Israele, America e la crisi dell’accordo nucleare iraniano

MEMO. Il governo israeliano si sta preparando per una nuova fase di relazioni con l’America sotto la nuova amministrazione statunitense guidata da Joe Biden. Una nuova fase che non sarà priva di disaccordi e contraddizioni, a differenza degli ultimi quattro anni del mandato di Donald Trump, che ha fatto tutto il possibile per soddisfare l’estrema destra israeliana guidata dal primo ministro Benjamin Netanyahu.

Un elemento di disaccordo con la nuova amministrazione riguarderà sicuramente il concetto di interessi israeliani, e non sarà quindi legato ad alcuna posizione degli Stati Uniti contro Israele. Le amministrazioni statunitensi sono, infatti, generalmente desiderose di garantire che gli interessi politici, economici e di sicurezza israeliani siano presi in considerazione e che l’egemonia dello Stato occupante nella regione sia mantenuta intatta. Considerando la forte alleanza tra i due Paesi, la tutela degli interessi israeliani costituirebbe senza dubbio un beneficio anche per gli Stati Uniti.

Le differenze tra Stati Uniti e Israele sono evidenti nelle posizioni dell’amministrazione Biden e del governo Netanyahu su due questioni principali. Il primo riguarda la soluzione a due stati e l’apparente opposizione di Biden all’imposizione unilaterale sul terreno da parte di Israele nei Territori palestinesi occupati, nonché alla costruzione di insediamenti e a qualsiasi cambiamento legale dello status di questi territori che rappresenterebbe una minaccia per i “due stati”. Questa posizione è accettata anche dalla maggioranza degli ebrei americani, poiché credono che sia nell’interesse di Israele e preservi il suo status di solida maggioranza ebraica con un sistema democratico. Questo è un requisito importante per mantenere il supporto e le alleanze occidentali.

La seconda questione è l’accordo nucleare con l’Iran, che secondo Israele sta cercando di sviluppare testate nucleari per i suoi sistemi missilistici di precisione, minacciando così il vantaggio militare di Israele nella regione. Al momento Israele è l’unico Stato nella regione in possesso di armi di distruzione di massa e missili a lungo raggio, e vuole mantenere intatto tale privilegio.

Il disaccordo con gli Stati Uniti su questo tema non è legato all’obiettivo, ma piuttosto alle modalità con cui raggiungerlo, poiché Israele ritiene che l’accordo nucleare del 2015 (JCPOA) dia all’Iran ciò che vuole revocando le sanzioni e mettendo a disposizione fondi che garantiscono la continuazione dei suoi programmi di armamento, compreso lo sviluppo dei suoi sistemi missilistici. Inoltre, il JCPOA scade dopo quindici anni e a quel punto l’Iran sarà libero di attivare il suo programma nucleare militare che, secondo Israele, non si è mai fermato, ma è in corso lontano dagli occhi e dalla supervisione internazionale. Sebbene Trump abbia escluso gli Stati Uniti dall’accordo nel 2018, la nuova amministrazione ritiene che sia l’unico modo per impedire all’Iran di sviluppare un programma nucleare. Non vede i missili iraniani come un problema urgente, nonostante voglia discutere la questione con Teheran e limitare le sue capacità.

Israele, nel frattempo, vuole porre fine al programma nucleare iraniano inasprendo le sanzioni economiche contro Teheran, che dovrebbero impedirgli di investire nella produzione e nello sviluppo di missili. Israele non esclude l’uso della forza, ovvero la distruzione degli impianti nucleari iraniani. Il ritiro di Trump dall’accordo nucleare è avvenuto sotto pressione israeliana, così come la successiva re-imposizione delle sanzioni. Gli israeliani sono andati oltre e non hanno semplicemente sabotato gli impianti nucleari iraniani, ma si ritiene che siano anche dietro l’assassinio di un certo numero di esperti nucleari iraniani, tra cui si il padre del programma nucleare, Mohsen Fakhrizadeh.

Con Biden propenso a riportare gli Stati Uniti all’accordo nucleare, Israele sente di avere le mani legate. Potrebbe rivolgersi ai suoi nuovi migliori amici nel mondo arabo per chiedere aiuto a fare pressione su Washington su questo tema, dato che la normalizzazione con i Paesi arabi mira, tra le altre cose, a costruire un fronte contro l’Iran. Gli Stati del Golfo considerano infatti l’Iran una grave minaccia alla loro sicurezza e stabilità, quindi i loro interessi convergono con quelli di Israele.

Tuttavia, cercare di ottenere la pressione araba sugli Stati Uniti è difficile per molte ragioni, incluso il fatto che alcuni Paesi arabi hanno legato i propri interessi all’amministrazione Trump, oscurando in questo modo alcuni problemi, in particolare il loro spaventoso record di diritti umani. Con Joe Biden alla Casa Bianca, questi Paesi si trovano in una posizione più debole e dovranno migliorare i rapporti con la nuova amministrazione prima di poter esercitare qualsiasi tipo di pressione.

Ci sono inoltre alcune divergenze tra gli stessi Paesi arabi per quanto riguarda il rapporto con l’Iran. Infatti, non tutti gli Stati del Golfo adottano lo stesso approccio, con Oman e Qatar che hanno relazioni molto strette con Teheran. Anche gli Emirati Arabi Uniti hanno una sorta di cooperazione economica e di sicurezza con l’Iran. Dopo la riconciliazione tra gli Stati dell’embargo – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto – e l’obiettivo del loro blocco, il Qatar, quest’ultimo ha suggerito di avviare un dialogo con l’Iran per migliorare le relazioni. Se ciò accadesse, Israele potrebbe trovarsi isolato in qualsiasi confronto con l’Iran, anche se riuscisse a ottenere il sostegno di alcuni Paesi arabi contro i progetti iraniani nella regione.

Alla luce delle divergenze con Biden sul programma nucleare iraniano e dei continui tentativi di Israele di influenzare la posizione degli Stati Uniti, quali sono le opzioni dello Stato occupante se gli Stati Uniti si unissero al JCPOA (opzione molto probabile)? Israele non sarà forse in grado di effettuare un attacco su larga scala contro l’Iran per distruggere i suoi impianti nucleari e siti missilistici, ma credo che continuerà a sabotare il programma di sviluppo nucleare di Teheran in un modo o nell’altro.

Traduzione per InfoPal di Sara Zuccante