Israele ha ucciso 20 giornalisti dal 2001, ma non è mai stato incriminato

Israele ha ucciso 20 giornalisti dal 2001, ma non è mai stato incriminato

Ramallah – MEMO. In occasione del primo anniversario dell’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Aqleh da parte di un cecchino israeliano, nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha dichiarato che la sua uccisione non è stata un caso isolato. Il rapporto del CPJ documenta 20 casi in cui l’esercito israeliano ha ucciso giornalisti nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, ma non ha mai assunto alcuna responsabilità, il che significa che nessuno è stato chiamato a rispondere delle proprie azioni.

Diverse agenzie di stampa statunitensi hanno condotto indagini indipendenti sull’uccisione di Abu Aqleh, tra cui il New York Times, il Washington Post e l’Associated Press, oltre al collettivo di ricerca olandese Bellingcat ed al CPJ. Tutti hanno concluso che il fuoco letale è stato aperto dall’esercito israeliano. La CNN ha trovato prove di un attacco deliberato, mentre il gruppo di ricerca Forensic Architecture con sede a Londra ed il gruppo per i diritti umani al-Haq a Ramallah hanno trovato prove che un soldato israeliano ha sparato ad Abu Aqleh e ai suoi colleghi con l’intenzione di ucciderli.

Secondo il corrispondente militare del Times of Israel, Amir Ben David, “mesi dopo la tragedia dell’uccisione di Shireen, l’inchiesta dell’esercito israeliano ha concluso che c’era una ‘alta probabilità’ che uno dei soldati le avesse sparato ‘per errore’ durante uno scontro a fuoco con i militanti palestinesi”.

In un rapporto tradotto da Arabi21, Ben David ha affermato che l’esercito israeliano ha ucciso 18 giornalisti palestinesi e corrispondenti esteri europei, senza processare nessun soldato o riconoscere la propria responsabilità per le morti. “L’esercito israeliano”, ha aggiunto, “sostiene costantemente che i suoi soldati sono sotto attacco e che gli spari mortali sono una rappresaglia […]. L’esercito non fornisce prove a supporto delle sue conclusioni. In alcuni casi, classifica i giornalisti come terroristi, ed in altri casi, l’uccisione dei giornalisti non viene affatto indagata”.

Il capo dell’Associazione della Stampa Estera in Israele, Guillaume Lavallee, ha sottolineato che “la maggior parte degli israeliani non si preoccupa della morte dei palestinesi, anche se sono giornalisti”. Questo ha creato un ambiente molto pericoloso per i corrispondenti locali e stranieri, molti dei quali temono di essere presi di mira dai soldati israeliani. “Se è possibile uccidere un giornalista con un passaporto americano, come Shireen, senza conseguenze legali, il resto dei giornalisti teme di poter facilmente incontrare la stessa sorte”.

Dopo l’attacco israeliano alla Freedom Flotilla nel 2010, durante il quale nove cittadini turchi furono uccisi a bordo della nave MV Mavi Marmara, il Procuratore Militare Capo dell’epoca, Avichai Mandelblit, si rese conto che stava emergendo un problema con la Corte Penale Internazionale (ICC) dell’Aia. Si temeva che alcuni israeliani, inclusi alti funzionari, potessero essere arrestati, motivo per cui fu istituita la Commissione Turkel e furono chiamati esperti di diritto internazionale dall’estero. “Israele era obbligato a rispettare gli standard internazionali”.

Quando Abu Aqleh fu uccisa, la pressione internazionale era intensa, quindi Israele non poteva adottare le solite strategie evasive. Ammise, con esitazione, che non fu intenzionale e si scusò. Tuttavia, nessuno è stato perseguito, perché non vi è alcun incentivo per nessuno in Israele ad essere processato per l’uccisione di un giornalista; una condanna rovinerebbe la loro vita. “Cinquanta occupazioni potrebbero essere chiuse per loro nella vita civile per 17 anni se fossero ritenuti colpevoli”.

Il rapporto del CPJ conferma che il prendere di mira giornalisti palestinesi e stranieri da parte di Israele è una strategia politica e di sicurezza attentamente calcolata che riflette la politica statale. Il rapporto completo può essere consultato qui.

(Foto: https://euromedmonitor.org/).