Israele teme il paragone col regime dell’apartheid

MEMO. Gli avvertimenti espressi di recente da Yair Lapid, il ministro degli Esteri israeliano, riguardo all’insistenza di coloro che ha definito nemici dell’occupazione nel definire la politica israeliana nei confronti dei palestinesi uno “stato di apartheid”, che è un altro termine per definire il “regime di apartheid”, stanno ancora provocando diverse reazioni interne, nonché un certo fastidio diffuso nella comunità diplomatica israeliana.

Gli israeliani hanno paura di quella che considerano una politica adottata dalle organizzazioni per i diritti umani per “distorcere” la definizione dello stato di occupazione e per paragonarla con il sistema di apartheid prevalso in Sud Africa nei decenni precedenti, basato sull’etnia e sulla divisione tra bianchi e neri africani, che costituivano la stragrande maggioranza. Questo sistema ha prevalso per più di 40 anni in un clima di disprezzo, poiché i neri sono stati privati del diritto di voto e di altre libertà.

Dan Perry, uno redattore del sito web The Times of Israel e capo della Foreign Press Association, ha affermato nel suo articolo tradotto da “Arabi 21” che “la paura israeliana nasce dalla preoccupazione da parte delle organizzazioni legali internazionali per i diritti umani  di paragonare la politica di Israele applicata contro i palestinesi a ciò che successe in precedenza con i neri del Sud Africa. Oggi sono perseguitati negli Stati Uniti; sono privati della maggior parte dei diritti e sono considerati vittime dell’apartheid da un gruppo etnico minoritario”.

Ha aggiunto che “le posizioni delle forze anti-israeliane ritengono che esista un’ampia base comune tra i paesi che praticano l’apartheid, come l’ex regime sudafricano, e ora gli Stati Uniti insieme a Israele, praticano la stessa politica con i palestinesi in Cisgiordania, adottando la politica del genocidio e collegando i palestinesi al termine “illegale” con qualsiasi riferimento agli insediamenti ebraici.

Attraverso un’analisi statistica, gli israeliani temono che si diffonda l’idea che la maggior parte della popolazione mondiale sia nata dopo la caduta del regime dell’apartheid in Sud Africa. Dunque, si affrettano a descrivere Israele allo stesso modo e ciò richiede agli israeliani di trovare una soluzione per impedire l’uso del termine apartheid, anche se Israele ha preso il controllo delle terre palestinesi per 54 anni. Non si prevede un cambiamento della politica ostile nei loro confronti. Attualmente si costruiscono insediamenti per gli ebrei e vi stabiliscono le università, nonostante l’obiezione del mondo.

Allo stesso tempo, ciò che rafforza l’eco nel mondo del concetto di governo dell’apartheid è il fatto che le terre dell’Autorità Palestinese sono diventate isole circondate da terre sotto il controllo totale dell’esercito israeliano. Ciò provoca una triste accettazione del Bantustan, ricordando al mondo intero la situazione che prevaleva negli anni ’70 e ’80 sotto il regime in Sud Africa. Forse la politica praticata dalle forze di occupazione contro i palestinesi è il razzismo.

Vale la pena ricordare le pessimistiche stime israeliane che prevedono che il nuovo anno 2022 sarà testimone di una campagna da parte delle organizzazioni internazionali e delle Nazioni Unite per selezionare i termini e i vocaboli relativi all’apartheid, per quanto riguarda le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi e ciò ha spinto il ministero degli Esteri israeliano e i consolati in tutto il mondo alla vigilanza diplomatica per far fronte a quello che considerano uno tsunami politico contro di loro.

(Foto: sostenitori filo-palestinesi mostrano cartelli con la scritta “Boicotta l’apartheid Israele” durante una protesta per condannare gli attacchi aerei israeliani in corso su Gaza, a Durban il 18 maggio 2021 [RAJESH JANTILAL/AFP via Getty Images]).

Traduzione per InfoPal di Stefania Gestro