Israele – Palestina, ‘uno stato per tutti o un conflitto infinito’.

“Uno stato per tutti o un conflitto infinito”.

(La perdita dei territori da parte della Palestina dal 1946 al 2000)

di Khalid Amayreh

Palestine.info, 22 marzo 2010

Alcune voci prima riluttanti a Washington D.C. ora hanno finalmente ammesso che la persistenza della questione palestinese, che non è altro che il continuo sforzo israeliano di liquidare la causa palestinese passando attraverso la costruzione di insediamenti ebraici e il restringimento degli orizzonti palestinesi, è una minaccia per gli strategici interessi americani in terra musulmana.

Qualche settimana fa, il generale David Petraeus, il capo del commando centrale degli Stati Uniti in Afghanistan e Iraq, aveva espresso preoccupazione per la mancanza di progressi nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese.

Rese noto che era crescente tra i leaders arabi la percezione che gli Usa fossero incapaci di affrontare Israele, che quindi gli arabi stessero già perdendo fiducia nelle promesse americane e che l'intransigenza israeliana minacciasse la permanenza americana nella regione. Petraeus criticò anche la missione di George Mitchell, suggerendo che la diplomazia americana era “troppo vecchia, troppo lenta e troppo in ritardo”.

Petraeus non era l’unico a esprimere preoccupazione riguardo l’impatto di un continuo sostegno americano all’espansione territoriale israeliana nella sponda occidentale. Secondo il quotidiano israeliano Yediot Ahronot, la visita del vice presidente americano Joe Biden, ha finito per impegnarlo in uno scambio privato e duro con il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu. “Comincia a diventare pericoloso per noi. Ciò che state facendo qui mina la sicurezza del nostro esercito che sta lottando in Iraq, Pakistan e Afghanistan. Il che mette in pericolo non soltanto noi stessi, ma anche la pace della regione”.

Secondo il giornale israeliano, Biden ha continuato dicendo agli ospiti israeliani che “finché così tante persone nel mondo musulmano intravedono una connessione tra le azioni di Israele e la politica americana, qualunque decisione riguardante gli insediamenti che minacciano i diritti palestinesi a Gerusalemme est potrebbe avere un impatto sulla sicurezza personale dell’esercito americano, impegnato a combattere il terrorismo islamico”.

James Baker, il segretario di Stato americano durante la precedente amministrazione Bush, ha manifestato opinioni simili, sottolineando il pericolo per gli interessi americani qualora gli Stati Uniti continuassero a concedere carta bianca a Israele nel giudaizzare Gerusalemme est, costruendo case per gli ebrei e demolendo le abitazioni arabe nel cuore della città occupata e continuando a espandere le colonie ebraiche in Cisgiordania.

È comunque troppo presto per vedere se queste tardive, ma in qualche maniera incoraggianti, voci avranno un impatto concreto sulla politica americana nei confronti di Israele.

Nonostante ciò, considerati i precedenti, è più che logico presupporre che qualsiasi amministrazione americana preferirebbe schierarsi al fianco di Israele piuttosto che rischiare di perdere una pubblica e imbarazzante battaglia con i suoi sostenitori negli Stati Uniti. Di fatto, le prossime amministrazioni sarebbero propense per comportarsi come un sottomesso cagnolino nel vis-à-vis con Israele piuttosto che lottare per gli interessi americani.

E Obama non è un’eccezione…

Quando il presidente Obama fece il suo famoso discorso al Cairo il 2 giugno del 2009, molti nel Medioriente e oltre gli concessero il beneficio del dubbio. Tuttavia, da allora, ha dimostrato una sconcertante incapacità nel tenere a freno la criminalità israeliana e la feroce determinazione allo scopo di eliminare ogni possibilità di pace.

Di fatto, durante il primo periodo di Obama alla Casa Bianca, Israele ha realizzato una fenomenale espansione di insediamenti ebraici a Gerusalemme est, includendo l’intensificazione edilizia nel cuore dei sobborghi arabi come Silwan o Mukabber. Negli ultimi giorni, Israele ha inaugurato un’immensa sinagoga appena fuori dalla zona della moschea di Aqsa: il terreno sul quale la sinagoga è stata costruita apparteneva alla famiglia al-Bashiti di Gerusalemme est.

Allo stesso modo, Israele aveva annunciato il progetto di costruire migliaia di unità abitative soltanto per ebrei nella città occupata, durante l’amministrazione di Obama che si accontentava delle inutili dichiarazione sui danni che la continua espansione degli insediamenti arrecava al “processo di pace”.

L’annuncio è stato fatto durante la visita di Biden, a dimostrazione del fatto che Israele spera di confondere il suo custode-alleato, senza il cui aiuto e fanatico supporto, Israele sarebbe scomparso molto tempo fa.

Non c’è dubbio che le ultime “crisi” sulle situazioni negative che hanno accompagnato la visita di Biden non avranno alcun reale impatto sul comportamento di Israele, specialmente nei confronti dei palestinesi e del moribondo processo di pace che gli Stati Unti e i suoi alleati occidentali stanno ora cercando disperatamente di rianimare.

Netanyahu ha attualmente già dichiarato che il suo governo ignorerà ogni obiezione americana e riserva riguardo l’espansione degli insediamenti in Gerusalemme est. Altri funzionari israeliani sono andati persino un passo oltre attaccando l’irruenza del presidente Obama con uno dei funzionari israeliani suggerendo che “per ciò che ci riguarda, Obama e Clinton possono continuare ad abbaiare fino a quando lo desiderino, perché noi controlliamo il Congresso e abbiamo molti amici in America”.

Lo stesso cognato di Netanyahu accusò Obama di essere antisemita, dicendo che Israele non dovrebbe prestargli la minima attenzione perché in qualche anno sarà sicuramente dimenticato.

Sfortunatamente, sembra che queste arroganti dichiarazioni da parte di fanatici funzionari israeliani abbiamo più credibilità delle affermazioni apparentemente sdegnate di quelli americani come il segretario di stato Hilary Clinton.

Il Congresso, è risaputo, è un territorio occupato da Israele. I membri del Congresso, completamente asserviti al denaro ebraico-sionista, si sono trasformati da tempo immemorabile in prostitute politiche per Israele e per la causa israeliana tanto da far pensare che alcuni di loro sarebbero persino disposti a stare a fianco di Israele contro i vitali interessi americani.

Questo duraturo sostegno a Israele da parte del Congresso, indipendentemente da quello che fa o meno, ha sempre colpito e interrotto ogni serio sforzo americano per giungere a una equilibrata soluzione di pace in Medio Oriente. In realtà, cosa sarebbero pronti a cambiare gli israeliani, magari moderare i loro discorsi, quando praticamente ogni funzionario americano, senatore o uomo di Congresso che sia, visitando Israele si sforza di trovare nuove parole che dovrebbero soltanto comunicare la propria progressiva riduzione in schiavitù e profonda infatuazione per uno Stato che si differenzia molto poco, in sostanza, dalla Germania nazista?

Ed è improbabile che la situazione venga rettificata in un prossimo futuro a meno che non vi sia una serio risveglio a Washington, il che non accadrà a causa dell'immenso potere delle forze filo-israeliane e a causa della immensa debolezza e viltà di coloro che invocano un più onesto approccio americano verso la condizione palestinese, se non altro per preservare gli stessi interessi americani.

Ovviamente, entrambe le parti, per primo Israele e i sostenitori di un approccio equilibrato, sono ben consapevoli che Israele non vuole la pace, in particolare quella che lo avrebbe obbligato ad abbandonare il bottino della guerra del 1967. Ovviamente, uno stato i cui insediamenti sono stati costruiti su un territorio occupato per quasi 43 anni e che ha trasferito di centinaia di migliaia di suoi cittadini per farli vivere su un terreno che appartiene a un altro popolo, non ha la pace nel proprio elenco di priorità.

Quindi, è giunto il momento per gli Stati Uniti di comportarsi con un minimo di onestà, ammettendo che il cosiddetto processo di pace, andato avanti per oltre 18 anni, è un enorme fallimento, un fiasco gigantesco, un’eterna illusione.

Questo fatto, che nessun insieme di relazioni pubbliche isteriche riuscirà a rimuovere o addirittura nascondere come vorrebbe, dovrebbe essere evidente anche per palestinesi e per le leadership arabe che, allo stesso modo, continuano ingenuamente e stupidamente a farfugliare sulla soluzione dei due Stati, come se ci fosse ancora una reale opportunità di creazione di un vero e vitale, nonché territorialmente continuo, stato palestinese.

Ora la scelta è netta e chiara come sempre: quella tra uno stato per tutti o un aperto spargimento di sangue.

(Traduzione per Infopal a cura di Erica Celada)

 

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