Israele, sindrome della sconfitta. Tutti contro tutti.

Da www.ilmanifesto.it del 25 agosto.

Israele, sindrome della sconfitta. Tutti contro tutti

Annalena Di Giovanni
E’ cominciata ieri la raccolta di firme – ne servono 20 per aprire la mozione – fra i parlamentari della Knesset che chiedono le dimissioni del presidente israeliano Moshe Katsav che, a prescindere dall’esito delle indagini a suo carico, rimarrà a lungo gravemente impedito nelle proprie funzioni istituzionali, non potendo interloquire con i propri collaboratori per non inquinare le prove (lo staff di Katsav è sotto osservazione per le accuse di favoreggiamento sulle grazie ed i perdoni concessi ad alcuni uomini d’affari), ed escluso dai procedimenti di amnistia e grazia, mansione di competenza presidenziale, alla luce delle accuse contro di lui. Ieri nel frattempo è stato nuovamente interrogato per 5 ore in seguito all’accusa di rapporti sessuali illeciti o forzati con tre sue dipendenti.
In realtà in Israele la vicenda Katsav, nonostante la grande attenzione che riscuote sulla stampa nazionale e non solo, è soltanto la punta dell’iceberg di un terremoto politico del quale è ancora difficile definire l’entità. Gli «scandali» e le inchieste vanno di paripasso con i riassestamenti politici in corso: è il caso dell’ex- ministro della giustizia Haim Ramon che, dimessosi domenica scorsa in via temporanea nell’attesa che i procedimenti a suo carico si concludano, è stato rimpiazzato da Meir Shatrit. La buona occasione del premier Ehud Olmert per sistemare un rivale politico dandogli un ministero di tutto rispetto e cementando il consenso interno al proprio partito, Kadima. Impresa non facile: una volta accantonato il piano di convergenza per il ritiro unilaterale dalla Cisgiordania, sarebbero ora i 2 miliardi di dollari promessi da Olmert per la ricostruzione al nord a creargli problemi con la coalizione.
Olmert sta cercando di riguadagnarsi il consenso presso gli israeliani con una serie di viaggi fra le città colpite dai missili katiusha, che la stampa israeliana (compatta contro il premier) irride come una sorta di tour elettorale in ritardo, promesse di ricostruzione comprese.
Nel frattempo le proteste di piazza arrivano da destra e da sinistra; quella di destra però, che lascia sempre più presagire un ritorno del Likud in caso di elezioni anticipate e che chiede la ripresa del conflitto in Libano con un nuovo pool di generali alla guida di esercito e Difesa, ultimamente attira molta attenzione da parte dei media. Ad incrociare le proteste dei pacifisti per le strade di Tel Aviv ed Haifa ci sono infatti i riservisti di ritorno dal fronte, che ormai ogni giorno organizzano marce ma che non si sono ancora dati un chiaro obiettivo politico – chiedere un’inchiesta? chiedere le dimissioni della trojka Olmert-Peretz-Halutz? chiedere, soprattutto, la ripresa dell’offensiva? – e che cercano di tenersi alla larga da qualsiasi connotazione politica. Non sono certi neanche del proprio slogan, che per ora sarebbe «Hai preso il comando – adesso prenditene le responsabilità».
L’invito è rivolto al comandante dell’esercito Dan Halutz il quale per tutta risposta ieri in una lettera aperta ai suoi soldati ha ammesso che c’è stato qualche errore da parte dell’esercito nella pianificazione strategica dell’offensiva e nella distribuzione degli equipaggiamenti. Nella lettera prometteva che una «commissione d’inchiesta seria, efficente e veloce» indagherà sulle responsibilità dei suoi uomini. L’autocritica, soltanto accennata, mancava di specificare se tale commissione di inchiesta, che tutte le forze politiche e militari stanno cercando di affossare o circoscrivere, sarà infine istituita secondo la volontà di una moltitudine crescente di israeliani: pubblica, parlamentare, estensiva e forse propedeutica ad una nuova guerra al nord. Oppure, come la vogliono i diretti interessati: interna, governativa, ciscoscritta.

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