Israele è da considerarsi simbolicamente sconfitta a Gaza.

PressTv. Mentre l’assediata Gaza veniva nuovamente sottoposta alla pioggia di bombe israeliane ed innocenti donne e bambini divenivano gli obiettivi designati dei missili, il presidente Barack Obama, insieme al segretario di stato Hillary Clinton, era impegnato in un tour nel sud-est asiatico al fine di visitare un certo numero di Paesi, incluso il Myanmar, terra delle pagode e delle giungle, una nazione dall’enorme tasso di povertà che ha recentemente subìto un atto di vera e propria pulizia etnica condotto, con l’avallo dello stato, ai danni della comunità musulmana nella regione del Rakhine.

Obama si è vantato di essere il primo presidente americano in carica ad avere visitato il Myanmar, ponendosi come obiettivo il consolidamento degli importanti cambiamenti cui il Paese asiatico è andato incontro negli ultimi anni. Con la promessa di un sostanzioso aiuto economico, Obama ha ribadito l’impegno a “sostenere il Myanmar affinché possa procedere sulla via di tali trasformazioni”.

Molti hanno tuttavia non hanno risparmiato cinismo e critiche nei confronti della visita presidenziale nell’ex Birmania, sottolineando come tale iniziativa abbia di fatto conferito un riconoscimento troppo prematuro ad un Paese che ancora incarcera i dissidenti politici e perseguita la minoranza musulmana.

I detrattori di tale visita sostengono che essa in realtà rappresenti un atto di approvazione statunitense al dispotismo che caratterizza il regime in Myanmar.

Il Paese asiatico non riconosce il diritto di cittadinanza a coloro che professano la religione islamica, la comunità denominata “Rohingya”, ritenendo necessario il loro espatrio verso altre nazioni.

Il governo ha sistematicamente perseguitato i musulmani Rohingya per anni, privandoli dei diritti umani fondamentali ed uccidendoli durante le manifestazioni da essi organizzate negli ultimi mesi.

Chi scrive era realmente convinto che la visita di Obama potesse fare luce sull’oppressione  della minoranza musulmana del Myanmar. E’ dunque con grande senso di delusione e vergogna che mi sono reso conto di come Obama si sia limitato ad un fugace riferimento a tali sofferenze, prodigandosi invece nel proporre la propria amicizia al leader birmano Thein Sein, recandosi poi all’abitazione dell’esponente di maggior spicco dell’opposizione, Daw Aung San Suu Kiy, la cui azione di protesta tesa alla liberazione del proprio Paese è stata adombrata dalla carneficina perpetrata ai danni dei musulmani.

L’apartheid non sopravvive solamente in Myanmar, risulta anzi persino più evidente a Gaza, che l’assedio cui è sottoposta ha trasformato nella prigione più grande al mondo.

Il presidente egiziano Mohamed Morsi ha manifestato il pieno appoggio del suo Paese agli inermi cittadini di Gaza, criticando aspramente gli attacchi israeliani e provocando l’ira di Washington, fino ad allora convinta che l’Egitto potesse avere un ruolo fondamentale nel processo di pace tra le due parti in conflitto. I diplomatici statunitensi avevano invitato Morsi ad evitare di schierarsi apertamente, auspicando addirittura l’istituzione di una tregua tra l’Egitto ed Israele. Il presidente egiziano si trova di fronte ad un bivio: sostenere Gaza o seguire le direttive di Washington. Chiaro che se dovesse proseguire sulla via della prima ipotesi, l’Egitto pagherebbe un prezzo altissimo, non potendo più accedere agli aiuti economici promessi dagli Stati Uniti.

La senatrice americana Lindsey Graham, esponente di spicco dei conservatori, ha ammonito l’Egitto affinché “stia ben attento a cosa fa e a come lo fa..” poiché “incitando alla prosecuzione delle violenze tra palestinesi e israeliani sta facendo seriamente traballare la possibilità di ricevere gli aiuti pattuiti”.

Israele ha bombardato per ben 1500 volte Gaza nell’ultima settimana mentre i palestinesi hanno concentrato i loro attacchi missilistici sulle città israeliane meridionali di Nirim, Ein Hashlosha e Ashdod, oltre al sud della regione di Eshkol. Oltre 130 (bilancio da aggiornare, ndr) palestinesi hanno trovato la morte a causa degli attacchi israeliani, mentre più di mille sono rimasti feriti.

L’invasione di Gaza è stata un errore madornale e segnerà definitivamente l’immagine del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, sebbene ci siano ancora persone convinte che tale prova di forza vada valutata sulla lunga distanza, non escludendo che possa addirittura tornare a vantaggio dello stesso bellicoso premier. Il pesante numero di vittime registrate tra donne e bambini non avrà altro effetto che quello di aggravare ulteriormente la posizione di Israele e la sua manifesta avversione per il mondo musulmano in generale.

Va però segnalata una lodevole iniziativa: quella di un centinaio di intellettuali israeliani che hanno deciso di sottoscrivere una petizione al fine di richiedere l’istituzione di un cessate-il-fuoco a lungo termine con i vertici di Hamas. Chiamata “dobbiamo parlare”, la petizione pone la necessità di un dialogo diretto o mediato da organismi internazionali poiché “i residenti del sud di Israele, così come quelli di Gaza, hanno tutto il diritto di guardare al cielo con speranza e non con paura”.

Commettendo un enorme errore di strategia, Israele ha sferrato attacchi missilistici sull’enclave, convinta che Hamas sarebbe presto rimasta a corto di munizioni e provviste e contando perciò su una facile resa della città di Gaza. Gli eventi non hanno però confermato le loro aspettative e persino l’impenetrabile Iron Dome si è rivelato incapace di respingere il sostenuto lancio di missili iraniani da parte dei palestinesi.

Preso atto del fallimento dell’azione, Israele è precipitosamente ricorsa al supporto di Capitol Hill, spingendo per l’istituzione di una tregua a vantaggio di Tel Aviv. A tal proposito il segretario di stato Clinton si è recata a Gerusalemme, Ramallah ed al Cairo, con l’obiettivo di porre fine al conflitto il più presto possibile. Una fonte israeliana ha riportato che Netanyahu avrebbe incontrato Clinton nella giornata di mercoledì.

Un portavoce del Dipartimento di Stato americano ha dichiarato che “la visita del segretario incrementerà la collaborazione degli Stati Uniti con le autorità della regione – in particolare il riferimento è alle consultazioni di Obama con Netanyahu e Morsi – al fine di far cessare le violenze tramite la stipulazione di un accordo a lungo termine che possa ricondurre l’area alla tranquillità”.

Inutile dire che la tregua proposta da Washington e da alcuni Paesi mediorientali come Qatar, Turchia e Arabia Saudita non assicurerà in alcun modo il godimento dei fondamentali diritti umani ai cittadini di Gaza e che non includerà alcuna garanzia sul fatto che Israele nel futuro non torni a percorrere la sanguinosa via della distruzione.