Israele spinge sulla normativa dell’alimentazione forzata per interrompere lo sciopero della fame palestinese

Palestina-sciopero-della-fame-1Di Charlie Hoyle. Betlemme-Ma’an. Israele questa settimana ha decretato la prima approvazione per la legge che approverebbe l’alimentazione forzata dei palestinesi impegnati nello sciopero della fame, condannata aspramente dai gruppi per i diritti umani che dicono che il disegno di legge equivale alla tortura.

La legge, sostenuta dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dal ministero della salute, è stata approvata ad una prima lettura alla Knesset con un voto di 29 a 18 e consentirebbe ai medici di forzare l’alimentazione dei prigionieri palestinesi in pericolo di vita.

Il disegno di legge deve essere presentato alla Knesset per l’ultima lettura settimana prossima.

Dal 24 aprile circa 125 palestinesi incarcerati hanno rifiutato il cibo, costituendo quello che il gruppo per i diritti dei prigionieri “Addameer” ha dichiarato essere il più lungo sciopero della fame collettivo nella storia palestinese.

Secondo questo gruppo, la proposta di legge è un chiaro tentativo di fermare i massivi scioperi della fame da parte dei prigionieri palestinesi che, nel corso degli ultimi due anni, hanno rappresentato una sfida costante per le politiche israeliane di detenzione.

“Dopo quasi due anni di continui scioperi della fame, Israele si rende conto di doverli in qualche modo gestire. Hanno provato di tutto” afferma a Ma’an Gavan Kelly, coordinatore della difesa internazionale di Addameer.

Poiché dal 2011 non è passato un solo giorno senza che un prigioniero palestinese non fosse in sciopero della fame, asserisce Kelly, il governo israeliano si è visto costretto a cercare alternative per gestire tali azioni di protesta collettiva.

“La realtà è che anche se il governo israeliano afferma di agire nel rispetto della salute dei detenuti, in realtà è una sciocchezza. Ognuno è consapevole del fatto che l’alimentazione forzata limiterebbe il danno politico degli scioperi della fame”.

Nel 2012, oltre 2.500 prigionieri palestinesi hanno intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni carcerarie e quelle di detenzione amministrativa, ottenendo infine alcune concessioni da parte di Israele che furono poi rinnegate.

Amany Dayif di Physicians for Human Rights-Israel dichiara che la nuova proposta di legge è un tentativo di limitare le eventuali ripercussioni delle potenziali morti per lo sciopero della fame e contemporaneamente conservare l’attuale politica di detenzione amministrativa.

“Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’agenzia di sicurezza Shin Bet stanno cercando di liberarsi di un problema politico con la forza invece di risolvere le questioni sollevate dai prigionieri palestinesi, ovvero le politiche di detenzione di Israele”, ha spiegato a Ma’an.

“Nessun paese al mondo ha autorizzato l’alimentazione forzata”.

L’Associazione per i diritti civili di Israele ha dichiarato questa settimana di essere profondamente preoccupata dalla volontà di Netanyahu di alimentare forzatamente i prigionieri in sciopero della fame, trattenuti in detenzione amministrativa, facendo risaltare il problema di fondo delle politiche di detenzione di Israele contro i palestinesi.

“Dallo sciopero della fame portato avanti dai prigionieri in detenzione amministrativa si evidenzia una delle più gravi ingiustizie del governo militare nei territori occupati”, ha affermato il gruppo.

“I residenti palestinesi sono regolarmente tenuti in detenzione amministrativa per molti mesi, a volte anche anni, senza essere informati delle accuse nei loro confronti né della data del loro rilascio”.

Dal 1967 migliaia di palestinesi sono stati reclusi con questa politica, che permette all’esercito israeliano di tenere a lungo tempo i prigionieri all’oscuro di informazioni senza accuse formali e di negare loro di affrontare un processo.

Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban ki-moon ha annunciato la scorsa settimana che Israele deve formalizzare le accuse o rilasciare i palestinesi in sciopero della fame “senza alcun indugio”, mentre l’Alto commissario Onu per i diritti umani ha espresso preoccupazione per quanto riguarda il disegno di legge israeliano in merito all’alimentazione forzata.

La pratica dell’alimentazione forzata è stata vietata dal 1975 sulla base della Dichiarazione di Tokyo adottata dalla World Medical Association, che ha fornito le linee guida per i medici in relazione alla detenzione ed alla reclusione.

La scorsa settimana la Medical Association di Israele ha condannato tale pratica tacciandola di “tortura” ed ha esortato i medici a non prendere parte a questa prassi.

Nonostante questo, il primo ministro israeliano Netanyahu ha assicurato che troverà i medici disposti a intraprendere la procedura ed ha anche ricordato l’uso dell’alimentazione forzata a Guantanamo per giustificarla.

“Non c’è paese al mondo che abbia approvato una legge che legittima l’alimentazione forzata”, ha dichiarato Dayif a Ma’an. “Il timore maggiore è che i medici in servizio nelle carceri israeliane insieme ad altri medici potrebbero credere che se la legge permette loro di agire in questo modo, allora non ci sarebbe nulla di male ad attuare tale pratica”.

La politica dell’alimentazione forzata è l’ultima trovata del governo israeliano, che avrà inevitabilmente conseguenze indesiderate qualora non venga affrontato il tema principale delle proteste ovvero la condizione detentiva senza processo, afferma Dayif.

“Non credo che la forza abbia mai dimostrato di essere la soluzione a qualsiasi situazione, anzi, esattamente il contrario. (L’alimentazione forzata) mobiliterà la piazza e le comunità palestinesi, insieme ad altri prigionieri arabi nei servizi penitenziari israeliani”.

Sivan Weizman, portavoce del servizio carcerario israeliano, ha assicurato a Ma’an che al momento nessuno dei prigionieri in sciopero della fame è in pericolo di vita, specificando che 75 detenuti sono in ospedale, ma nessuno versa in “condizioni pericolose o critiche”.

 

Secondo Addameer, attualmente ci sono 5.271 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, tra cui 192 in detenzione amministrativa, 17 donne e 196 bambini.

Traduzione di Erica Celada