Israele-Palestina: verso lo stato binazionale?

Riceviamo dal prof. M. Torri e pubblichiamo.
Cari amici,
    gli intellettuali e i politici palestinesi (insieme ad alcuni intellettuali israeliani "post-sionisti") stanno sempre più parlando del fallimento del progetto dei due stati (uno per gli ebrei, l’altro per i palestinesi). Qui di seguito vi mando un mio breve scritto sulla questione, di carattere meramente introduttivo. A breve, conto di mandarvi un paio di altre analisi, scritte da intellettuali palestinesi, sempre sulla questione.
    Buona lettura.
    Michelguglielmo Torri
 

Israele-Palestina: verso lo stato binazionale? 

A livello politico, l’attuale fase dei rapporti fra Israele e ANP (Autorità Nazionale Palestinese) è caratterizzata dalla trattativa inaugurata dalla conferenza di Annapolis dello scorso novembre. In quell’occasione, con la mediazione degli USA, Israele e l’ANP decisero di formare due delegazioni con il compito di raggiungere, entro la fine dell’anno in corso, un preaccordo sui maggiori problemi sul tappeto. Come in ogni precedente consimile occasione, però, la trattativa si è rivelata come il pretesto da parte di Israele per prendere tempo mentre, sul terreno, continua l’incessante processo di moltiplicazione e di espansione delle colonie israeliane in Cisgiordania. In questa situazione, il capo della delegazione palestinese, Ahmed Qureia, alias Abu Alaa, ha dichiarato, il 10 agosto, che se il processo di pace dovesse continuare a segnare il passo, i palestinesi potrebbero abbandonare la richiesta della formazione di un loro stato, sciogliere l’ANP e domandare la creazione di un unico stato democratico binazionale, che includa israeliani e palestinesi.

La dichiarazione di Qureia è stata letta e, probabilmente, era stata presentata come una minaccia nei confronti della controparte israeliana. Come notato dallo stesso Ehud Olmert, la scomparsa dell’ANP e la creazione di uno stato binazionale porrebbe Israele «di fronte ad una lotta di tipo sudafricano per l’ottenimento di uguali diritti di voto [da parte dei palestinesi], e, qualora questo accadesse lo stato di Israele sarebbe finito».

Sarebbe finito, ovviamente, perché Israele si troverebbe di fronte a due alternative, entrambe inaccettabili: la prima sarebbe quella di rivelarsi come uno stato apertamente razzista, sul tipo del Sudafrica dell’apartheid, dove diritti e doveri sono distribuiti in maniera diseguale su base razziale; la seconda, nel caso che si creasse un sistema autenticamente democratico, sarebbe la prospettiva che i palestinesi, che nel giro di un paio di decenni saranno diventati più numerosi degli ebrei israeliani, conquistino il potere per via democratica. Si tratta di un dilemma che è ormai chiaramente percepito dalla dirigenza israeliana, indipendentemente dal suo colore politico. È per questo che anche un super falco come Ariel Sharon aveva incominciato a parlare, all’inizio di questo decennio, della necessità di costruire uno stato palestinese. Il problema – allora come ora – è l’indisponibilità da parte degli israeliani di concedere il minimo necessario per arrivare ad un accordo con i palestinesi. Questo minimo è la costituzione di uno stato palestinese realmente indipendente sui territori occupati da Israele nel 1967, con Gerusalemme Est come capitale.

La dichiarazione di Qureia sullo stato binazionale può sembrare l’astuto espediente di uno sperimentato negoziatore per rilanciare una trattativa moribonda. Tuttavia, la proposta dello stato democratico binazionale è tutt’altro che un’improvvisazione; da tempo, infatti, numerosi intellettuali palestinesi, fra cui Omar Barghouti, e qualche intellettuale israeliano, fra cui Ilan Pappé, sostengono la necessità di abbandonare il progetto dei due stati per puntare a quello dello stato democratico unitario per israeliani e palestinesi. Un’idea, quest’ultima, che era già stata proposta da Edward Said nei suoi ultimi anni di vita. In effetti, a sette giorni di distanza dalla dichiarazione di Qureia, il 17 agosto, un gruppo di intellettuali e di politici palestinesi, raccolti nel Palestine Strategy Study Group, finalizzava e metteva a disposizione sul web un rapporto in inglese e in arabo, intitolato Regaining the Initiative: Palestinian Strategic Options to End Israeli Occupation. L’idea centrale del rapporto è la necessità di proporre ad Israele l’accettazione in tempi predefiniti della creazione di uno stato palestinese indipendente sui territori occupati da Israele nel 1967, con Gerusalemme Est come capitale. Se, però, la proposta non fosse accettata nei tempi previsti, il passo successivo sarebbe lo scioglimento dell’ANP e la richiesta del diritto di cittadinanza da parte dei palestinesi.

Questa seconda eventualità, sottolinea il rapporto, non rappresenta una minaccia, ma, in una situazione in cui è impossibile creare uno stato palestinese, la soluzione più equa, in effetti l’unica soluzione equa possibile, per entrambi i popoli.

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