Iran, Israele, Libano e Italia…

Da www.ilmanifesto.it del 1° settembre.

l’opinione
Iran, no al gioco pericoloso dell’opzione militare
Tana de Zulueta *
Nel momento più difficile del tormentato rapporto tra l’Iran e l’Occidente l’Italia chiede, anzi, rivendica il diritto di partecipare al negoziato sul nucleare iraniano. Questo negoziato è nelle mani dei «cinque più uno»: i paesi membri del Consiglio di scurezza dell’Onu più la Germania. E’ una richiesta ragionevole, quella formulata da Massimo D’Alema, o ci siamo montati la testa? E’ forse ebbrezza da nuova gloria internazionale, dopo i riconoscimenti di George W. Bush, Kofi Annan e mezza stampa mondiale per il nostro protagonismo europeo e il corraggio mostrato in Libano?
Non credo. Partecipare al quadro di attività diplomatica entro il quale si svolge la missione militare nel Libano vuole dire contribuire alla costruzione di un quadro di sicurezza e alla prospettiva di pace che sono le vere finalità di questa operazione. La missione è partita nella piena consapevolezza di tutte le parti dell’immensa fragilità della tregua in atto. I soldati israeliani sono tuttora dispiegati in territorio libanese, dove sono anche presenti i miliziani di Hezbollah. Israele mantiene per ora un pesante blocco aereo e navale contro il Libano, mentre la Siria mette in guardia contro qualsiasi tentativo di estendere il controllo dell’Onu fino alle proprie frontiere. Il cessate il fuoco è già stato violato (incursioni e cannonate da parte israeliana). Per ora Hezbollah ha dichiarato che non intende rispondere, per non «mettere in difficoltà» l’esercito libanese. Nessun particolare riguardo viene annunciato nei confronti delle Nazioni unite.
Dati i stretti rapporti tra Siria, Iran e Hezbollah è ragionevole non rilasciare deleghe in bianco. Non risulta una posizione comune dell’Europa della quale i tre paesi dell’Unione impegnati nel delicato negoziato con l’Iran si sarebbero fatti carico. E’ giusto, dunque, che chi, come l’Italia, è esposto in prima fila nel teatro libanese, possa contribuire al negoziato iraniano. Prendendo atto, però, che questo è arrivato a un punto critico, se non di rottura.
Che fare? Gli Stati uniti spingono per l’imposizione di sanzioni nei confronti dell’Iran, presumibilmente bloccando la possibilità di ottenere visti per i cittadini iraniani coinvolti nel programma nucleare di quel paese, nonché un embargo alla vendita di merci utilizzabili nel contesto di quel programma. Funzionerebbe? Guardando al passato chi conosce l’Iran pensa di no: 27 anni di sanzioni statunitensi non hanno minimamente inciso sulle politiche di successivi governi iraniani. Intanto Russia e Cina, gli altri due componenti del Consiglio, hanno già fatto capire che non condividono l’idea di imporre sanzioni.
Questo scontro, se scontro ci sarà, avviene in un momento molto delicato e di forte tensione nel mondo musulmano. L’Iran è uscito rafforzato dalla guerra in Libano, tanto da rivendicare come propri i successi militari di Hezbollah nel tenere testa all’esercito israeliano, il più potente in Medioriente. Da che deriva tanta sicurezza? Oltre al lievitare del prezzo del petrolio, che ha gonfiato le entrate dello stato iraniano, l’Iran si trova oggi in una posizione di straordinario vantaggio nello scacchiere mediorientale e asiatico. Una posizione a cui hanno contribuito in modo determinante proprio gli Stati uniti con quella «guerra al terrore» di cui, in un certo senso, l’Iran poteva essere ritenuto bersaglio potenziale. Questa è la conclusione del britannico Royal institute of international affairs, meglio noto come Chatham House, nel rapporto intitolato «L’Iran, i suoi vicini e le crisi regionali», pubblicato il 23 agosto. Un vantaggio che l’America ha paradossalmente regalato a un paese che riteneva ostile, eliminando, con l’aiuto dei suoi alleati, due regimi rivali e confinanti dell’Iran: i talebani e Saddam Hussein. Oggi, conclude il rapporto, l’Iran è troppo importante politicamente, economicamente, culturalmente e per motivi religiosi per non pesare in modo determinante sulla propria regione.
Infine il rapporto tocca ma non risponde alla domanda più scottante del giorno: gli Stati uniti sarebbero pronti a lanciare un’offensiva militare per impedire all’Iran di sviluppare la bomba atomica? Secondo il giornalista americano Seymour Hersh l’opzione militare contro l’Iran è stata non solo accarezzata ma anche preparata dall’amministrazione Bush, una tesi che ha illustrato con dovizia di dettagli sulla rivista New Yorker di aprile, e poi ripresa nell’edizione di questo mese. In quest’ottica l’atteggiamento comprensivo con cui gli Stati uniti hanno consentito a Israele di portare avanti un attacco in larga misura diretto alle infrastrutture civili libanesi, a cominciare dall’aeroporto e dalle centrali elettriche, potrebbe essere visto come prova generale di un futuro attacco all’Iran. Gli israeliani negano, dicendo che il loro obiettivo era colpire i rifornimenti di Hezbollah.
Il dibattito, intanto, ha portato a galla una curiosa e inconsapevole conferma dei giochi pericolosi che sarebbero in corso nei confronti dell’Iran: commentando il rapporto di Chatham House in un’intervista alla radio della Bbc Edward Luttwak, oggi consulente del Pentagono, ha tentato di ridimensionare la potenza crescente dell’Iran, facendo presente i numerosi problemi interni di quel paese, a cominciare dalle rivendicazioni nazionaliste di «gruppi etnici» come, per esempio, gli Azeri. Né Chatham House né la nostra diplomazia danno conto di un specifico problema «etnico» in Iran, ma la citazione degli Azeri forse non è casuale: già alla fine dell’anno scorso, scrive Hersh, un consulente governativo gli confidava che organici delle forze speciali americane erano stati infiltrati in Iran dove avevano contattato e pagato minoranze locali, compresi gli Azeri, con lo scopo di «incoraggiare tensioni etniche».
Non ce ne doveva essere bisogno, ma secondo Hersh, l’insuccesso soprattutto politico della devastante campagna aerea di Israele in Libano, che ha unito la popolazione e rafforzato il prestigio di Hezbollah, avrebbe raffreddato gli spiriti più bollenti di Washington, sconsigliando l’ipotesi del ricorso a un attacco aereo simile in Iran. Anche Chatham House elenca, con puntigliosa sobrietà, le conseguenze sicuramente catastrofiche di un eventuale ricorso «all’opzione militare». A un futuro negoziatore italiano in Iran, sperando che ci sarà, lascio il commento conclusivo dell’esperto mediorentale dell’istituto, Ali Ansari: «La politica dell’Occidente verso il Medioriente è stata fin qui assolutamente priva di immaginazione. Ci sono un’infinità di oppportunità tra l’abbandono e l’azione militare, tutte da esplorare».
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deputata eletta nella lista dei Verdi

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