Israele spezza l’identità palestinese. E l’amore

Matrimonio al checkpoint (Foto: Nasser Shiyoukhi/AP)

Matrimonio al checkpoint (Foto: Nasser Shiyoukhi/AP)

Di Nena News. Dalla redazione


Gerusalemme, 23 gennaio 2014, Nena News – Vicini, ma drammaticamente lontani. Il destino di un intero popolo, frammentato e diviso da carte d’identità e confini imposti da altri, sta anche nella separazione fisica tra enclavi che impedisce di vivere una vita normale e che viene usata per distruggere il senso d’identità nazionale.

Come spesso accade l’ostacolo è posto dalla burocrazia e dalle leggi israeliane. È il caso delle famiglie palestinesi divise tra Cisgiordania, territori del ’48 (l’attuale Stato di Israele) e Gaza: a sviscerare la loro situazione sono state le due associazioni israeliani HaMoked B’Tselem nel rapporto “So Near Yet So Far”, pubblicato pochi giorni fa, dove si analizza la dichiarata politica di isolamento imposta dalle autorità israeliane ai residenti dei Territori Occupati.

Le restrizioni poste in entrata e in uscita da Gaza e Cisgiordania impediscono a moltissime coppie palestinesi di condurre una vita normale, sotto lo stesso tetto. Permessi difficili da ottenere e ricongiungimenti familiari negati sono gli strumenti per separare famiglie e distruggere legami sociali e affettivi. Nel 2003 Israele ha emendato la Legge di Ingresso nel Paese: i palestinesi di Gaza e Cisgiordania possono chiedere il ricongiungimento familiare in Israele nel caso abbiano superato i 35 anni di età (gli uomini) e i 25 (le donne). Metà delle domande viene però rispedita al mittente: secondo i dati forniti dalla Society of St. Yves, centro cattolico per i diritti umani, dal 2000 al 2013 il Ministero degli Interni israeliano ha rifiutato il 43% delle richieste di ricongiungimento familiare e il 24% delle richieste di registrazione di bambini figli di un palestinese israeliano e di uno residente nei Territori Occupati.

“Tra il 2000 e il luglio 2013 – spiegano al centro – il Ministero ha ricevuto 12.284 richieste di ricongiungimento familiare: ne ha rifiutate 4.249, ne restano pendenti 2.406. Se si tiene conto che ogni famiglia è formata in media da 4 persone, ciò significa che quasi 10mila palestinesi vivono nell’incertezza”.

Impossibile la riunificazione tra palestinesi cittadini israeliani e palestinesi gazawi all’interno dello Stato di Israele: secondo dati ufficiali, sono 425 palestinesi israeliani (per lo più donne) sposati con gazawi. Di questi, circa 340 ottengono permessi per visitare il coniuge, permessi che vengono ottenuti dopo settimane di procedure burocratiche. Ciò si traduce nella distruzione della vita familiare: la maggior parte di loro visita la famiglia per pochi giorni l’anno, non sapendo mai quando potrà vedere i figli o il marito di nuovo. Chi invece decide di trasferirsi a Gaza, si allontana per sempre dal resto della propria famiglia rimasta in Cisgiordania.

Nonostante le due enclavi palestinesi siano considerate “territorio unico”, se i palestinesi della Cisgiordania possono entrare a Gaza – con non poche difficoltà – i residenti della Striscia non sono autorizzati ad uscire se non per “casi umanitari”, categorizzazione in cui non rientra il matrimonio. Nessuna alternativa: un palestinese israeliano, un residente di Gerusalemme Est o un cittadino della Cisgiordania che sposa un palestinese di Gaza è costretto a trasferirsi nella Striscia. La legge israeliana impedisce, infatti, ai palestinesi dei Territori di modificare la propria residenza da un’enclave all’altra. Nel caso fortunato in cui il permesso venga accordato, ci vogliono anni di procedure burocratiche per ottenerlo.

Stessa situazione per chi ha familiari residenti a Gaza. B’Tselem ha raccolto alcune testimonianze, tra cui quella di Fatmah Abu ‘Issa di Jenin. La figlia Nibal vive a Gaza da 20 anni: “Prego di non morire prima di aver rivisto Nibal, i suoi figli e mio marito sotto lo stesso tetto. Non voglio che Nibal torni solo per il mio funerale. Non voglio che visiti Jenin solo per le mie esequie”. (Guarda il video con la loro storia in fondo all’articolo).

Israele viola i diritti umani, impedendo a migliaia di famiglie palestinesi di condurre una vita normale, impedendo loro di scegliere dove vivere. È lo Stato a scegliere per loro, uno Stato occupante che nasconde dietro la necessità di garantire la sicurezza il tentativo palese di rompere i legami sociali e affettivi di un intero popolo.

Gli effetti a lungo termine di una simile divisione in enclavi separate e difficilmente raggiungibili sono già visibili: sempre maggiori sono le distanze sociali e culturali tra le varie comunità palestinesi in Israele, Cisgiordania e Gaza. Nena News