Israele prende di mira gli attivisti stranieri. E spara

Ogni giorno che passa, Israele si afferma sempre di più come uno dei paesi più irrispettosi al mondo nei confronti dei diritti umani. Per i suoi alleati britannici e americani, questa potrebbe apparire come un'esagerazione grossolana; dopotutto, esistono numerosi paesi nel Terzo Mondo ben più dispotici, dalla fedina umanitaria molto più sporca. La domanda allora è: quanti di loro si auto-ritraggono come alleati democratici e avanzati, considerati parte del Primo Mondo e in possesso di un arsenale nucleare?

I fatti che si registrano nel sempre più insanguinato curriculum d'Israele sono ben documentati dalle organizzazioni umanitarie e dall'Onu, e parlano da soli.

Violazione dei diritti palestinesi

Alle vite dei palestinesi sembra che sia accordato poco, se non nessun valore da parte delle autorità israeliane. Innumerevoli indagini e report umanitari hanno dimostrato che minorenni palestinesi sono stati arrestati e hanno subito abusi nelle carceri israeliane; uomini e donne palestinesi di età avanzata vengono picchiati senza motivo; madri palestinesi vengono aggredite per la strada; uomini palestinesi vengono torturati e giustiziati, le case vengono distrutte; assedi illegittimi vengono imposti e costringono i bambini a morire per mancanza di accesso alle cure che salverebbero la loro vita, e così via… nulla viene fatto per fermare tutto questo.

La comunità internazionale ha l'obbligo morale e legale d'intervenire; eppure, non siamo ancora riusciti a farlo.

Una situazione così triste prosegue ormai da decenni, e non fa che peggiorare. Non sono però solo le vite palestinesi ad essere bersaglio degli abusi. Chiunque dimostri una qualsiasi inclinazione a favore del popolo palestinese ergendosi per i diritti umani viene a sua volta preso di mira, per semplice associazione d'idee. Gli attivisti umanitari internazionali che lavorano nei Territori occupati sono infatti diventati bersagli “legittimi” dell'ostilità e della violenza d'Israele, a prescindere da quale parte del mondo abbia dato loro i natali.

Gli attacchi contro gli attivisti della solidarietà internazionale

I Terriori palestinesi attraggono folti gruppi di attivisti umanitari, a causa della natura delle sofferenze dei palestinesi e delle ingiustizie di cui sono a conoscenza milioni di persone in tutto il mondo.

Esistono dunque molti bersagli potenziali per gli irritabili, eccitabili ed esperti soldati delle forze di occupazione.

Rachel Corrie (2003)

La morte più nota è probabilmente quella della pacifista americana di 23 anni, Rachel Corrie. Dopo essersi presa un anno sabbatico dagli studi, Rachel, nel 2003, si recò a Gaza, dove lavorava con il Movimento di solidarietà internazionale (Ism), un'organizzazione palestinese “impegnata a resistere contro l'occupazione israeliana della terra palestinese, facendo uso di metodi e principi non-violenti e dell'azione diretta”.

Rachel stava protestando contro la demolizione forzata e illegittima della casa di un dottore palestinese e si piazzò in modo da sbarrare la strada a un bulldozer Caterpillar, di fabbricazione americana. Rachel indossava una giacca chiara fluorescente e teneva fra le mani un megafono, con cui stava gridando al conducente del mezzo di fermarsi.

Ma invece di arrestarsi, il soldato israeliano la investì, e quindi fece marcia indietro sul suo corpo devastato. I genitori di Rachel hanno denunciato esplicitamente l'indagine israeliana sulla morte della figlia come un tentativo di cancellare ogni prova, e lottano tuttora perché qualcuno sia considerato responsabile dell'assassinio.

Tom Hurndall (2004)

Il ventunenne fotografo e studente di giornalismo Tom Hurndall, inglese, fu ucciso nel 2004. Tom era un volontario dell'Ism a Gaza e stava disperatamente cercando di portare in salvo dei ragazzini palestinesi sotto gli spari delle truppe israeliane. Fu raggiunto alla testa dal proiettile di un cecchino israeliano.

Dopo aver atteso due ore per essere trasferito in ospedale, Tom entrò in un coma da cui non si risvegliò mai più. Morì nove mesi dopo. Nonostante il cecchino, Taysir Hayb (arabo beduino nell'esercito israeliano), sia stato messo sotto processo, per gli alti livelli della gerarchia israeliana – i quali evidentemente permettevano che con i civili si seguisse la politica dello spara-e-uccidi – non vi era alcuna colpa. Il padre di Tom commentò: “Siamo preoccupati del fatto che (…) l'esercito e i soldati israeliani (…) si sentano autorizzati a sparare ai civili senza dover risponderne minimamente”. Lo scorso mese di luglio fu annunciato che Hayb sarebbe uscito di prigione con due mesi di anticipo, e cioè il mese successivo.

Dopo la morte di Tom furono pubblicati i suoi diari, nei quali aveva scritto: “Voglio essere fiero di me. Voglio di più. Voglio rispettare me stesso, e quando morirò voglio sorridere per le cose che ho fatto, non piangere per quelle che non ho fatto”.

Tristan Anderson (2009)

Tra i sopravvissuti agli attacchi israeliani, molti sono rimasti sfigurati o feriti in modo permanente. Nel 2009, il californiano Tristan Anderson ricevette un lacrimogeno israeliano nel cranio e riportò un danno permanente al cervello.

Emily Henochowicz (2010)

In un episodio risalente al mese scorso, alla studentessa americana di 21 anni Emily Henochowicz è stato asportato un occhio dopo che un soldato israeliano le ha sparato al volto, nel corso delle proteste contro l'attacco alla Freedom Flotilla.

Il massacro della Freedom Flotilla (2010)

Il 31 maggio del 2010, il mondo assistette incredulo alle immagini in diretta della Mavi Marmara, la principale nave passeggeri della Freedom Flotilla diretta a Gaza, mentre veniva attaccata dalle forze israeliane. Secondo i report, quattro navi da guerra israeliane, tre elicotteri, due sottomarini e trenta gommoni circondarono la flotilla nelle prime ore del mattino.

Con l'impiego di una quantità così ingente di soldati e di equipaggiamento, vi erano pochi dubbi che qualcuno si sarebbe fatto del male.

Nove attivisti umanitari internazionali rimasero uccisi durante l'assalto illegittimo della nave da parte d'Israele. Sui corpi delle vittime si sono contati in tutto trentun fori di proiettile.



Le nove vittime della Flotilla:

  • Vahri Yildiz, 43 anni. Era un pompiere, sposato con quattro figli. Ricevette cinque colpi.

  • Farrakhan Dogan, 19 anni. Farrakhan aveva doppia cittadinanza turca e statunitense. Era studente e voleva diventare medico. Ricevette cinque colpi da distanza ravvicinata, sul lato destro del naso, alla nuca, alla schiena e alla gamba sinistra.

  • Cengiz Okez, 41 anni. Era padre di tre figli. Gli furono sparati quattro colpi, alla nuca, sulla parte destra del volto, alla schiena e alla gamba sinistra.

  • Cengiz Sunqur, 47 anni. Sposato con sette figli, fu raggiunto da un proiettile al collo.

  • Necdet Yidirim, 32 anni. Era sposato e aveva una figlia di tre anni. Fu colpito alla spalla destra e alla schiena.

  • Cetin Topkoogelo, 54 anni. Era sposato, e sua moglie era con lui a bordo della Mavi Marmara. Gli furono sparati tre colpi, uno alla nuca, uno al fianco e uno all'addome.

  • Kovdit Kililar, 38 anni. Era sposato con due figli. Ricevette un solo proiettile in mezzo agli occhi, mentre cercava di fotografare l'attacco.

  • Ali Heyder Bengi, 29 anni. Sposato con quattro figli, ricevette sei colpi.

  • Ibrahim Bilgen, 61 anni. Era un distinto politico turco, sposato e con sei figli. Gli furono sparati quattro proiettili, alla tempia destra, sulla parte destra del torace, alla schiena e ad un fianco.

Mentre Israele continua a tentare di giustificarsi per queste morti, e rifiuta di scusarsi con la Turchia e di risarcire le famiglie delle vittime, noi possiamo notare un modello ricorrente di comportamento.

L'impunità d'Israele

Israele sta mostrando al mondo intero di essere al di sopra della legge. Rifiuta di essere messa in discussione per le sue azioni, pena la morte. Si considera impunibile, e l'esperienza le insegna che può attaccare, menomare, uccidere, imprigionare e torturare i civili senza essere chiamata a rispondere di simili gesti. 

L'impunità d'Israele è da imputare a tutte le nazioni del mondo che hanno permesso questo stato di cose, e che adesso stanno permettendo che si protragga. Fosse stato un qualsiasi altro Stato del mondo ad avere il coraggio di attaccare una barca con civili britannici ed americani a bordo, probabilmente saremmo già in guerra contro di lui.

La violenza israeliana sui giornalisti

Non sono solo gli attivisti umanitari e i pacifisti ad essere sotto attacco. Persino chi tenta di ripor
tare i fatti in modo obiettivo lavorando sul campo diventa bersaglio. I giornalisti, per esempio, si sono spesso trovati all'altro capo delle pistole israeliane. Sembra esserci una persecuzione deliberata e sistematica degli operatori media, l'obiettivo dei quali è riferire su aspetti dell'occupazione israeliana di Palestina.

Durante la seconda Intifada, i Reporter senza frontiere affermarono che una quarantina di giornalisti erano stati raggiunti dai proiettili – di metallo o di gomma – delle forze israeliane.

In alcuni casi, nonostante fossero chiaramente identificabili come addetti stampa, indossando giubbotti protettivi con la parola “Press” [“stampa”, ndr] in risalto sul petto ed essendo persino intenti nel riportare eventi in tempo reale, i giornalisti sono stati attaccati. I soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro di loro e hanno sparato lacrimogeni, proiettili di gomma e munizioni da guerra, ma facendo anche uso di altri tipi di armi.

Nel solo mese di marzo di quest'anno, almeno otto giornalisti sono stati presi di mira e colpiti dai soldati israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme. Organizzazioni quali Reporter senza frontiere hanno chiesto la cessazione della criminosità israeliana e della mancanza di rispetto nei confronti delle norme internazionali e degli standard comportamentali.

In un report pubblicato lo scorso 1° aprile, i Reporter senza frontiere hanno pubblicato una dichiarazione nella quale affermavano che la loro organizzazione “disapprova la frequenza delle violazioni della libertà di stampa da parte delle forze di difesa israeliane, che sparano regolarmente ai giornalisti palestinesi”.

“I casi si susseguono sotto la più completa impunità – proseguono i Reporter senza frontiere – I soldati israeliani coinvolti vengono raramente puniti e, men che meno, disconosciuti dai superiori, che anzi approvano l'uso della violenza contro i giornalisti. È ora che questo finisca”.

È stato anche riferito di addetti stampa e cameraman abbordati, minacciati, picchiati, perquisiti a fondo, arrestati ai checkpoint e imprigionati.

James Miller (2003)

Tra i morti vi è il cameraman gallese e produttore e regista premiato James Miller, raggiunto al collo da un proiettile mortale mentre filmava un documentario a Rafah. James si trovava insieme a un collega che sventolava una bandiera bianca. Il capitano Hib al-Heib sparò un solo colpo. Il documentario al quale James stava lavorando trattava dei bambini palestinesi.

L'indagine israeliana sull'episiodio ha assolto il soldato da ogni responsabilità, com'era prevedibile.

Raffaele Ciriello (2003)

A Ramallah, il giornalista italiano Raffaele Ciriello, fotografo freelance che lavorava per il Corriere della Sera, ricevette sei proiettili nel torace da una mitragliatrice montata su un carroarmato.

Raffaele era un veterano del giornalismo e aveva coperto storie in Afghanistan e Kosovo. In seguito alla sua morte, l'International Press Institute ha dichiarato che l'assassinio sembrava “parte di una strategia, pianificata dall'esercito israeliano, per controllare la copertura dei media sul recente insorgere di scontri armati nella regione”.

In entrambi questi casi, e in molti altri ancora, le “indagini” israeliane hanno normalmente liberato i soldati da ogni responsabilità, ignorandone i reati. Una simile impunità proseguirà solo se la comunità internazionale le permetterà di proseguire.

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