Israele e il regime di Apartheid

InfoPal. A cura di Angela Lano.

Israele è un regime di Apartheid. Lo è dall’inizio della sua istituzione, nel 1948, avvenuta a seguito di attacchi terroristici, guerra e pulizia etnica. Tutto ciò è documentato da storici e studiosi internazionali, dalle risoluzioni ONU, da ricerche condotte da Amnesty International, e da tante altre organizzazioni, israeliane comprese.

Uccisioni illegali, arresti arbitrari, torture e punizioni collettive, distruzione di case, sono la realtà giornaliera vissuta dai palestinesi nel regime di Apartheid israeliano.

Quando pensiamo al sistema razziale dell’Apartheid, ci ricordiamo del Sudafrica di Nelson Mandela, o degli Stati Uniti di Rosa Parks…, ma molta parte della cosiddetta comunità internazionale, cioè quel vago e anonimo pubblico dei mass-media, ancora crede alla propaganda (hasbara) di “Israele-unica democrazia del Medio Oriente”, e fa fatica ad accettare, o proprio non accetta, l’idea che il regime di Tel Aviv basi le proprie politiche su razzismo, discriminazione e apartheid.

“L’Apartheid non è solo una reliquia del passato, è la realtà vissuta dai palestinesi in Israele e nei Territori palestinesi occupati (TPO), e lo è ancora oggi”, ha affermato Amnesty International a inizio febbraio.

In un rapporto pubblicato il 2/2/2022, Amnesty International (AI) ha etichettato Israele come uno stato d’Apartheid e di segregazione razziale: si tratta del rapporto di 280 pagine intitolato “L’Apartheid israeliano contro i palestinesi” (‘Israel’s Apartheid Against Palestinians: Cruel System of Domination and Crime Against Humanity). Esso evidenzia come Israele segreghi e controlli i Palestinesi per mantenere una egemonia ebraica.

Le sue conclusioni sono che lo stato d’occupazione ha imposto un “sistema di dominio crudele” e sta commettendo “crimini contro l’umanità”.

Un crimine contro l’umanità.

Nel suo rapporto, AI denuncia le detenzioni amministrative, l’esproprio di proprietà fondiarie e immobiliari, gli omicidi illegali, i trasferimenti forzati, le restrizioni agli spostamenti, gli ostacoli all’educazione e invita la Corte Penale Internazionale (CPI) a prendere in considerazione la definizione di crimine di apartheid nel quadro della sua attuale inchiesta nei TPO e chiede a tutti gli Stati di esercitare la competenza universale per portare davanti alla giustizia i responsabili dei crimini di apartheid.

Il rapporto chiede che Israele sia ritenuto responsabile per le sue pratiche contro i Palestinesi. Si legge che

sin dalla sua creazione, nel 1948, Israele ha messo in pratica una politica esplicita per stabilire e mantenere un’egemonia demografica ebraica.

Israele sta massimizzando il suo controllo sulla terra a beneficio degli ebrei israeliani, riducendo al minimo il numero di palestinesi, limitando i loro diritti e ostacolando la loro capacità di sfidare questa disposizione.

AI sostiene che quasi tutta l’amministrazione civile e le autorità militari israeliane sono coinvolte nell’applicazione del sistema d’Apartheid contro i palestinesi in Israele, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, così come “contro i rifugiati palestinesi e i loro discendenti al di fuori del territorio”.

Amnesty International si è anche soffermata sullo sfratto in corso dei beduini palestinesi dal Negev e sulle colonie e avamposti che si sono moltiplicati esponenzialmente sulla terra palestinese, e ha affermato che tutte le colonie “costituiscono un sistema e un crimine d’Apartheid”.

Un sistema in vigore dal 1948.

Il sistema di apartheid è nato con la creazione di Israele, nel maggio 1948, ed è stato costruito e mantenuto per decenni dai governi israeliani che si sono succeduti su tutto il territorio da loro controllato, indipendentemente dal partito politico al potere all’epoca. Israele ha sottoposto diversi gruppi di palestinesi a insiemi di leggi, di politiche e di pratiche discriminatorie e di esclusione in momenti diversi, in seguito alle conquiste territoriali realizzate prima nel 1948, poi nel 1967, quando annesse Gerusalemme est e occupò il resto della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

Nel corso dei decenni le preoccupazioni demografiche e geopolitiche israeliane hanno plasmato le politiche nei confronti dei palestinesi in ognuno di questi contesti territoriali.

Anche se il sistema di apartheid di Israele si manifesta in modi diversi nelle differenti zone sotto il suo controllo effettivo, esso ha sempre lo stesso obiettivo di opprimere e dominare i palestinesi a favore degli ebrei israeliani, che sono privilegiati dal diritto civile israeliano qualunque sia il loro luogo di residenza.

È concepito per conservare una schiacciante maggioranza ebraica che abbia accesso e abbia a disposizione il massimo di territorio e di terre acquisite o controllate, limitando nel contempo il diritto dei palestinesi a contestare la spoliazione delle proprie terre e dei propri beni.

Questo sistema è stato applicato ovunque Israele abbia esercitato un controllo effettivo su territori e terre o sull’esercizio dei diritti dei palestinesi. Si concretizza nel diritto, in politica e nella prassi e si riflette nei discorsi dello Stato dalla sua creazione fino ad oggi.

Discriminazione razziale e cittadinanza di serie B.

Le guerre del 1947-49 e del 1967, l’attuale regime militare di Israele nei TPO e la creazione dei regimi giuridici e amministrativi differenti sul territorio hanno isolato le comunità palestinesi e le hanno separate dalla popolazione ebraica israeliana.

Il popolo palestinese è stato frammentato geograficamente e politicamente e vive diversi livelli di discriminazione in base al suo status e al suo luogo di residenza.

Si tratta di un solo e unico sistema, fondato, secondo AI, sulla discriminazione razziale e su status di cittadini di serie B. Questa svalutazione si accompagna ovviamente alla spoliazione, e il rapporto torna sulla messa in atto di crudeli espropriazioni fondiarie su vasta scala contro la popolazione palestinese, e sulla demolizione dal 1948, di centinaia di case ed edifici palestinesi. Ricorda anche le famiglie dei quartieri palestinesi di Gerusalemme est vessate dai coloni che si appropriano delle loro abitazioni con il totale sostegno del governo israeliano.

Amnesty chiede a tutti i Paesi che intrattengono buoni rapporti con Israele “tra cui alcuni Paesi arabi e africani” di non sostenere più il sistema di Apartheid.

Per uscire da questo “sistema”, ormai documentato, la reazione internazionale di fronte all’Apartheid non deve più limitarsi a condanne generiche e a scappatoie. È necessario aggredire le radici del sistema, altrimenti le popolazioni palestinesi e israeliane resteranno imprigionate nel ciclo senza fine di violenze che ha annientato tante vite, ha sottolineato Agnès Callamard, rappresentante di AI, in occasione del lancio del rapporo.

Punti sintetici del rapporto AI.

Il rapporto spiega ciò che Amnesty intende per “sistema di Apartheid”.

  1. Cos’è l’Apartheid?

Una violazione del diritto internazionale pubblico, una grave violazione dei diritti umani protetti a livello internazionale e un crimine contro l’umanità ai sensi del diritto penale internazionale; l’intenzione di Israele di opprimere e dominare i palestinesi.

2.      Ambito geografico.

Il sistema di segregazione si estende oltre la (cosiddetta) Linea Verde fino alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza, che (Israele) ha occupato nel 1967.

3.    Trattamento dei palestinesi.

Israele dovrebbe essere etichettato come uno stato di apartheid perché i palestinesi sono trattati dallo stato israeliano in modo diverso in base al fatto che li considera come aventi uno status razziale arabo non ebraico.

4.    Frammentazione territoriale, segregazione, insediamenti ebraici.

A partire dal 1948, Israele ha perseguito una politica di frammentazione territoriale e segregazione legale.

Nel frattempo, i leader israeliani hanno scelto di privilegiare sistematicamente i cittadini ebrei, a livello di leggi e nella pratica attraverso la distribuzione di terra e risorse, con conseguente loro relativa ricchezza e benessere a spese dei palestinesi. Hanno costantemente ampliato gli insediamenti ebraici nei Territori palestinesi occupati in violazione del diritto internazionale.

5.    Segregazione legale.

Israele ha utilizzato il governo militare come strumento chiave per stabilire il suo sistema di oppressione e dominio sui palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde, applicandolo a diversi gruppi di palestinesi in Israele e ai TPO quasi ininterrottamente dal 1948.

Israele mantiene il suo sistema di frammentazione e segregazione attraverso diversi regimi legali che garantiscono la negazione della nazionalità e dello status ai palestinesi, violano il loro diritto al ricongiungimento familiare e al ritorno al loro Paese e alle loro case e limitano severamente la libertà di movimento in base allo status legale.

6.   Restrizioni ai movimenti e muro dell’apartheid.

Viene denunciato il sistema di chiusura imposto ai palestinesi all’interno dei Territori Occupati e tra i Territori Occupati e Israele, sottoponendo gradualmente milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e la Striscia di Gaza a restrizioni sempre più stringenti alla circolazione in base alle loro leggi. Queste restrizioni sono un altro strumento attraverso il quale Israele segrega i palestinesi in enclavi separate, li isola gli uni dagli altri e dal mondo e, alla fine, rafforza il suo dominio.

Il muro/recinto di 700 km, che Israele continua a costruire per lo più illegalmente su terra palestinese all’interno della Cisgiordania occupata, ha isolato 38 località palestinesi in Cisgiordania (…) e le ha intrappolate in enclavi conosciute come ‘seam zone.

7.   Diritti politici.

La versione israeliana della democrazia privilegia in modo schiacciante la partecipazione politica degli ebrei israeliani.

Le limitazioni al diritto dei cittadini palestinesi di Israele di partecipare alle elezioni sono accompagnate da altre violazioni dei loro diritti civili e politici che limitano la misura in cui possono partecipare alla vita politica e sociale di Israele. Ciò ha incluso il controllo razziale delle proteste, arresti arbitrari di massa e l’uso illegale della forza contro i manifestanti durante le manifestazioni contro la repressione israeliana sia in Israele che nei Territori Occupati.

8.   Espropriazione della terra palestinese.

Sin dalla sua creazione sulle rovine di città e villaggi palestinesi, lo stato israeliano ha imposto massicci e crudeli sequestri di terra per espropriare ed escludere i palestinesi dalle loro terre e dalle loro case.

Basti dire che nel 1948, individui e istituzioni ebraiche possedevano circa il 6,5% della Palestina mandataria, mentre i palestinesi possedevano circa il 90% della terra di proprietà privata. In poco più di 70 anni la situazione si è ribaltata.

Vengono menzionate anche le leggi e i regolamenti israeliani attualmente implementati dalle autorità israeliane per effettuare demolizioni di proprietà palestinesi a Gerusalemme est, inclusa la legge sulla proprietà degli assenti del 1950 e la legge sulle questioni amministrative.

9.   Crimini contro l’umanità.

Vengono analizzate tre grandi categorie di crimini contro l’umanità:

gli atti degradanti e inumani come proscritti, rispettivamente, dalla Convenzione sull’Apartheid e dallo Statuto di Roma.

1) trasferimento forzato di palestinesi: dal 1948 Israele ha demolito decine di migliaia di case palestinesi e altre proprietà in tutte le aree sotto la sua giurisdizione e il suo controllo effettivo.

2) detenzione amministrativa, della tortura e di altri maltrattamenti.

L’uso sistematico (della detenzione amministrativa) da parte di Israele contro i palestinesi indica che viene utilizzato per perseguitare i palestinesi, piuttosto che come misura di sicurezza straordinaria e selettiva.

I tribunali israeliani hanno ammesso le prove ottenute attraverso la tortura dei palestinesi, accettando la giustificazione della “necessità”. Indagini tempestive, approfondite e imparziali da parte delle autorità israeliane sulle accuse dei palestinesi di essere stati torturati sono estremamente rare, poiché danno di fatto l’avallo statale al crimine di tortura.

3) Condanna ferma delle uccisioni e dei ferimenti illegali di Israele, che sono stati perpetrati al di fuori del contesto del conflitto armato durante le attività delle forze dell’ordine israeliane negli OPT, e durante la repressione delle proteste, le campagne di arresto, l’applicazione di restrizioni di viaggio e di movimento, le irruzioni nelle abitazioni e le operazioni di ricerca.

10.   Raccomandazioni.

Amnesty afferma che smantellare questo crudele sistema di apartheid è essenziale per i milioni di palestinesi che continuano a vivere in Israele e negli OPT, così come per il ritorno dei profughi palestinesi che rimangono sfollati nei paesi vicini.

Evidenzia la necessità che la comunità internazionale cambi urgentemente e drasticamente il suo approccio al conflitto israelo-palestinese e riconosca l’intera portata dei crimini che Israele perpetra contro il popolo palestinese.

Invita direttamente gli Stati Uniti, l’Unione Europea e i suoi Stati membri e il Regno Unito a riconoscere che Israele sta commettendo il crimine di Apartheid e altri crimini internazionali, e a utilizzare tutti gli strumenti politici e diplomatici per garantire che le autorità israeliane attuino le raccomandazioni delineate in questo rapporto ed esaminino qualsiasi cooperazione e attività per garantire che queste non contribuiscano al mantenimento del sistema dell’Apartheid.

Infine, invita la Corte penale internazionale (CPI) a considerare l’applicabilità del crimine contro l’umanità dell’Apartheid nell’ambito della sua attuale indagine formale, e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad imporre sanzioni mirate, come il congelamento dei beni, contro funzionari israeliani maggiormente implicati nel crimine dell’Apartheid e un embargo globale sulle armi contro Israele.

(Sintesi da: https://www.palestinechronicle.com/ten-things-you-should-know-about-amnesty-international-report-on-apartheid-israel/)

Rifugiati palestinesi.

Ci sono quasi sei milioni di rifugiati palestinesi nel mondo. Sono i discendenti dei 750 mila palestinesi, musulmani e cristiani, non ebrei, che furono espulsi dalle loro case durante la creazione di Israele, in quello che gli storici considerano un atto di pulizia etnica. Israele ha ostacolato il loro ritorno in ogni occasione.

Sfidando il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite, che chiedono esplicitamente allo stato d’occupazione di permettere ai palestinesi di tornare alle loro case, nel 1950 Israele creò una “legge del ritorno”, una legge razzista che consente a ogni ebreo di stabilirsi nelle case dei palestinesi sfrattati, ma nega lo stesso diritto ai residenti nativi non ebrei che furono espulsi.

Rapporto di AI criticato come antisemita.

Il governo israeliano, insieme ad alcune lobby in Occidente, che per decenni hanno gelosamente custodito l’immagine dello stato d’occupazione come democrazia, ritenendola vitale per mantenere il sostegno di statunitensi ed europei, hanno deciso di criticare il rapporto come antisemita.

“Non abbiamo altra scelta che dire che l’intero rapporto è antisemita”, ha detto Lior Haiat, portavoce del ministero degli Esteri israeliano. “Respingiamo tutte le false accuse mosse da Amnesty International UK. Questo rapporto [è] una raccolta di bugie, è di parte ed è copia di altri rapporti di organizzazioni anti-israeliane”, ha aggiunto Haiat.

Rapporti di altre organizzazioni degli anni scorsi.

Due importanti organizzazioni per i diritti umani, Human Rights Watch e il gruppo israeliano B’Tselem, hanno pubblicato rapporti storici che etichettano Israele come uno stato d’Apartheid. Un altro gruppo israeliano per i diritti umani, Yesh Din, aveva iniziato a usare il termine nel 2020, anche se i palestinesi già da decenni descrivevano il sistema di dominio a cui sono sottoposti come una forma d’Apartheid.

I rapporti di Breaking The Silence e di altre Ong israeliane e palestinesi, hanno alimentato il lavoro dei ricercatori di Amnesty International.

Leader del movimento anti-Apartheid del Sud Africa, il defunto arcivescovo Desmond Tutu è stata una delle figure internazionali che in modo più acceso ha criticato l’Apartheid israeliano.

In Gaza Bantustan, l’apartheid nella Striscia di Gaza (“The Gaza Bantustan, Israeli Apartheid in the Gaza Strip”) di Al Mezan esamina il regime di apartheid imposto specificamente nella Striscia di Gaza, considerando come le restrizioni rendano Gaza una grande prigione a cielo aperto, un “bantustan”.

L’Apartheid israeliano contro i palestinesi: sistema crudele di dominio e crimine contro l’umanità (“The Gaza Bantustan, Israeli Apartheid in the Gaza Strip”) si concentra su come “la segregazione venga condotta in modo sistematico e altamente istituzionalizzato attraverso leggi, politiche e pratiche” imposte da Israele mentre nega ai palestinesi i loro diritti umani fondamentali.

In Una soglia superata: le autorità israeliane e i crimini dell’apartheid e di persecuzione (“A Threshold Crossed – Israeli Authorities and the Crimes of Apartheid and Persecution”), Human Rights Watch indaga sull’apartheid israeliano e sulla persecuzione contro il popolo palestinese e sulla politica sistematica di Israele di frammentazione del popolo palestinese mediante la quale mantiene il suo regime di apartheid.

Inoltre, Parere di esperti: Occupazione e proibizione dell’apartheid (“Expert Opinion: Occupation and the Prohibition of Apartheid”) di Diakonia fornisce uno studio sull’interazione tra il diritto internazionale umanitario dell’occupazione e il divieto di apartheid.

“Tutti questi rapporti indicano che Israele mantiene un sistema di oppressione, che viola il diritto internazionale e che equivale alla commissione del crimine di apartheid come definito sia nello Statuto di Roma che nella Convenzione sull’apartheid”, ha affermato Al-Haq.

Alla luce di queste conclusioni, molti dei rapporti hanno, inoltre, chiesto alla Corte penale internazionale di prendere in considerazione il crimine di Apartheid durante la sua attuale indagine sul Territorio palestinese occupato, oltre a richiedere agli stati di esercitare la giurisdizione universale per assicurare alla giustizia gli autori del crimine di Apartheid.

Israele lavora costantemente per tentare di mettere a tacere queste voci che riconoscono le diffuse e sistematiche violazioni contro il popolo palestinese. L’ultimo tentativo è stata la decisione del ministro della Difesa israeliano Benny Gantz nel definire sei eminenti organizzazioni palestinesi per i diritti umani come organizzazioni “terroristiche”, in seguito ai loro sforzi per portare le autorità israeliane davanti alla Corte penale internazionale.

Il 2/4/2022, Adalah, il Centro Legale per i Diritti delle minoranze arabe in Israele, ha invitato la Commissione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi occupati, inclusa Gerusalemme est e Israele (CoI-OPTI) a “indagare sulla Nakba e sull’ininterrotta esistenza di un regime coloniale con caratteristiche di apartheid”.

La Commissione ONU è stata, inoltre, sollecitata a indagare sulla “massiccia confisca di terre ai Palestinesi; il continuo divieto del ricongiungimento familiare palestinese; la discriminazione sistematica nella distribuzione delle risorse statali, che approfondisce il divario tra i cittadini ebrei e palestinesi di Israele; e le restrizioni alla partecipazione politica”.

Adalah ha messo in evidenza le leggi discriminatorie, come quella sullo stato-nazione ebraico, la legge sul ritorno e la legge sulla proprietà degli assenti.

Ci sono abbondanti prove che Israele persegue pratiche razziste contro tutti i Palestinesi sotto il suo controllo, pratiche contrarie alle norme del diritto internazionale che non hanno posto nel mondo. Ora che Israele ha sancito costituzionalmente la supremazia ebraica, secondo la legge dello stato-nazione ebraico, è un obbligo morale difendere i diritti umani di tutti i palestinesi, compresi quelli che hanno la cittadinanza israeliana.

Il CoI-OPTI è stato istituito dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU (HRC) con una risoluzione adottata il 27 maggio 2021, a seguito dell’assalto israeliano ai fedeli palestinesi durante il mese sacro musulmano del Ramadan, lo scorso anno, e dei suoi 11 giorni di bombardamenti sulla Striscia di Gaza, che hanno provocato 256 morti, dei quali 66 bambini e 40 donne (5 disabili).

Quest’ultima inchiesta differisce in modo significativo dalle precedenti commissioni indipendenti dell’ONU. In primo luogo, il suo mandato include gli OPT e Israele, che consentirà al CoI di dedicarsi alle violazioni dei diritti umani perpetrate contro i cittadini palestinesi di Israele.

In secondo luogo, l’indagine non è vincolata nel tempo: è un’indagine in corso che esaminerà tutti gli aspetti delle violazioni del diritto internazionale e umanitario da parte di Israele commesse prima e dopo il 13 aprile 2021.

In terzo luogo, l’HRC ha anche conferito alla commissione d’inchiesta un ampio mandato per esaminare tutte le cause profonde alla base delle tensioni ricorrenti, dell’instabilità e del protrarsi del conflitto, compresa la discriminazione e la repressione sistematiche basate sull’identità nazionale, etnica, razziale o religiosa.

A marzo 2022, il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi occupati, Michael Lynk, ha presentato un rapporto al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, concludendo che la situazione nella Palestina occupata equivale all’apartheid.

Il rapporto di Lynk analizza l’attuale situazione dei diritti umani nella Palestina occupata e rileva che ebrei israeliani e palestinesi vivono “sotto un unico regime che differenzia la sua distribuzione di diritti e benefici sulla base dell’identità nazionale ed etnica e che assicura la supremazia di un gruppo a scapito dell’altro”.

Il rapporto evidenzia come Israele “conferisca a un gruppo razziale etnico-nazionale sostanziali diritti, benefici e privilegi mentre sottopone, intenzionalmente, un altro gruppo a vivere dietro muri, posti di blocco e sotto un governo militare permanente, e conclude che questo “soddisfa lo standard probatorio prevalente per l’esistenza dell’Apartheid”.

Movimento anti-apartheid sudafricano.

Sempre a marzo 2022, durante il primo incontro della conferenza del Pan-African Palestine Solidarity Network (PAPSN) nella capitale senegalese, Dakar (10-12 marzo), attivisti della società civile di 21 Paesi dell’Africa si sono impegnati a intensificare la lotta contro le pratiche di apartheid di Israele verso il popolo palestinese; isolare Israele nello stesso modo in cui è stato sanzionato l’Apartheid in Sudafrica; lavorare per far revocare l’accreditamento di Israele all’Unione Africana.

I delegati rappresentavano organizzazioni e gruppi della società civile del Botswana, Camerun, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Gambia, Ghana, Guinea-Bissau, Kenya, Malawi, Mauritania, Marocco, Mozambico, Namibia, Nigeria, Senegal, Sudafrica, Sudan, Tanzania, Tunisia, Zambia e Zimbabwe.

(Il Senegal ha presieduto il Comitato speciale dell’ONU sull’Esercizio dei Diritti Inalienabili del Popolo Palestinese (CEIRPP) sin dal suo inizio, nel 1975).

I delegati hanno discusso su come Israele abbia minato il sostegno di lunga data dell’Africa alla lotta di liberazione palestinese fornendo armi, hardware militare e tecnologie di sorveglianza ai governi repressivi africani. In tal modo, ha contribuito a minare la democrazia e i diritti umani in Africa e ad alimentare la repressione, i colpi di stato e le guerre nel continente.

È stata anche esaminata l’inquietante influenza del sionismo cristiano – e il sostegno a Israele da parte di varie comunità cristiane e strutture ecclesiastiche che cercano di fornire una giustificazione teologica al crimine israeliano dell’Apartheid. I delegati si sono impegnati a combattere l’abuso del cristianesimo per giustificare l’apartheid e il colonialismo di Israele.

La conferenza ha anche affrontato il modo in cui Israele tenta di “ripulire” i suoi crimini di Apartheid attraverso la vendita di sistemi di irrigazione, acqua e tecnologia agricola ai paesi africani. Questi progetti sono insostenibili e dannosi per le comunità locali e i membri della PAPSN sono determinati a esporre l’impatto distruttivo di Israele sull’Africa.

Boicottaggi accademici.

A febbraio 2022, più di 220 accademici di 14 paesi dell’America Latina hanno rilasciato una dichiarazione congiunta sul loro boicottaggio delle istituzioni complici dell’Apartheid israeliano.

I firmatari si sono impegnati a rifiutare la partecipazione a scambi o collaborazioni accademiche e a rifiutare finanziamenti da istituzioni israeliane complici dell’Apartheid o provenienti direttamente dal governo israeliano.

Gli accademici hanno inoltre invitato le università latinoamericane a sospendere la cooperazione con le istituzioni israeliane complici del regime d’occupazione militare ed Apartheid, fino a quando Israele non rispetterà i diritti umani e politici del popolo palestinese, sanciti dalle Nazioni Unite.

Fonti: Amnesty: “L’Apartheid è una realtà attuale per i palestinesi”; Amnesty classifica Israele come stato d’Apartheid; Palestine Chronicle; Orient XXI; Zeitun.info; MEMO; Quds Press; Wafa.

Angela Lano è direttrice di InfoPal.it. Giornalista professionista e scrittrice, Ph.D in Studi africani e del Medio Oriente, post-dottoranda in Scienze delle Religioni.