Israele responsabile della diminuzione della popolazione cristiana

PIC. C’è la possibilità che non rimarranno cristiani indigeni in Terra Santa, a meno che Israele non ponga fine alla sua occupazione in Palestina. Questo è stato il messaggio urgente di teologi e attivisti cristiani palestinesi che hanno parlato alla Conferenza di Terra Santa a Johannesburg la scorsa settimana.

Ospitato da The Evangelical Alliance of South Africa (Teasa), che rappresenta quasi 4 milioni di cristiani che si identificano come rinati o evangelici, i delegati hanno sentito dai diretti interessati come l’occupazione militare israeliana e le sue restrizioni al movimento palestinese hanno impedito ai cristiani palestinesi di adorare i siti più sacri del cristianesimo nella Gerusalemme occupata. Alcuni di questi siti si trovano a meno di 15 km dalle loro case. L’occupazione israeliana della Palestina ha anche effettivamente privato i palestinesi dell’accesso all’istruzione, alle cure sanitarie e alle opportunità di lavoro.

Ciò ha portato a un esodo di palestinesi cristiani dalla Cisgiordania occupata, da Gerusalemme est e dalla striscia di Gaza. I palestinesi cristiani indigeni costituivano una volta oltre il 19% della popolazione palestinese: oggi se ne contano meno del 2%.

Secondo Shireen Awwad Hilal, coordinatrice del ministero delle donne Musalaha a Betlemme, la causa principale del declino della popolazione cristiana in Terra Santa non è dovuta alla persecuzione dei cristiani da parte dei musulmani. “Molti cristiani ritengono che ci sia poca speranza per un futuro migliore per i loro figli sotto l’occupazione israeliana, e questo ha contribuito alla crescente emigrazione dei cristiani palestinesi. I palestinesi cristiani sono minacciati dall’occupazione israeliana, non dall’Islam “, afferma Awwad Hilal.

Yousef Al-Khouri è d’accordo. “I palestinesi musulmani e cristiani soffrono allo stesso modo sotto l’occupazione israeliana. Non c’è conflitto tra Islam e Cristianesimo, a Gaza o in qualsiasi altra parte della Palestina occupata. Questo non è un conflitto religioso, questa è l’occupazione”, afferma il docente di studi biblici nato a Gaza, la cui famiglia risale a oltre 900 anni nel sacerdozio greco-ortodosso in Palestina.

Secondo il segretario generale del Teasa, il reverendo Moss Nthla, la conferenza e la visita dei palestinesi è stata un tentativo innovativo del movimento evangelico in Sudafrica, per l’introduzione di una narrativa alternativa sulla Terra Santa. La narrativa dominante all’interno del movimento evangelico è che la creazione dello stato di Israele è stato un adempimento della profezia biblica. Questa narrazione, dice Nthla, “arma la Bibbia contro i palestinesi e giustifica l’occupazione della Palestina”.

In un’intervista con il Servizio Newswire Afro-Palestina, Nthla ha spiegato che “come cristiani, dobbiamo cambiare il nostro ruolo di collaboratori inconsapevoli con l’oppressione del popolo palestinese. Dobbiamo informarci e attrezzarci per far parte di una soluzione che ha come obiettivo una giusta pace in Palestina, piuttosto che essere parte del problema”. “I cristiani sudafricani devono essere interessati a ciò che sta accadendo in Israele – Palestina perché è il luogo in cui Gesù Cristo è nato, vissuto e morto”.

Il Consiglio delle Chiese sudafricano (Sacc) ha condannato l’occupazione israeliana della Palestina, definendo il trattamento dei palestinesi da parte di Israele “peggiore dell’apartheid”.

A settembre, le Chiese anglicane e metodiste dell’Africa meridionale hanno deciso di sostenere la campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (Bds) contro Israele fino a quando esso non porrà fine all’occupazione militare in Palestina.
Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice