedale, i risultati delle TAC, degli esami e dell’autopsia, la signora Mahsa Amini non è morta a causa di lesioni alla testa o a qualsiasi altra parte del suo corpo. Questa quindi la versione ufficiale dell’Iran. Ovviamente qualcuno potrebbe mettere in dubbio questa versione, anche se l’Iran, essendo sotto forte pressione mediatica, non ha alcun motivo per mentire. E in ogni caso non si capisce perché dovremmo invece fidarci della propaganda mediatica, considerato che abbiamo già sperimentato l’inganno dei canali mainstream con la Libia, l’Iraq e la Siria.

Quindi abbiamo prima di tutto un problema di propaganda mediatica, si può accusare uno Stato o un’istituzione di qualcosa senza fornire delle prove: pseudo associazioni per i diritti umani con il sostegno di canali come il canale saudita Iran International o la BBC in lingua persiana (non proprio quindi canali di informazione imparziali per quanto concerne l’Iran) accusano la polizia iraniana di aver picchiato una ragazza causandone la morte. Ribadiamo: niente prove, anzi ci sono filmati che dimostrano il contrario, eppure tutti i media mainstream riprendono la notizia come se fosse rivelazione divina.

Per quanto riguarda Alessia Piperno – rilasciata alcune settimane fa – lei stessa ha dichiarato di essere stata trattata bene durante la sua prigionia (pensiamo a tutte le notizie false che in precedenza erano state pubblicate sui giornali media mainstream, arrivando addirittura a sostenere che corresse il rischio di essere stuprata). Tuttavia dopo il suo rilascio ha iniziato a pubblicare alcune notizie false sull’Iran, come per esempio il fatto che una sua compagna di cella fosse stata condannata a morte, quando invece non è ancora stata emessa alcuna sentenza su di lei. Purtroppo di nuovo emergono la profonda disinformazione sull’Iran e l’inaffidabilità e la mancata imparzialità delle fonti dei media mainstream.

Come leggi queste ondate di proteste in Iran in questi giorni? Credi che ci sia anche un attore esterno?

Sicuramente ci sono attori esterni, John Bolton ha ammesso che i rivoltosi vengono armati attraverso alcuni contatti in Iraq, vari carichi di armi illegali sono stati sequestrati dalle forze di sicurezza iraniane, tra coloro che manifestavano sono stati arrestati individui affiliati all’Isis o ai gruppi separatisti. È chiaro, quindi, che se da una parte vi sono proteste pacifiche, come avviene normalmente perché non è che in Iran sia vietato protestare o manifestare, dall’altra vi sono forze che stanno cercando di approfittare di queste proteste per trasformarle in scontri violenti e in tal modo destabilizzare l’Iran, come già avevano cercato di fare con la Siria.

Per quale motivo l’Iran viene allora definito dalla comunità internazionale come “Stato canaglia”? Per quale motivo l’Occidente minaccia da anni venti di guerra all’Iran? Quali interessi economici e geopolitici sono presenti? Credi che l’iranofobia veicolata nei media mainstream sia funzionale alla costruzione del “nemico necessario”?

L’Iran è circondato da Paesi come Turchia, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Oman, Emirati Arabi, Afghanistan, Pakistan, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Kirghizistan che presentano basi militari USA. L’Iran si trova in Medioriente e sia il Paese stesso sia la regione in cui si trova sono luoghi ricchi di risorse e culla di grandi civiltà: tutto questo, all’Occidente senza identità e senza cultura, a cui interessa solo il lavoratore-consumatore, non piace, per questo motivo le forze imperialiste cercano di mantenere uno stato di eterna destabilizzazione in Medioriente, per poter rubare le risorse e distruggere le identità dei popoli. L’Iran, con la Rivoluzione Islamica del 1979, che è stata una rivoluzione popolare e identitaria in cui il popolo si è opposto alle politiche imperialiste e all’occidentalizzazione forzata, è diventato uno Stato indipendente e libero, che da quarant’anni cerca di ridare vita ai valori religiosi e culturali, e inoltre sostiene anche gli altri popoli che cercano di liberarsi dal giogo delle forze imperialiste, e questo ovviamente non piace all’Occidente, per questo motivo, attraverso una pesante propaganda mediatica, che secondo me a questi livelli non ha precedenti, presenta l’Iran come uno Stato canaglia, e attraverso notizie false alimenta l’iranofobia.

Hanieh Tarkian, iraniana esponente del femminismo islamico.


[1] https://islamshia.org/dottoresse-iraniane-scrivono-allassociazione-italiana-donne-medico/

[2] Groznyj, capoluogo della Cecenia, nel 2016 ha ospitato la Conferenza Islamica Mondiale in cui si sono incontrati alcuni influenti esponenti dell’Islam sunnita provenienti da oltre 30 diversi Paesi. Il tema della Conferenza era “Che cosa si intende per comunità sunnita? Dichiarazione e descrizione della metodologia della comunità sunnita dal punto di vista del credo, del diritto e della condotta e delle reali conseguenze della devianza”. La Dichiarazione di Groznyj ha stabilito che il salafismo ed il wahhabismo non sono dottrine sunnite (e quindi non hanbalite), nel qual caso queste sarebbero classificate frange kharigite. https://sufi.it/islam/dichiarazione-di-grozny-sullidentita-sunnita/

[3] https://lavocedinewyork.com/lifestyles/2016/03/29/a-tu-per-tu-con-islam-in-italia-su-isis-e-terrorismo/

[4] L’operato dei gruppi di estrazione wahabita e salafita, classificati da vari studiosi come salafiti-takfiristiche sostengono il Jihādismo, è considerato del tutto estraneo alla tradizione giuridica islamica fondata sulla Sharīʿa, consolidatasi in oltre 14 secoli di storia. Il takfirismo è stato classificato dagli studiosi del pensiero e del diritto islamico come una violenta e aberrante pratica, germinata dal movimento salafita. Questa forma di Fondamentalismo islamico non genera di per sé violenza e terrorismo ma costituisce un “brodo di coltura” per il radicalismo armato jihādista. I takfīrī, per canto loro, considerano gli atti di violenza da loro espressi come una forma legittima di jihād, utile al raggiungimento dei loro scopi religiosi o politici.

[5] Vincenzo Oliveti, Terror’s source: the ideology of Wahhabi-Salafism and its consequencesBirmingham, Amadeus Books, 2002, p. 45